Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9234 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9234 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME nato a Pescia il 27.6.1948
avverso la sentenza in data 21.3.2024 della Corte di Appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria del difensore, avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 21.3.2024 la Corte di Appello di Firenze ha confermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 727 cod. pen. per aver detenuto in una cantina di pertinenza della sua abitazione, scarsamente areata, buia, invasa da sacchi di guano e permeata da un odore nauseabondo, dieci uccelli, ognuno all’interno di una gabbia, tutte invase da escrementi che non venivano rimossi da giorni, in condizioni incompatibili con la loro natura, ma ha sostituito la pena, fissata dal Tribunale di Pistoia all’esito del giudizio di pri grado in tre mesi di arresto, nell’ammenda di complessivi C 4.500, calcolata in 50 euro per ogni giorno di pena detentiva ai sensi dell’art. 56 quater L. 689/1981.
Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando due motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Con il primo motivo lamenta in relazione al diniego della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. il vizio di violazione di legge e il vizio motivazionale, rilevando che il rilievo conferito dai giudici di appello ai propri precedenti penali, costituiti da un’unica condanna in data 26.6.2014 per detenzione di uccelli nei cui confronti la caccia non era consentita oltre ad armi comuni da sparo, non potesse essere considerato ai fini dell’abitualità della condotta ad integrare la quale occorrono almeno due illeciti della stessa indole, laddove egli aveva riportato una sola condanna in materia di normativa a tutela della fauna, oltre al fatto che la stessa, trattandosi di un reato contravvenzionale, si era estinta, essendo il decreto penale di condanna divenuto esecutivo il 26.5.2015, nell’anno 2027, ovverosia ben quattro anni e nove mesi prima dei fatti in contestazione. Anche con riferimento alla valutazione della particolare tenuità dell’offesa contesta, oltre al travisamento delle risultanze istruttorie posto che nessun merlo era stato trovato morto all’interno di una gabbia, così come afferma la Corte territoriale, essendone invece stata rinvenuta la carcassa in una delle buste contenenti il guano all’interno della cantina, la motivazione resa in forma soltanto apparente in mancanza di qualsiasi chiarimento sulle ragioni del diniego, considerato che nessuno dei volatili presentava patologie di sorta, né segni di afflizione; rileva, al contrario, che ne fosse stata constatata la condizione di buona nutrizione e la collocazione in gabbie singole ed adeguate, essendo l’imputato venuto soltanto meno al compito di non aver rimosso il guano dalle gabbie degli uccelli. Osserva peraltro che, essendo stato accertato che l’imputato non aveva sottoposto gli animali ad alcuna sevizia, la sua condotta, riconducibile per l’effetto ad un addebito meramente colposo e, come tale incompatibile con la crudeltà, aveva già portato questa Corte a riconoscere la causa di non punibilità con la sentenza n. 36574 del 21.6.2023. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Con il secondo motivo lamenta il vizio di violazione di legge riferito agli artt. 53 e 56 quater L. 689/1981 per avere la Corte di appello proceduto alla sostituzione della pena detentiva fissata dal giudice di primo grado in pena pecuniaria in assenza di alcuna richiesta della difesa che né nell’atto di appello, né nei motivi aggiunti, aveva formulato alcuna istanza in tal senso, né era stata instaurata dal giudice la procedura prevista dall’art. 545 bis cod. proc. pen.. Deduce, in ciò sostanziandosi il nucleo centrale della contestazione, che era comunque necessaria l’acquisizione del consenso del prevenuto o del suo procuratore speciale, laddove la Corte di appello aveva arbitrariamente fissato quale valore giornaliero la somma di C 50 senza procedere all’acquisizione della documentazione comprovante le complessive condizioni economiche, patrimoniali
e di vita dell’imputato, cui avrebbe dovuto essere commisurata la pena pecuniaria sostitutiva ai sensi dell’art. 56 quater L. 689/1981
Con memoria in replica alla requisitoria del Procuratore Generale, trasmessa in data 13.11.2024, il difensore ha ulteriormente sviluppato i motivi del ricorso concludendo per il suo accoglimento
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo, complessivamente valutato, non può ritenersi meritevole di accoglimento.
Se le censure rivolte al profilo dell’abitualità colgono nel segno essendo richiesto dal quarto comma dell’art. 131 bis cod. pen., quanto alla sussistenza di reati della stessa indole, quale presupposto ostativo al riconoscimento della causa di non punibilità, il compimento di almeno due reati che presentino rispetto a quello sub judice, ancorché previsti da norme diverse, caratteri fondamentali comuni per le circostanze oggettive e le condizioni ambientali nelle quali le azioni sono state compiute, o per i motivi che li hanno determinati, laddove al di là di ogni rilievo sull’intervenuta estinzione del relativo decreto penale di condanna questione sulla quale questa Corte non può pronunciarsi non venendo specificato quale fosse il titolo di reato, così da verificarne la natura contravvenzionale – i ricorrente risulta aver riportato una sola condanna, non può, per contro ritenersi fondata la contestazione in punto di particolare tenuità dell’offesa.
Indebitamente la difesa lamenta la mancanza di motivazione da parte della Corte distrettuale che, lungi dall’incorrere nell’omissione lamentata, incentra, invece, il diniego sul numero degli uccelli tenuti in condizioni incompatibili con la loro natura e sulla continuazione della condotta omissiva per non avere l’imputato da tempo provveduto alle operazioni di pulizia non solo delle gabbie in cui i volatili erano stati collocati, ma altresì del locale di ubicazione delle stesse dove l’aria, stante la presenza dei sacchi di guano ivi giacenti, era diventata irrespirabile, tanto da aver costretto gli agenti di polizia intervenuti per l’ispezione a procedere agli accertamenti necessari all’esterno. Conclusione questa cui i giudici di appello coerentemente pervengono in ragione dello stato delle gabbie, descritte come “invase da escrementi”, nonché delle condizioni della cantina, permeata da un “odore nauseabondo”, dove il fatto che i sacchi contenessero guano è la plastica dimostrazione del lungo tempo della loro giacenza in quel luogo, considerato che il guano altro non è la sostanza ottenuta dalla naturale decomposizione nel tempo degli escrementi stessi che si forma in natura in conseguenza del loro accumulo in luoghi dove non esiste o è minima la possibilità di dilavamento, quali le cavità sotterranee o le aree aride. E’ per vero evidente che se negli spazi aperti il prodotto della defecazione animale è destinato a disperdersi, incombe per contro su chi
detenga i volatili in condizioni di cattività farsi carico della pulizia dei luoghi ristr in cu gli animali sono stati collocati, altrimenti destinati a trasformarsi, come nella specie è accaduto, in camere a gas per qualunque vertebrato munito di sistema respiratorio polmonare. Conseguentemente in nessun travisamento della prova risulta essere incorsa la sentenza impugnata che con logica deduzione ha ritenuto che la carcassa del merlo trovato nella cantina provenisse da una delle gabbie dove da vivo era richiuso, e che comunque, indipendentemente dalle cause della morte, di fatto non accertate, dimostrasse il lungo tempo da cui si protraeva l’incuria del locale, configurante perciò coerente ragione del diniego della minima offensività della condotta.
Pertanto, tenuto conto che i due indici requisiti contemplati dall’art. 131 bis cod. pen., ovverosia la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità della condotta, devono sussistere congiuntamente e non già alternativamente, il motivo in esame deve essere rigettato non risultando la valutazione compiuta ai sensi del primo comma della norma in esame passibile di alcuna censura.
Il secondo motivo deve, invece, ritenersi fondato nei limiti di seguito indicati.
2.1. Al riguardo deve essere preliminarmente rilevato che ai sensi della disciplina transitoria contenuta nell’art. 95 del d.lgs. n 150/2022 (c.d. riforma Cartabia), la cui ratio risponde all’esigenza di ampliare l’ambito applicativo della sostituzione oltre i limiti ricavabili dal mero innesto nell’ordinamento penale delle nuove “pene sostitutive”, è consentita, in osservanza del principio di retroattività della lex mitior, l’applicazione delle pene sostitutive previste dal Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, in quanto più favorevoli per l’imputato, anche ai processi pendenti in grado di appello all’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022, senza porre limitazioni attinenti alla fase, introduttiva o decisoria, del giudizi stesso. Ciò nondimeno, come questa Suprema Corte ha recentemente precisato (cfr., Sez. 6, n. 33027 del 10/05/2023, COGNOME, Rv. 285090; Sez. 6, n. 46782 del 29/09/2023, COGNOME, Rv. 2 285564; Sez. 2, n. 1995 del 19/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285729; Sez. 4, n. 4934 del 23/01/2024, COGNOME, Rv. 285751; Sez. 6, Sentenza n. 46782 del 29/09/2023, COGNOME, Rv. 285564 – 0), affinché il giudice d’appello sia tenuto a pronunciarsi in merito all’applicabilità meno delle nuove sanzioni sostitutive di cui all’art. 20-bis cod. pen., è necessaria una richiesta in tal senso dell’imputato, che deve essere formulata non necessariamente con l’atto di appello o in sede di “motivi nuovi” ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., ma che deve comunque intervenire – al più tardi nel corso dell’udienza di discussione d’appello.
Tale interpretazione, che tempera il principio espresso dalle Sezioni Unite Punzo, secondo cui il giudice di appello non ha il potere di applicare d’ufficio le sanzioni sostitutive in assenza di specifica richiesta sul punto formulata con l’atto
di gravame, non rientrando le sanzioni sostitutive tra le ipotesi tassativamente indicate dall’art. 597 quinto comma cod. proc. pen. che costituiscono una eccezione alla regola generale del principio devolutivo che informa il suddetto procedimento (Sez. U, Sentenza n. 12872 del 19/01/2017, COGNOME, Rv. 269125), estende pertanto la formulazione della richiesta dell’imputato all’intero giudizio di appello, nell’esigenza di contemperare il suddetto principio con la pendenza dello stesso procedimento, essendo l’obiettivo perseguito dalla disciplina transitoria quello di ampliare l’applicabilità della lex mitior ove ritenuta in concreto dall’imputato a sé più favorevole.
Se anche nel vigore del nuovo regime è previsto dall’art. 545 bis, primo comma cod. proc. pen. che la pena pecuniaria sostitutiva possa essere disposta anche senza il consenso del condannato (cfr. in motivazione anche Sez. 6, Sentenza n. 14873 del 12/03/2024, COGNOME, Rv. 286235), ciò non toglie che in tanto ne è consentita l’applicabilità per effetto del regime transitorio ad un processo pendente in quanto vi sia una richiesta dell’imputato che, nondimeno, nella specie non risulta essere stata mai formulata né con i motivi di appello, né con successivi motivi aggiunti, e neppure nel corso dell’udienza di discussione.
Sennonché la Corte fiorentina, in assenza di qualsivoglia richiesta dell’imputato, ha disposto la sostituzione della pena detentiva, fissata dal primo giudice in tre mesi di arresto, con la pena pecuniaria di natura corrispondente di C 4.500 di ammenda calcolando il valore di 50 euro giornalieri.
Occorre al riguardo chiarire che, anche nel vigore del regime transitorio, il procedimento di applicazione delle sanzioni sostitutive si snoda in un meccanismo bifasico (Sez. 6, n. 14035 del 20/02/2024, F., Rv. 286216) che contempla due stadi, il primo essendo caratterizzato dalla progressione processuale attraverso la quale si perviene all’affermazione di colpevolezza dell’imputato ed il secondo, sia pure eventuale, che si attiva qualora non sia possibile decidere contestualmente alla sostituzione della pena detentiva, occorrendo procedere ad ulteriori accertamenti e perciò fissare un’apposita udienza, cd. di sentencing.
Dal momento che, al di là delle varianti introdotte con il cd. “correttivo Cartabia, che hanno indebolito il modello bifasico, il meccanismo decritto trova applicazione, nella vigenza del regime transitorio, anche egiudizio di appello (Sez. 6, n. 14035 del 20/02/2024, cit.,), ne consegue che la Corte distrettuale, avendo deciso di applicare di ufficio (sebbene erroneamente) la sanzione sostitutiva della pena pecuniaria, avrebbe comunque dovuto, indipendentemente dal fatto che fosse necessaria una richiesta (e non anche il consenso) dell’imputato, darne avviso alle parti: si imponeva cioè l’integrazione del contraddittorio necessario a sondare le condizioni economiche del prevenuto, così da applicare, cognita causa, la sanzione sostitutiva in misura proporzionata alla sua situazione reddituale e patrimoniale attraverso la fissazione di un’apposita udienza (sentencing) dove
l’appellante stesso potesse dimostrare, anche mediante una produzion documentale, le proprie condizioni economiche.
Infatti, il ricorrente con la presente impugnativa non ha inteso otte l’annullamento della statuizione relativa all’applicazione della sanzione sostit che avrebbe avuto l’inequivoco effetto di ripristinare la pena detentiva origin né la Corte di Cassazione, in mancanza di impugnazione del Pubblico Ministero, avrebbe potuto ristabilire la primitiva pena detentiva, essendo una tale opz preclusa dal divieto della reformatio in peius.
L’imputato, invece, si duole, come risulta dalla formulazione del motivo esame e dalla memoria in replica alla requisitoria del Procuratore Generale, de mancata instaurazione del contraddittorio, lamentando che la Corte di appello, n disporre la sostituzione, abbia arbitrariamente fissato un valore giornaliero quand’anche rientrante nei valori normativamente previsti, sarebbe, a suo avvi assolutamente incongruo rispetto alle proprie condizioni economiche e sociali, ordine alle quali egli non ha avuto alcuna possibilità di interloquire.
2.2. In relazione al dedotto profilo la doglianza deve ritenersi meritevol accoglimento.
Inapplicabili nel caso di specie i correttivi previsti nella novella di cui a N.31 del 19.3.2024 (in vigore dal 4.4.2024 e dunque da epoca successiva all sentenza impugnata) con particolare riferimento all’art. 598 bis cod. proc. pen disciplina la procedura applicativa delle pene sostitutive nel giudizio di ap convalidando, mutatis mutandis e con gli opportuni temperamenti correlati alla contestuale modifica dell’art. 545 bis cod. proc. pen. che regola il giudizio di grado, l’approdo cui era già pervenuta una parte della giurisprudenza di legitti occorre considerare, per quanto qui interessa, che la pena pecuniaria sostitu prevede un ampio margine di discrezionalità nella quantificazione del valo giornaliero, all’interno di una forbice fissata dall’art. 56 quater L.24.11. 689, ratione temporis (e a regime) applicabile, da un minimo di 5 C ad un massimo di 2.500, valore che deve in ogni caso essere commisurato alle condizio economiche, patrimoniali e sociali non solo dell’imputato ma anche del suo nucl familiare: criteri questi che non risultano essere stati applicati nel caso di nulla evincendosi dalla sentenza impugnata in ordine alle specifiche condizioni ricorrente, senza che costui sia stato messo neppure in grado di provvedere produzione della documentazione necessaria a contrastare quella eventualmente acquisita di ufficio o presente agli atti.
Si impone, pertanto, limitatamente all’applicazione della pena sostitut l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte appello di Firenze che dovrà procedere a nuovo giudizio sul punto n contraddittorio con l’imputato, o confermando, all’esito, la sostituzio quantum, o riducendo l’importo alla luce delle allegazioni dell’interessato fi>
tenuto conto, nell’uno e nell’altro caso, dei criteri fissati d’art. 56-quater 689/1981, secondo cui, come sopra chiarito, il valore deve corrispondere alla quota di reddito giornaliero fissata in considerazione delle complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare.
Il ricorso va, invece, rigettato, sulla base dei sovra esposti rilievi, nel resto. Ne deriva che – per effetto del principio della formazione progressiva del giudicato, che copre, in conseguenza del giudizio della Corte di cassazione di parziale annullamento, i capi della sentenza ed i punti della decisione impugnati che non hanno connessione essenziale con la parte annullata, così come disposto dall’art. 624 cod. proc. pen. – resta fermo l’accertamento del reato così come l’affermazione di responsabilità dell’imputato, con conseguente inapplicabilità di eventuali cause estintive sopravvenute (Sez. U, n. 4904 del 26/03/1997, Attinà, Rv. 207640).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente l’applicazione della pena sostitutiva con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze. Rigetta nel resto il ricorso
Così deciso il 18.11.2024