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Pena resistenza a pubblico ufficiale: la Cassazione

Un motociclista condannato per resistenza a pubblico ufficiale ricorre in Cassazione contestando la pena e la recidiva. La Corte rigetta il ricorso, chiarendo che per una pena per resistenza a pubblico ufficiale di media entità non serve una motivazione dettagliata. La recidiva è giustificata dalla pericolosità della fuga e dai precedenti penali, che indicano un’inclinazione al crimine.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena per Resistenza a Pubblico Ufficiale: la Cassazione fissa i paletti

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8627 del 2025, è tornata a pronunciarsi su un caso di resistenza a pubblico ufficiale, offrendo chiarimenti cruciali sulla determinazione della pena per resistenza a pubblico ufficiale e sulla corretta applicazione dell’aggravante della recidiva. La decisione analizza il delicato equilibrio tra la gravità del fatto, la pericolosità della condotta e la necessità di una motivazione adeguata da parte del giudice.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un imputato condannato in primo grado dal Tribunale di Monza e in secondo grado dalla Corte di Appello di Milano per il reato di cui all’art. 337 del codice penale. L’uomo, alla guida del suo motociclo, si era sottratto a un controllo dei Carabinieri dandosi alla fuga. La Corte d’Appello, pur confermando la sua colpevolezza, aveva ridotto la pena inflitta in primo grado, riconoscendo che l’imputato non aveva commesso atti di violenza fisica diretta contro gli agenti, ma si era limitato a fuggire. Tuttavia, i giudici avevano sottolineato come la sua condotta avesse messo “in pericolo la vita propria e altrui”.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due principali motivi:

1. Errata commisurazione della pena: Si contestava che la pena base, pur ridotta, fosse sproporzionata (corrispondente a tre volte il minimo edittale) rispetto a un reato considerato di “non particolare gravità”.
2. Ingiustificata applicazione della recidiva: La difesa sosteneva che i giudici non avessero adeguatamente motivato l’applicazione dell’aggravante della recidiva in relazione a una “maggior colpevolezza dell’imputato”.

La corretta applicazione della pena per resistenza a pubblico ufficiale

La Suprema Corte ha rigettato entrambi i motivi del ricorso, ritenendoli infondati. La decisione si articola su due principi fondamentali del diritto penale sostanziale e processuale.

Per quanto riguarda il primo motivo, la Corte ha osservato che la pena inflitta, pur essendo calcolata in modo non lineare, risultava di fatto inferiore alla media prevista dalla legge per quel reato (che va da sei mesi a cinque anni di reclusione). Richiamando la propria giurisprudenza consolidata (Sez. 3, n. 29968/2019; Sez. 2, n. 36104/2017), ha ribadito un principio fondamentale: non è necessaria una motivazione specifica e dettagliata quando la pena viene determinata su valori medi. La scelta di una pena non vicina al minimo edittale era comunque giustificata dalla pericolosità della fuga, che aveva messo a repentaglio la sicurezza pubblica.

Le Motivazioni

Sul secondo punto, relativo alla recidiva, la Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito. L’applicazione dell’aggravante era stata sufficientemente giustificata non solo dai precedenti penali dell’imputato (per furto e porto d’armi), ma anche dalle specifiche modalità della condotta. La prolungata fuga lungo le vie cittadine, in orario di traffico intenso, è stata interpretata come un chiaro indicatore di una “particolare inclinazione al crimine”. Secondo la Corte, tale comportamento dimostra un’elevata colpevolezza e un mancato ravvedimento, elementi che legittimano pienamente l’aumento di pena per la recidiva. La condotta non è stata una semplice omissione, ma un’azione attiva e pericolosa volta a sottrarsi alla legge.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rafforza due importanti principi. In primo luogo, la discrezionalità del giudice nella commisurazione della pena trova un limite nella necessità di motivazione solo quando ci si discosta significativamente dai valori medi edittali. Se la pena è equa e proporzionata, una motivazione sintetica è sufficiente. In secondo luogo, la recidiva non è un automatismo legato ai soli precedenti penali, ma deve essere valutata alla luce della condotta specifica del reo, che può rivelare una maggiore pericolosità sociale e una più spiccata colpevolezza. La fuga per sottrarsi a un controllo, se condotta con modalità pericolose per la collettività, è un fattore che giustifica un trattamento sanzionatorio più severo.

Quando il giudice deve fornire una motivazione dettagliata per la pena inflitta?
Secondo la Corte, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione quando la pena viene determinata secondo valori medi rispetto all’intervallo previsto dalla legge (minimo e massimo edittale). Una motivazione più approfondita è richiesta quando la pena si avvicina al massimo o si discosta significativamente dalla media.

La sola fuga per evitare un controllo di polizia è sufficiente a giustificare una pena severa?
Sì, se la fuga avviene con modalità pericolose. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la fuga in moto per le vie cittadine in orario di traffico ha messo “in pericolo la vita propria e altrui”, giustificando una pena superiore al minimo edittale, anche in assenza di violenza fisica diretta contro gli agenti.

Come si giustifica l’applicazione dell’aggravante della recidiva?
L’applicazione della recidiva è stata giustificata non solo sulla base dei precedenti penali dell’imputato, ma anche analizzando il comportamento tenuto durante il reato. La prolungata e pericolosa fuga è stata considerata un sintomo di una “particolare inclinazione al crimine” e di un mancato ravvedimento, legittimando così l’aumento della pena.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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