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Pena reato permanente: quando si applica la legge?

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un condannato per associazione di tipo mafioso che chiedeva la rideterminazione della pena. L’imputato sosteneva l’applicazione di una legge più favorevole, affermando che la sua condotta si era interrotta prima dell’entrata in vigore di una norma più severa. La Corte ha stabilito che la durata del reato permanente, una volta accertata nel processo di cognizione e passata in giudicato, non può essere modificata in fase esecutiva. Pertanto, la pena calcolata sulla base della legge più sfavorevole, in vigore al momento della sentenza di primo grado, è stata ritenuta corretta.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena Reato Permanente e Legge Sopravvenuta: La Cassazione Fissa i Paletti

Quando una legge che inasprisce le sanzioni entra in vigore, come si calcola la pena per un reato permanente che si è protratto a cavallo del cambiamento normativo? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23884 del 2024, offre un chiarimento fondamentale, tracciando una linea netta tra le competenze del giudice del processo e quelle del giudice dell’esecuzione. La decisione ribadisce un principio cardine del nostro ordinamento: i fatti accertati con sentenza definitiva non possono essere rimessi in discussione.

I Fatti del Caso

Un soggetto, condannato in via definitiva per il reato di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), si rivolgeva al giudice dell’esecuzione chiedendo una rideterminazione della pena. La sua tesi era semplice: la sua partecipazione al sodalizio criminale si era interrotta nel 2012. Pertanto, a suo avviso, la pena avrebbe dovuto essere calcolata sulla base della legge all’epoca in vigore, più mite rispetto a quella introdotta dalla Legge n. 69 del 2015.

I giudici di merito, tuttavia, avevano applicato proprio la normativa più severa del 2015. La motivazione risiedeva nella natura del reato contestato: la condotta di partecipazione era stata giudicata “in permanenza attuale”, con il momento consumativo fissato alla data della sentenza di primo grado, emessa nel 2016 e quindi successiva alla riforma legislativa. L’imputato, non soddisfatto, proponeva ricorso in Cassazione, sostenendo che il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto accertare l’effettivo momento di cessazione della sua condotta.

La Questione sulla Pena Reato Permanente

Il nucleo del problema giuridico riguarda la successione di leggi penali nel tempo in relazione a un reato permanente. A differenza dei reati istantanei, che si consumano in un unico momento, i reati permanenti vedono la condotta antigiuridica protrarsi nel tempo. Se durante questo periodo interviene una nuova legge che modifica il trattamento sanzionatorio, quale si applica?

La regola generale vuole che si applichi la legge in vigore al momento della cessazione della permanenza. Nel caso specifico, l’imputato sosteneva che la sua condotta fosse cessata prima della legge sfavorevole, mentre i giudici del processo avevano concluso che fosse proseguita fino alla sentenza di primo grado. La domanda cruciale diventava quindi: il giudice dell’esecuzione può rimettere in discussione questa valutazione temporale per ricalcolare la pena del reato permanente?

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, giudicandolo infondato. Il ragionamento dei giudici si basa sulla netta distinzione tra la fase di cognizione (il processo che porta alla sentenza) e la fase di esecuzione (il periodo successivo alla sentenza definitiva).

La Corte ha affermato che la determinazione del tempus commisi delicti, ovvero del momento in cui il reato è stato commesso e, per i reati permanenti, è cessato, costituisce un accertamento di fatto che rientra nella competenza esclusiva del giudice della cognizione. Tale valutazione, una volta contenuta in una sentenza passata in giudicato, diventa intangibile.

Nel caso in esame, il giudice del processo aveva già affrontato e risolto la questione, ritenendo che la cosiddetta “contestazione aperta” del reato associativo implicasse la continuazione della condotta fino alla pronuncia di primo grado. Questa ricostruzione fattuale aveva legittimato l’applicazione della nuova e più severa cornice edittale introdotta nel 2015. Qualsiasi doglianza contro questa decisione, sottolinea la Cassazione, avrebbe dovuto essere sollevata durante i gradi di giudizio del processo principale, non in sede esecutiva.

In altre parole, non è consentito utilizzare la fase esecutiva per “modificare la data del commesso reato”, come accertata nel giudizio di cognizione, anche qualora l’imputazione non indichi una data precisa di cessazione della condotta.

Le Conclusioni

La sentenza riafferma un principio cruciale per la certezza del diritto: il giudicato penale ha un’efficacia preclusiva. Il giudice dell’esecuzione non ha il potere di compiere nuove valutazioni di merito sui fatti che hanno portato alla condanna. La sua funzione è quella di garantire la corretta esecuzione della pena così come determinata nella sentenza irrevocabile.

L’insegnamento pratico è chiaro: le questioni relative alla durata della condotta in un reato permanente, specialmente quando incidono sulla legge applicabile e sulla quantificazione della pena, devono essere dibattute e provate con forza durante il processo. Una volta che la campana del giudicato è suonata, non è più possibile riaprire la partita per ottenere un trattamento sanzionatorio più favorevole.

È possibile chiedere al giudice dell’esecuzione di modificare la data di commissione di un reato permanente per ottenere una pena più mite?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la determinazione della data di cessazione di un reato permanente è una valutazione di fatto che spetta al giudice della cognizione (cioè del processo). Una volta che la sentenza è diventata definitiva, tale accertamento non può più essere messo in discussione in sede esecutiva.

Cosa succede se una legge che prevede una pena più severa entra in vigore mentre un reato permanente è ancora in corso?
Si applica la legge più severa. Per i reati permanenti, la condotta illecita si considera protratta nel tempo. Se una nuova legge che inasprisce la pena entra in vigore prima che la condotta sia cessata, si applica la nuova e più sfavorevole disciplina, poiché il reato si considera commesso anche sotto la sua vigenza.

Qual è la conseguenza di una “contestazione aperta” in un processo per reato associativo?
Una “contestazione aperta”, in cui non viene indicata una data finale precisa della condotta, implica che il reato si considera in essere fino al momento della sentenza di primo grado o di un altro evento interruttivo come l’arresto. Nel caso di specie, questo ha comportato l’applicazione della nuova cornice sanzionatoria più grave, entrata in vigore prima della sentenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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