Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 44737 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 44737 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME nato a Bari il 12 novembre 1971; COGNOME NOME nato a Napoli il 21 marzo 1980; COGNOME NOME nato a Bari il 31 agosto 1980; COGNOME NOME nato a Bari 1’11 luglio 1967; COGNOME NOME nato a Molfetta il 27 agosto 1982;
avverso la sentenza del 4 dicembre 2023 della Corte d’appello di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi; uditi gli avv.ti:
NOME COGNOME in qualità di sostituto processuale dell’avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’interesse, rispettivamente, dell’Autorità di
Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale e della Federazione RAGIONE_SOCIALE, che hanno concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME i quali hanno insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Oggetto dell’impugnazione è la sentenza, emessa in sede di rinvio (disposto, da questa Corte, con sentenza del 7 settembre 2022) dalla Corte d’appello di Bari, con la quale, per quel che rileva in questa sede, sono state rideterminate le pene irrogate agli odierni ricorrenti in relazione ai plurimi reati per i quali è intervenuta condanna. In particolare:
a NOME COGNOME è stata irrogata la pena (finale) di anni sedici di reclusione per i reati di partecipazione ad associazione mafiosa armata, con il ruolo di organizzatore (capo A, in questo assorbito il delitto di associazione finalizzata al narcotraffico di cui al capo B); traffico illecito di sostanze stupefacenti (artt. 73 e 80 d.P.R. n. 309 del 1990, per l’acquisto di 70 kg. di hashish, aggravato dall’art. 7 d.l. n. 152 del 1991: capo B1); porto e detenzione di un’arma da guerra (artt. 2, 4 e 7 legge n. 897 del 1967, aggravati dall’art. 7 d.l. n. 152 del 1991: capo C), nonché di un fucile a canne mozze, un fucile mitragliatore Kalashnikov, una pistola semiautomatica, una pistola a tamburo, munizionamento vario, parti di arma, aggravati dall’art. 7 d.l. n. 152 del 1991 (capo C3); estorsione in danno di un operatore commerciale (art. 629 cod. pen, aggravato dall’art. 7 d.l. n. 152 del 1991: capo D1); partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata alla consumazione di delitti contro il patrimonio (art. 416 cod. pen.: capo E);
a NOME COGNOME è stata irrogata la pena di anni sette e mesi quattro di reclusione, per i reati di partecipazione ad associazione mafiosa armata (capo A, in questo assorbito il delitto di associazione finalizzata al narcotraffico di cui al capo B); traffico illecito di sostanze stupefacenti (artt. 73 e 80 d.P.R. n. 309 del 1990, in relazione ai diversi episodi di spaccio contestati, aggravati dall’art. 7 d.l. n. 152 del 1991: capo B9);
a NOME COGNOME riconosciute le circostanze attenuanti generiche e l’attenuante di cui all’art. 416-bis.1, comma 3, cod. pen. prevalenti sulle aggravanti contestate, è stata irrogata la pena complessiva di anni tre, mesi cinque e giorni dieci di reclusione in relazione ai reati di associazione mafiosa armata, con il ruolo di partecipe (capo A, in questo assorbito il delitto di associazione finalizzata al narcotraffico di cui al capo B); traffico illecito di sostanze stupefacenti (artt. 73 e 80 d.P.R. n. 309 del 1990, in relazione all’acquisto di 52 chilogrammi di marijuana, aggravato dall’art. 7 d.l. n. 152 del 1991: capo B12);
ricettazione (art. 648 cod. pen.), porto e detenzione di quattro pistole e due giubbotti antiproiettili (artt. 2, 4 e 7 legge n. 897 del 1967, aggravati dall’art. 7 d.l. n. 152 del 1991: capo C7); porto e detenzione di armi comuni da sparo (artt. 4 e 7 legge n. 895 del 1967, aggravati dall’art. 7 d.l. n. 152 del 1991: capo C8); tentata rapina in concorso, (art. 628 cod. pen., aggravata dall’art. 7 d.l. n. 152 del 1991: capo E5);
a NOME COGNOME esclusa la recidiva e il ruolo di organizzatore, riconosciute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti, è stata irrogata la pena finale di anni otto e mesi quattro di reclusione, in relazione ai reati di associazione mafiosa armata, con il ruolo di partecipe (capo A, in questo assorbito il delitto di associazione finalizzata al narcotraffico di cui al capo B); traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti (capo B1); porto e detenzione di un’arma da guerra (capo C); ricettazione, detenzione e trasporto di quattro pistole e due giubbotti antiproiettili, aggravati dall’art. 7 d.l. n. 152 del 1991 (capo C7); estorsione in danno di un operatore commerciale (capi D1 e D5); lesioni personali aggravate in concorso (capo D6); induzione indebita di utilità in concorso (capo D7); tentata rapina in concorso, ricettazione, porto e detenzione di un’arma da fuoco (capo E5);
nei confronti di NOME COGNOME (dichiarato non doversi procedere per ne bis in idem in relazione al capo B11), la pena è stata rideterminata per il solo residuo capo C5, in 1 anno e 8 mesi di reclusione e 2.000 euro di multa, tenuto conto delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche e della continuazione interna.
I ricorsi proposti dagli imputati attengono tutti al trattamento sanzionatorio.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME si compone di cinque motivi d’impugnazione (anche se la numerazione ne indica sei), tutti formulati in termini di violazione di legge (in relazione agli artt. 81 cod. pen., 125 e 546 cod. proc. pen.) e connesso vizio di motivazione.
3.1. Il primo attiene al calcolo dell’aumento previsto a titolo di continuazione in relazione al capo Bl. La difesa sostiene che il predetto aumento (di anni tre di reclusione) sarebbe sproporzionato sia rispetto a quelli irrogati per gli altri capi d’imputazione, sia rispetto alla stessa pena base, alla luce dei limiti edittali previsti per il reato di cui al capo Bl, significativamente inferiori rispetto quelli indicati per il reato ritenuto più grave (in relazione al quale, invece, è stato irrogato il minimo edittale). Tutto ciò senza adeguata motivazione.
3.2. Il secondo motivo attiene ai capi C e C3. La difesa sostiene che l’aumento effettuato per quest’ultimo capo (anni tre di reclusione), per il quale è previsto un massimo edittale non superiore a 16 anni di reclusione, sarebbe sproporzionato rispetto a quello effettuato per il capo C (anni uno e mesi sei di reclusione) ed incoerente con quello indicato per il capo B1 (anni tre di reclusione), per il quale è prevista una pena edittale massima molto più bassa.
3.3. Il terzo motivo attiene al capo D1 e deduce che l’aumento (pari ad anni due di reclusione) previsto per tale reato (un’estorsione aggravata dall’art. 7 d.l. n. 152 del 1991, per il quale è prevista una pena edittale massima pari ad anni 30 di reclusione), sarebbe logicamente sproporzionato rispetto agli aumenti irrogati per i reati di cui ai capi B1 e C3 (ciascuno determinato in anni tre di reclusione), aventi pene edittali significativamente più basse.
3.4. Il quarto motivo attiene all’aumento irrogato in relazione al capo E (anni due e mesi sei di reclusione), addirittura superiore a quello irrogato per il reato di cui al capo D1 (anni due), punito con una pena edittale massima tripla rispetto a quella del capo E.
3.5. Il quinto motivo attiene al mancato riconoscimento, per i reati satellite, delle circostanze attenuanti generiche, già riconosciute, invece, per il reato più grave.
I ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME si compongono, ciascuno, di un unico motivo d’impugnazione.
4.1. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME deduce violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento alla determinazione della pena irrogata (in misura superiore al minimo edittale), ritenendosi apparente la motivazione offerta dalla Corte (riferita al numero di dosi accertate e all’eterogeneità delle sostanze stupefacenti spacciate).
4.2. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME deduce che la Corte territoriale, omettendo di applicare l’attenuante speciale di cui al settimo comma dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, avrebbe operato una reformatio in peius. E ciò perché il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 non sarebbe stato escluso, ma solo dichiarato assorbito in quello di associazione mafiosa, cosicché l’attenuante ad effetto speciale (originariamente riconosciuta per il reato assorbito) avrebbe dovuto essere confermata, applicando la relativa riduzione di pena.
4.3. Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME deduce violazione di legge e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sia nella parte in cui è stata irrogata al ricorrente e a NOME COGNOME la stessa pena base di
12 anni di reclusione (incoerente con l’esclusione per il Lorusso del ruolo di organizzatore); sia nella parte in cui gli aumenti irrogati a titolo di continuazione per i reati satellite risulterebbero radicalmente privi di motivazione, tanto più alla luce dell’eterogeneità delle fattispecie e della significativa sproporzione dell’aumento complessivo (determinato in anni quattro e mesi sei di reclusione) rispetto alla pena base (anni dodici di reclusione).
4.4. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME deduce violazione degli artt. 597 e 627, comma 3, del codice di procedura penale. Sostiene la difesa che l’originaria statuizione in ordine al trattamento sanzionatorio era stata annullata, da questa Corte, per un vizio nella determinazione della pena base (individuata, nonostante il riconoscimento delle generiche prevalenti, nella stessa misura indicata dal primo giudice con riferimento alla fattispecie aggravata). Da ciò, secondo la prospettazione difensiva, deriverebbe il vincolo per il giudice del rinvio di determinare la pena base in misura più bassa di quella indicata in precedenza e, conseguentemente, intervenuto il proscioglimento per il reato ritenuto più grave, l’onere di stabilire, preliminarmente, la pena che si sarebbe dovuta infliggere, in astratto, per il capo per il quale era intervenuto il proscioglimento (in ossequio alla pronuncia rescindente) e in questa pena individuare il limite massimo non aggravabile.
Il 7 ottobre 2024, l’avv. NOME COGNOME ha depositato una memoria, nell’interesse di NOME COGNOME con la quale, anche in replica alla requisitoria del Pubblico Ministero, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
1.1. I primi quattro motivi sono indeducibili.
Deve premettersi che la graduazione della pena presuppone un apprezzamento in fatto e un conseguente esercizio di discrezionalità (ed è, quindi, riservata al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità, ove non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione: Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142).
Naturale corollario di tale assunto è che il giudice deve dar conto, sia pure sinteticamente, delle singole decisioni adottate nell’esercizio del suo potere discrezionale, ivi compresa la determinazione dell’aumento di pena per i singoli reati satellite (Sez. 6, n. 48009 del 28/09/2016, COGNOME, Rv. 26813); onere di ripartita indicazione che consente non solo la scissione delle pene (ove necessaria), ma anche la valutazione dell’osservanza del limite di cui all’art. 81 cod. pen. e del rispetto del principio di proporzionalità (Sez. U, n. 40983 del
21/06/2018, COGNOME, Rv. 273750). Onere che può ritenersi adempiuto allorché il giudice di merito abbia indicato, nel corpo della sentenza, gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998, Rv. 211582; Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, dep. 2014, Rv. 258410) ed è tanto meno stringente quanto più la determinazione è prossima al minimo edittale, rimanendo, in ultimo, sufficiente il semplice richiamo al criterio di adeguatezza, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 28852 del 08/052013, Rv. 256464).
Ciò considerato, il ricorrente è stato condannato alla pena finale di anni 16 di reclusione, alla quale si è giunti partendo dalla pena base determinata, per il più grave di cui capo A, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla aggravante della associazione armata e alla recidiva, in anni dodici di reclusione, aumentata di anni tre di reclusione per il capo B1 (il traffico illecito di 70 kg. di hashish, aggravato dall’art. 7 d.l. n. 152 del 1991), d uno anno e mesi sei di reclusione per il capo C (il porto e la detenzione di un’arma da guerra, aggravati dall’art. 7 d.l. n. 152 del 1991), di anni tre per il capo C3 (il porto e la detenzione di un fucile a canne mozze, un fucile mitragliatore Kalashnikov, una pistola semiautomatica, una pistola a tamburo, munizionamento vario, parti di arma, aggravata idall’art. 7 d.l. n. 152 del 1991), di anni due di reclusione per il capo DI. (l’estorsione in danno di un operatore commerciale), di anni due e mesi sei per il capo E (la partecipazione ad un’associazione per delinquere finalizzata alla consumazione di delitti contro il patrimonio); e, così, giungendo alla pena complessiva di anni ventiquattro di reclusione, ridotta ad anni sedici per la scelta del rito (abbreviato).
Nell’indicazione dei motivi che hanno giustificato l’esercizio del potere discrezionale, la Corte territoriale ha precisato di aver valutato la pericolosità del soggetto (particolarmente proclive a delinquere, per come desumibile dai suoi precedenti penali) e la concreta gravità dei plurimi reati contestati, determinando la pena nel rispetto dei criteri indicati negli artt. 81, commi 1 e 3, e 133 del codice penale.
A fronte di ciò, il ricorrente deduce violazione del principio di proporzionalità nella sola misura in cui gli aumenti concretamente irrogati (nei termini indicati in precedenza) non risulterebbero coerenti rispetto alle pene edittali normativamente previste in relazione ai singoli reati.
L’assunto dal quale muove il ricorrente è corretto. Il potere discrezionale riconosciuto al giudice di merito nella determinazione del trattamento sanzionatorio va esercitato alla luce della necessaria correlazione che deve esistere tra la pena e la sua funzione rieducativa, perseguibile solo a condizione che la
pena abbia una sua intrinseca razionalità e proporzionalità; caratteri necessari affinché il trattamento sanzionatorio non risulti discriminatorio e sia coerente al principio di uguaglianza (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269).
In questo contesto, la proporzionalità della pena è un requisito indifendibile, funzionale a rendere il trattamento sanzionatorio coerente con i principi costituzionali (nonostante non sia esplicitamente menzionato all’interno della Carta costituzionale), in quanto strettamente legato al concetto di pena illegale e alla funzione rieducativa che l’articolo 27 della costituzioneCostituzione assegna al trattamento sanzionatorio; funzione rieducativa che presuppone ncccssanimcnteineluttabilmente la ragionevolezza del concreto trattamento sanzionatorio, essa stessa necessariamente legata alla sua proporzionalità rispetto alla meritevolezza e al bisogno di pena del reo (sez. U. COGNOME, cit., in motivazione).
Ciò considerato, tuttavia, la censura, formulata nei termini in precedenza indicati, è generica inn quanto si limita a dedurre un’asserita sproporzione “matematica” tra diversi reati e il dato richiamato non permette di apprezzare la concreta gravità del reato, nella sua dimensione fenonrienologica.
L’assunto, infatti, presuppone che tra i diversi reati avvinti nel vincolo della continuazione vi siano “precisi rapporti matematici”, per cui ad identiche pene edittali astrattamente comminate debbano corrispondere medesime sanzioni irrogate in concreto. Assunto che è manifestamente infondato.
Tra i vari reati che compongono il reato continuato non esistono mere “relazioni traducibili in formule matematiche”: la gravità concreta di ciascuno di essi risente non solo dei confini edittali della pena comminata, ma anche (e più specificamente) delle individuali dimensioni fattuali, da valutare alla luce dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. U, n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263717; Sez. 2, n. 25273 del 11/04/2024, Pepe, Rv. 286681).
Ed in ciò la genericità delle censure: postulando solo un’asserita incoerenza algebrica nelle proporzioni tra aumenti irrogati e corrispondenti pene edittali, non tiene conto della gravità concreta di ogni singolo reato, per come descritto nel capo d’imputazione ed accertato in sentenza, unico dato al quale ancorare, nel rispetto del principio di proporzionalità, la quantificazione dell’aumento.
1.2. Inammissibile, infine, è l’ultimo motivo, il quinto, per manifesta infondatezza.
Il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento, per i reati satellite, delle circostanze attenuanti generiche, già riconosciute, invece, per il reato più grave.
Anche in questo caso, la censura è formulata in termini generici.
Nella determinazione complessiva del trattamento sanzionatorio da irrogare per un reato continuato, il giudizio di comparazione fra circostanze (e la
conseguente quantificazione del relativo trattamento sanzionatorio) trova applicazione solo con riguardo alle aggravanti e alle attenuanti che si riferiscono al fatto considerato come violazione più grave: quelle relative ai reati “satellite” rilevano solo ai fini dell’aumento di pena ex art. 81 cod. pen., determinato complessivamente, all’esito di una valutazione globale di tutti gli elementi circostanziali e, fra questi, anche quelli eventualmente già considerati, ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen., nella determinazione della pena base (Sez. 1, n. 13369 del 13/02/2018, COGNOME, Rv. 272567; Sez. 3, n. 26340 del 25/03/2014, COGNOME, Rv. 260057). E tanto, sotto il profilo motivazionale, esclude l’onere di dar conto dell’incidenza sul quantum di pena stabilito a titolo di aumento per la continuazione, delle singole circostanze (attenuanti od aggravanti) applicabili a ciascun reato satellite o del loro eventuale bilanciamento.
L’unico motivo di ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è indeducibile per genericità.
La Corte giustifica la determinazione della pena base (anni nove di reclusione) e il conseguente (limitato) discostamento dalla pena base in ragione del numero di dosi accertate e dell’eterogeneità delle sostanze stupefacenti spacciate.
Il ricorrente non si confronta (specificamente) con tale dato e tanto rende la censura prospettata generica, mancando ogni indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione (Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, COGNOME, Rv, 236945).
L’unico motivo di ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME anch’esso indeducibile, ma per manifesta infondatezza.
Il ricorrente deduce una violazione del divieto della reformatio in peius, in quanto non sarebbe stata applicata l’attenuante ad effetto speciale originariamente riconosciuta per il reato di cui all’art. 74. Ma il reato invocato dal ricorrente è stato ritenuto assorbito nel reato di associazione mafiosa e l’assorbimento consiste nell’elisione di uno dei reati contestati in quanto ricompreso, nella sua valenza fattuale e giuridica, in altro; per cui, non essendo intervenuta condanna per il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, l’attenuante speciale ad esso relativa non poteva essere più computata e l’originaria determinazione sanzionatoria non può essere presa come criterio di comparazione ai fini della successiva quantificazione della pena base.
L’unico motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha dato atto sia delle ragioni per le quali è giunta a determinare la pena base (applicata, per il reato associativo, nella stessa misura di quella del Capriati, nonostante l’esclusione del ruolo di organizzatore), giustificando il discostamento dal minimo in ragione della partecipazione “qualificata” del COGNOME, diretto collaboratore del Capriati; sia dei criteri alla luc dei quali è giunta alla determinazione degli aumenti irrogati a titolo di continuazione, motivando espressamente in relazione agli aumenti disposti per il capo B1 (in ragione del quantitativo particolarmente ingente di stupefacente acquistato) e per i capi C e C7 (giustificandoli in ragione della particolare gravità dei fatti in materia di armi), limitandosi a rinviare ai criteri generali per i resid aumenti.
La motivazione esiste e non è né manifestamente illogica, né contraddittoria (rispetto alla parallela esclusione del ruolo di organizzatore, della quale, anzi è logica conseguenza) e, nella sua “intensità”, alla luce di quanto osservato in precedenza con riferimento alla posizione del COGNOME, coerente con l’entità della pena irrogata.
In ultimo, per completezza, la censura afferente alla prospettata sproporzione degli aumenti, complessivamente determinati, rispetto alla pena base è formulata in termini del tutto generici, non potendosi comprendere le ragioni alla luce delle quali tale sproporzione dovrebbe sussistere. Tanto più che, in concreto, l’aumento complessivo è stato di anni quattro e mesi sei di reclusione per ben otto reati avvinti dal vincolo della continuazione.
A identiche conclusioni anche con riferimento all’unico motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME, anch’esso manifestamente infondato.
Valgono le medesime osservazioni offerte in relazione al coimputato COGNOME: a seguito della più favorevole statuizione adottata nel giudizio di rinvio con riferimento al reato già considerato come più grave ai fini della continuazione, l’unico limite, matematico, è costituito dal divieto di irrogare la pena in misura superiore a quella individuata nel giudizio precedente.
Cosicché, non viola il divieto di reformatio in peius il giudice di appello che, assolto l’imputato, esclusivo impugnante, dal reato preso in considerazione per determinare la pena base, ridetermini la pena per il residuo reato in misura superiore a quella originariamente stabilita, senza superare né la pena base, né quella complessiva già determinate dal giudice di primo grado (Sez. 5, n. 44632 del 06/10/2021, COGNOME, Rv. 282279).
Limiti, in questo caso, rispettati, con applicazione di una pena finale anche più bassa rispetto a quella irrogata nel primo giudizio.
In conclusione, tutti i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti devono essere condannati, in solido, al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Nulla può essere liquidato a titolo di spese in favore delle parti civili: essendo i motivi di ricorso afferenti esclusivamente al trattamento sanzionatorio dall’eventuale loro accoglimento non potrebbe derivare alcun pregiudizio alla parte civile; cosicché quest’ultima non ha interesse a formulare proprie conclusioni nel conseguente giudizio e, quindi, pur se esercita il suo diritto a partecipare, non ha titolo alla rifusione delle spese processuali (Sez. 4, n. 22697 del 09/07/2020, L., Rv. 279514; Sez. 5, n. 47876 del 12/11/2012, COGNOME, Rv. 254525).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Nulla per le spese delle parti civili.
Così deciso 1’11 ottobre 2024
Il Consigliene estensore
Il Presidente