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Pena reato continuato: come si calcola la sanzione?

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per furto continuato. La Corte ha ribadito i criteri per la determinazione della pena reato continuato, specificando che il giudice non è tenuto a una motivazione dettagliata per aumenti di pena di esigua entità. Inoltre, ha sottolineato che i motivi di appello devono essere sollevati nell’atto di impugnazione e non tardivamente nelle conclusioni scritte.

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Pubblicato il 10 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena Reato Continuato: Quando la Motivazione del Giudice Può Essere Sintetica?

La corretta determinazione della pena reato continuato rappresenta un momento cruciale del processo penale, che bilancia la gravità dei fatti con i principi di proporzionalità. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti su due aspetti fondamentali: il grado di dettaglio richiesto nella motivazione degli aumenti di pena per i reati satellite e la tempestività con cui devono essere proposti i motivi di appello. Analizziamo insieme la decisione per comprendere le sue implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da una donna condannata in primo e secondo grado per il delitto continuato di furto. La Corte d’Appello aveva confermato la sentenza, riconoscendo le circostanze attenuanti generiche come equivalenti alla recidiva reiterata e infraquinquennale contestata. L’imputata ha quindi proposto ricorso per cassazione, affidandolo a due principali motivi di doglianza.

I Motivi del Ricorso: Calcolo della Pena e Recidiva

La difesa lamentava, in primo luogo, una violazione di legge e un vizio di motivazione riguardo al calcolo del trattamento sanzionatorio. Secondo la ricorrente, la Corte territoriale si era limitata a confermare la pena complessiva decisa in primo grado (nove mesi di reclusione e 300 euro di multa) senza specificare la pena base per il reato più grave e i singoli aumenti applicati per i reati satellite, come previsto dall’art. 81 del codice penale.

In secondo luogo, si contestava il vizio di motivazione riguardo alla sussistenza della recidiva, sostenendo che tale questione non fosse stata adeguatamente valutata dai giudici di merito.

L’Analisi della Cassazione sulla Pena Reato Continuato

La Suprema Corte ha ritenuto il primo motivo manifestamente infondato e generico. Pur richiamando il principio consolidato delle Sezioni Unite (sent. ‘Pizzone’ n. 47127/2021), secondo cui il giudice deve calcolare e motivare distintamente gli aumenti di pena per ciascun reato satellite, ha precisato un aspetto fondamentale. Il grado di dettaglio della motivazione è direttamente proporzionale all’entità degli aumenti stessi.

Quando gli aumenti sono di “esigua entità”, come nel caso di specie, non è richiesta una motivazione specifica e dettagliata. L’importante è che la pena complessiva risulti congrua e proporzionata, rispettando i limiti edittali e non mascherando un mero cumulo materiale delle pene. Nel caso in esame, la pena di nove mesi per due episodi di furto è stata ritenuta congrua, e la difesa non aveva sollevato censure puntuali su una presunta sproporzione.

La Tardività del Motivo sulla Recidiva

Il secondo motivo è stato dichiarato inammissibile per una ragione puramente procedurale. La Corte ha rilevato che la censura sulla recidiva non era stata sollevata ritualmente nell’atto di appello, ma era stata introdotta per la prima volta solo nelle conclusioni scritte depositate pochi giorni prima dell’udienza di secondo grado. Tale modalità tardiva di presentazione rende il motivo non ritualmente proposto, esonerando il giudice d’appello dall’obbligo di fornire una risposta motivata. Di conseguenza, la mancanza di motivazione su un punto non correttamente sottoposto al suo esame non può essere validamente contestata in Cassazione.

Le motivazioni della decisione

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso basandosi su due pilastri argomentativi. Per quanto riguarda il calcolo della pena reato continuato, ha applicato un principio di ragionevolezza, stabilendo che l’obbligo di motivazione dettagliata si attenua di fronte ad aumenti di pena minimi, purché la sanzione finale sia proporzionata. Per quanto concerne la questione della recidiva, ha riaffermato una regola procedurale fondamentale: i motivi di impugnazione devono essere cristallizzati nell’atto di appello e non possono essere introdotti surrettiziamente in fasi successive del giudizio.

Conclusioni: principi da ricordare

Questa ordinanza fornisce due importanti lezioni. La prima è che, nel calcolo della pena per il reato continuato, non ogni aumento richiede una giustificazione analitica; la congruità complessiva della pena, se gli aumenti sono esigui, può essere sufficiente a soddisfare l’obbligo di motivazione. La seconda è un monito per la difesa: la strategia processuale deve essere definita con chiarezza fin dall’atto di impugnazione. Introdurre nuovi argomenti in modo tardivo equivale a non proporli affatto, con la conseguenza di precludersi la possibilità di una revisione su quel punto specifico.

Quando il giudice calcola la pena per un reato continuato, è sempre tenuto a motivare in modo dettagliato ogni singolo aumento per i reati ‘satellite’?
No. Secondo la Cassazione, richiamando le Sezioni Unite, il giudice non è tenuto a fornire una motivazione specifica e dettagliata se gli aumenti di pena sono di esigua entità. L’importante è che sia rispettato un rapporto di proporzione e i limiti di legge, e che la pena complessiva risulti congrua.

È possibile introdurre un nuovo motivo di ricorso in appello tramite le conclusioni scritte presentate poco prima dell’udienza?
No. La Corte ha stabilito che i motivi di appello devono essere presentati nell’atto di impugnazione iniziale. Un motivo sollevato per la prima volta e tardivamente nelle conclusioni scritte non è ritualmente proposto, e il giudice non è tenuto a motivare su di esso.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene giudicato palesemente inammissibile?
In caso di evidente inammissibilità del ricorso, il ricorrente viene condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, a titolo sanzionatorio per aver promosso un’impugnazione infondata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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