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Pena più grave: come si calcola nel rito abbreviato

La Corte di Cassazione ha stabilito che, per calcolare la pena complessiva in caso di reato continuato, la “pena più grave” da considerare è quella concretamente inflitta dal giudice dopo la riduzione per il rito abbreviato (es. trent’anni), e non quella edittale (es. ergastolo). Questa decisione, basata su un recente intervento delle Sezioni Unite, supera il precedente orientamento e permette di riesaminare casi già decisi, annullando una precedente ordinanza e rideterminando direttamente la pena.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena più grave e rito abbreviato: la Cassazione cambia rotta

La determinazione della pena più grave in caso di reato continuato è un tema centrale nel diritto penale esecutivo. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 33312 del 2024, ha chiarito un punto fondamentale: quando uno dei reati è stato giudicato con rito abbreviato, la pena da considerare come base per il calcolo non è quella teorica prevista dalla legge (l’ergastolo), ma quella concretamente inflitta dopo lo sconto di pena (trent’anni). Questa pronuncia, allineandosi a un recente intervento delle Sezioni Unite, non solo risolve un contrasto giurisprudenziale, ma stabilisce che un tale cambiamento interpretativo può superare persino il cosiddetto “giudicato esecutivo”.

I fatti del caso

Il caso riguarda un condannato per due distinti omicidi. Per entrambi i delitti, l’imputato aveva scelto il rito abbreviato, ottenendo la sostituzione della pena dell’ergastolo con quella di trent’anni di reclusione. Successivamente, in sede di esecuzione, veniva richiesto il riconoscimento della continuazione tra i due reati. Il giudice dell’esecuzione, nel 2017, pur riconoscendo il vincolo, aveva rideterminato la pena complessiva nell’ergastolo. La sua decisione si basava sul principio, all’epoca prevalente, secondo cui la pena più grave da considerare fosse quella edittale prevista per il reato, senza tener conto della riduzione ottenuta grazie al rito speciale.

Questa decisione era stata confermata dalla Cassazione e un successivo ricorso era stato dichiarato inammissibile per la formazione del “giudicato esecutivo”, che impedisce di ridiscutere questioni già decise.

L’importanza della pena più grave nel calcolo della continuazione

L’articolo 81 del codice penale disciplina il reato continuato, stabilendo che chi commette più reati in esecuzione di un medesimo disegno criminoso è punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata fino al triplo. La corretta individuazione della pena più grave è quindi il fulcro del calcolo. Il dilemma era se considerare come tale la pena astratta prevista dalla norma o quella concreta applicata dal giudice. Il precedente orientamento favoriva la prima opzione, portando a risultati molto più severi per il condannato.

L’intervento risolutore delle Sezioni Unite

La situazione è radicalmente cambiata con la sentenza “Giampà” (n. 7029/2024) delle Sezioni Unite della Cassazione. Con questa storica pronuncia, la Suprema Corte ha stabilito due principi di diritto:

1. Ai fini dell’individuazione della violazione più grave in sede esecutiva, la “pena più grave inflitta” è quella concretamente irrogata dal giudice della cognizione e indicata nel dispositivo di sentenza.
2. Di conseguenza, nel caso di reati giudicati con rito abbreviato, la pena da considerare è quella risultante dopo la riduzione di un terzo, e non quella edittale.

Questo nuovo orientamento ha di fatto ribaltato l’interpretazione precedente.

Le motivazioni della Cassazione

Nella sentenza in commento, la Cassazione ha riconosciuto il netto contrasto tra i principi affermati dalle Sezioni Unite e la decisione precedentemente presa nei confronti del ricorrente. Il punto cruciale della motivazione risiede nel superamento del “giudicato esecutivo”. La Corte ha ribadito che una pronuncia delle Sezioni Unite costituisce un “nuovo elemento di diritto” idoneo a superare la preclusione processuale. Di conseguenza, la richiesta del condannato non era una mera riproposizione di una questione già decisa, ma si fondava su un mutamento giurisprudenziale di tale portata da rendere ammissibile un nuovo esame.

Le conclusioni

In virtù di queste considerazioni, la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata. Ciò significa che non solo ha cassato la decisione del giudice dell’esecuzione, ma ha anche deciso direttamente nel merito, rideterminando la pena finale in trent’anni di reclusione. La Corte ha ritenuto di poterlo fare perché non era necessario alcun ulteriore accertamento di fatto. La sentenza rappresenta un’importante affermazione del principio del favor rei e della prevalenza della pena concreta su quella astratta, con implicazioni significative per tutti i casi analoghi pendenti o futuri.

Come si determina la “pena più grave” nel reato continuato se uno dei reati è stato giudicato con rito abbreviato?
Si deve considerare la pena concretamente inflitta dal giudice nel dispositivo della sentenza, ovvero quella già ridotta per effetto della scelta del rito abbreviato (es. trent’anni), e non la pena teorica prevista dalla legge prima della riduzione (es. ergastolo).

Una nuova sentenza delle Sezioni Unite può superare una decisione precedente già passata in “giudicato esecutivo”?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, un mutamento di giurisprudenza derivante da una pronuncia delle Sezioni Unite costituisce un “nuovo elemento di diritto” che permette di riesaminare una questione, superando la preclusione derivante da una precedente decisione divenuta definitiva in fase esecutiva.

Cosa significa che la Cassazione ha annullato senza rinvio l’ordinanza e rideterminato la pena?
Significa che la Corte non si è limitata a cancellare la decisione del giudice precedente, ma ha risolto la questione direttamente e in via definitiva, applicando il nuovo principio di diritto e ricalcolando la pena finale in trent’anni di reclusione, poiché non erano necessari ulteriori accertamenti di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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