Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33312 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33312 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a COSENZA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 24/03/2022 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, dott.ssa NOME AVV_NOTAIO, la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
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RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 24 marzo 2022 la Corte di appello di Catanzaro, quale giudice dell’esecuzione, ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza presentata da NOME COGNOME ed intesa alla rideterminazione della pena dell’ergastolo, applicatagli dalla locale Corte di assise di appello con ordinanza del 2 febbraio 2017, in conseguenza del riconoscimento della continuazione tra i reati di omicidio accertati con distinte sentenze di condanna a pena temporanea.
A tal fine, ha stimato che la questione introdotta dal condannato è già stata vagliata, con esito a lui sfavorevole, con precedenti ordinanze rese, il 2 febbraio 2017 e, quindi, il 12 giugno 2019, dal giudice dell’esecuzione, avverso le quali COGNOME ha proposto altrettanti ricorsi per cassazione che sono stati definiti con pronunce (n. 31041 del 20/04/2018) di rigetto, l’uno, di inammissibilità (n. 6120 del 11/12/2020, dep. 2021), l’altro, e che il suo nuovo esame sia, pertanto, precluso, dal c.d. «giudicato esecutivo».
NOME COGNOME propone, con l’assistenza degli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, ricorso per cassazione affidato ad un unico, articolato motivo, con il quale deduce violazione di legge per avere il giudice dell’esecuzione ritenuto l’esistenza della preclusione processuale senza considerare la sopravvenienza, rispetto alle precedenti decisioni, di un rilevante elemento di novità, costituito dalla richiesta di applicazione, in conseguenza dell’inserimento nel cumulo di altra pena, dell’isolamento diurno, sanzione che presuppone l’irrogazione al condannato della pena dell’ergastolo, ed in spregio ai principi, anche di matrice sovranazionale, che avrebbero imposto la rinneditazione, nel merito, della soluzione adottata dal giudice dell’esecuzione, eventualmente mediante sottoposizione di apposito quesito alle Sezioni Unite.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, mentre il ricorrente, con memoria del 2 ottobre 2023, ha insistito per il suo accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato e merita, pertanto accoglimento.
NOME COGNOME è stato condannato alla pena di trenta anni di reclusione in esito, sia al giudizio promosso a suo carico per l’omicidio ed i connessi reati in materia di armi commessi il 12 maggio 2000 sia a quello relativo al duplice
omicidio ed ai reati collegati in materia di armi perpetrati il 26 novembre 1999; entrambi i procedimenti hanno visto l’imputato optare per il rito abbreviato e fruire, dunque, della riduzione di pena, al tempo prevista, con sostituzione all’ergastolo della pena detentiva temporanea massima.
Avendo COGNOME instaurato apposito incidente di esecuzione ex art. 671 cod. proc. pen., la Corte di assise di appello, con ordinanza del 2 febbraio 2017, ha riconosciuto la continuazione tra i reati sopra indicati e rideterminato la pena complessiva in quella dell’ergastolo, in ossequio al principio secondo cui il giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., deve considerare come «pena più grave inflitta», che identifica la «violazione più grave», quella stabilita dal giudice della cognizione, ma senza considerare la riduzione per la scelta del rito speciale.
Nell’occasione, il giudice dell’esecuzione ha, pertanto, ritenuto che, versandosi in un caso di riconoscimento della continuazione tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato, fra cui sia compreso un delitto punito con la pena dell’ergastolo per il quale il giudice della cognizione abbia applicato la pena di anni trenta di reclusione per effetto della diminuente di un terzo ex art. 442, comma 2, terzo periodo, cod. proc. pen. (nel testo vigente sino al 19 aprile 2019), la «pena più grave inflitta» che identifica la «violazione più grave» sia quella antecedente alla riduzione per il giudizio abbreviato».
La menzionata decisione è stata avallata dalla Corte di cassazione con sentenza n. 31041 del 20/04/2018, mentre il successivo incidente di esecuzione promosso, sullo stesso tema, da COGNOME si è concluso con esito a lui sfavorevole, stante l’operatività del c.d. «giudicato esecutivo».
3. La questione di diritto che ha indotto la determinazione nell’ergastolo della pena applicata ai sensi degli artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc. pen. è stata, di recente, sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite che, con sentenza n. 7029 del 28/09/2023, dep. 2024, Giampà, Rv. 285865, hanno stabilito che «Ai fini dell’individuazione della violazione più grave nel reato continuato in sede esecutiva, ai sensi dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., deve essere considerata come “pena più grave inflitta”, che identifica la “violazione più grave”, quella concretamente irrogata dal giudice della cognizione, siccome indicata nel dispositivo di sentenza» (Rv. 285865 – 01) e che «In tema di continuazione in sede esecutiva, nel caso di riconoscimento del vincolo tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato, fra cui sia compreso un delitto punito con la pena dell’ergastolo per il quale il giudice della cognizione abbia applicato la pena di anni trenta
di reclusione, per effetto della diminuente di un terzo ex art. 442, comma 2, terzo periodo, cod. proc. pen. (nel testo vigente sino al 19 aprile 2019), il giudice deve considerare come “pena più grave inflitta” che identifica la “violazione più grave” quella conseguente alla riduzione per il giudizio abbreviato» (Rv. 285865 – 02).
Tangibile il contrasto tra i principi di diritto da ultimo enunciati dal massimo consesso nomofilattico e quelli che hanno ispirato la decisione resa dal giudice dell’esecuzione, nei confronti di COGNOME, con l’ordinanza del 2 febbraio 2017, deve prendersi atto dell’ammissibilità, nel caso di specie, dell’incidente di esecuzione che, pure, ripropone una questione già esaminata.
In proposto, va, da un canto, rilevato come nel procedimento di esecuzione operi il principio della preclusione processuale derivante dal divieto del bis in idem, nel quale, secondo la giurisprudenza di legittimità, s’inquadra la regola dettata dal comma 2 dell’art. 666 cod. proc. pen., che impone al giudice dell’esecuzione di dichiarare inammissibile la richiesta che sia mera riproposizione, in quanto basata sui «medesimi elementi», di altra già rigettata (al riguardo, cfr., ex multis, Sez. 1, n. 3736 del 15/1/2009, Anello, Rv. 242533).
Con tale limite si è inteso creare, per arginare richieste meramente dilatorie, un filtro processuale, ritenuto dal legislatore delegato necessario in un’ottica di economia e di efficienza processuale.
In questa prospettiva emerge la nozione di «giudicato esecutivo», impiegata in senso atecnico, per rappresentare l’effetto «auto conservativo» di un accertamento rebus sic stantibus: più correttamente, la stabilizzazione giuridica di siffatto accertamento deve essere designata con il termine «preclusione», proprio al fine di rimarcarne le differenze con il concetto tradizionale di giudicato.
Appare, quindi, un dato acquisito, nella giurisprudenza di legittimità, quello secondo il quale la proposizione di un nuovo incidente di esecuzione è ammissibile, allorquando la precedente richiesta sia stata respinta, solo a condizione che esso si fondi su elementi nuovi, quale deve essere, nondimeno, considerato il mutamento di giurisprudenza derivante da una pronunzia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, integrante un «nuovo elemento» di diritto idoneo a superare la preclusione del c.d. giudicato esecutivo (in questo senso, cfr., tra le altre, Sez. U, n. 18288 del 21/01/2010, COGNOME, Rv. 246651 01; Sez. 1, n. 30569 del 07/03/2019, COGNOME, Rv. 276604 – 01).
4. Dalle precedenti considerazioni discende l’annullamento dell’ordinanza impugnata – in quanto informata ad un canone interpretativo superato dalla sopravvenuta decisione delle Sezioni Unite – cui non consegue il rinvio al giudice dell’esecuzione, giacché alla determinazione in trenta anni di reclusione della
pena inflitta per il più grave tra i reati che costituiscono espressione del medesimo disegno criminoso fa pendant l’applicazione, ben possibile già in questa sede perché non richiedente l’esercizio di poteri spettanti al giudice di merito, del limite stabilito dall’art. 78, primo comma, cod. pen..
P.Q.M.
annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e ridetermina la pena in anni trenta di reclusione.
Così deciso il 27/03/2024.