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Pena per spaccio: come il giudice la determina?

Un imputato, condannato per spaccio di lieve entità, ha contestato la sua pena ritenendola eccessiva. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, chiarendo che, una volta riconosciuta la lieve entità del fatto, il giudice può stabilire la pena per spaccio considerando non solo la gravità del reato ma anche la personalità e i precedenti dell’imputato, esercitando la propria discrezionalità entro i limiti di legge.

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Pubblicato il 23 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena per Spaccio di Lieve Entità: la Discrezionalità del Giudice

La determinazione della pena per spaccio di stupefacenti, anche quando il fatto è di lieve entità, non è un mero calcolo matematico. La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 36655/2025, ribadisce un principio fondamentale: la discrezionalità del giudice nel valutare non solo la gravità del reato, ma anche la personalità del colpevole. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo condannato per detenzione di cocaina in concorso con altre persone. La Corte d’Appello, riformando una precedente sentenza, aveva riqualificato il reato come ‘fatto di lieve entità’ ai sensi dell’art. 73, comma 5, del D.P.R. 309/90, rideterminando la pena in 2 anni e 8 mesi di reclusione e 4000 euro di multa.

L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione. Secondo la difesa, la Corte d’Appello aveva fissato una pena base di 3 anni, vicina al massimo previsto per la fattispecie attenuata, basandosi su circostanze non provate, come l’inserimento dell’imputato in una complessa organizzazione criminale. La difesa sosteneva che la valutazione dovesse basarsi solo su criteri oggettivi, senza considerare la personalità dell’imputato o i suoi precedenti.

La Questione Giuridica: Pena per Spaccio e Criteri di Valutazione

Il cuore della questione era stabilire quali elementi il giudice possa considerare per determinare la pena per spaccio una volta che il reato sia stato qualificato come di lieve entità. È corretto valutare anche la personalità e i precedenti dell’imputato, o ci si deve attenere solo a dati oggettivi legati al singolo episodio?

La difesa spingeva per una interpretazione restrittiva, sostenendo che i fattori soggettivi fossero irrilevanti. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha fornito una risposta chiara, tracciando una netta distinzione tra i criteri per qualificare il reato e quelli per commisurare la pena.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. I giudici hanno chiarito due punti cruciali.

1. Distinzione tra Qualificazione del Reato e Determinazione della Pena

La Cassazione ha sottolineato che un conto è stabilire se un fatto di spaccio sia di ‘lieve entità’ – valutazione che si basa su indici oggettivi previsti dalla norma (quantità, qualità della sostanza, modalità dell’azione) – un altro è determinare la pena concreta per quel fatto. Una volta accertata la lieve entità, il giudice deve esercitare la sua discrezionalità all’interno della cornice edittale prevista (da 6 mesi a 4 anni di reclusione).

2. L’Applicazione dell’Art. 133 del Codice Penale

Per decidere la giusta sanzione, il giudice deve fare riferimento ai criteri generali dell’art. 133 c.p. Questi criteri includono non solo la ‘gravità del reato’ (modalità dell’azione, danno, etc.), ma anche la ‘capacità a delinquere del colpevole’, che si desume dai precedenti penali, dalla condotta di vita e dal comportamento processuale.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva legittimamente considerato la gravità concreta del fatto (detenzione di droga in un contesto di spaccio gestito da correi) e la personalità dell’imputato, desunta da una precedente condanna per reati analoghi e dalle modalità non occasionali dell’attività illecita. Pertanto, fissare una pena base superiore alla media edittale, ma motivandola adeguatamente con questi elementi, rientra pienamente nella discrezionalità del giudice di merito.

Conclusioni

La sentenza in esame conferma un orientamento consolidato: la valutazione della personalità del reo è un elemento imprescindibile nella commisurazione della pena per spaccio, anche nell’ipotesi di lieve entità. La qualifica di ‘lieve entità’ apre a una cornice sanzionatoria più mite, ma non trasforma il giudice in un automa. Egli conserva il potere e il dovere di personalizzare la pena, tenendo conto di tutti gli indici previsti dall’art. 133 c.p. per garantire che la sanzione sia proporzionata tanto al fatto commesso quanto alla pericolosità sociale del suo autore.

Come si stabilisce la pena per un reato di spaccio di lieve entità?
Una volta che il reato è stato classificato come di lieve entità, il giudice determina la pena concreta all’interno della cornice edittale prevista dalla legge (da 6 mesi a 4 anni di reclusione). Per farlo, utilizza i criteri dell’art. 133 del codice penale, che includono sia la gravità oggettiva del fatto sia la capacità a delinquere del colpevole.

La personalità dell’imputato e i suoi precedenti penali contano per determinare la pena nello spaccio lieve?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che, sebbene la classificazione del reato come ‘lieve’ si basi su indici oggettivi, la successiva determinazione della pena deve tenere conto anche di elementi soggettivi come la personalità dell’imputato, i suoi precedenti penali e la sua capacità a delinquere.

Il giudice deve sempre motivare in modo dettagliato la pena inflitta?
Il giudice ha l’obbligo di motivare l’uso dei criteri dell’art. 133 c.p. Tuttavia, una spiegazione particolarmente specifica e dettagliata è richiesta solo quando la pena inflitta è di gran lunga superiore alla misura media della cornice edittale prevista per quel reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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