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Pena per spaccio: Cassazione annulla la condanna

La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso di un uomo condannato per detenzione e spaccio di stupefacenti. Pur confermando la sua colpevolezza in via definitiva, la Corte ha annullato la sentenza riguardo alla pena per spaccio e alla confisca dei beni. La decisione è stata motivata da un grave vizio di motivazione da parte della Corte d’Appello, che non aveva risposto ai specifici motivi di ricorso della difesa. Il caso è stato rinviato a un’altra Corte d’Appello per una nuova valutazione limitatamente a questi aspetti.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena per Spaccio: La Cassazione Annulla la Sentenza ma Conferma la Colpevolezza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 23653 del 2024, offre un importante spunto di riflessione sulla distinzione tra l’accertamento della responsabilità penale e la determinazione della pena. In questo caso, la Corte ha confermato la colpevolezza di un imputato per reati legati agli stupefacenti, ma ha annullato la parte della sentenza relativa alla pena per spaccio e alla confisca a causa di un grave vizio di motivazione da parte del giudice d’appello.

I Fatti Processuali

L’imputato era stato condannato in primo e secondo grado per detenzione ai fini di spaccio di cocaina e per alcuni episodi di cessione della stessa. La Corte d’Appello di Perugia, pur riducendo parzialmente la pena per gli episodi di cessione (riconoscendoli come di lieve entità), aveva confermato l’impianto accusatorio, condannando l’uomo a cinque anni e sei mesi di reclusione e a una multa di 24.400 euro.

La difesa ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni, tra cui:
1. La presunta illogicità della motivazione sulla credibilità di alcuni testimoni.
2. La mancata applicazione dell’attenuante del fatto di lieve entità (art. 73, comma 5, D.P.R. 309/90) anche al reato principale di detenzione.
3. L’omessa motivazione sul riconoscimento delle attenuanti generiche, sull’esclusione della recidiva e sulla confisca di denaro e veicoli.

La Decisione della Cassazione sulla Colpevolezza

La Suprema Corte ha rigettato i motivi di ricorso che miravano a contestare la responsabilità dell’imputato. I giudici di legittimità hanno ritenuto che la Corte d’Appello avesse correttamente e logicamente motivato la conferma della colpevolezza. Le prove a carico, tra cui l’arresto in flagranza e le testimonianze, sono state considerate solide e sufficienti. Anche la richiesta di applicare l’attenuante del fatto lieve al reato di detenzione è stata respinta, in quanto la Corte territoriale aveva adeguatamente giustificato la sua decisione sulla base della quantità di stupefacente (oltre 600 dosi), della somma di denaro rinvenuta e di una seppur rudimentale organizzazione, elementi ritenuti incompatibili con la ‘lieve entità’.

Il Vizio di Motivazione e l’Annullamento della Pena per Spaccio

Il punto cruciale della sentenza risiede nell’accoglimento dei motivi relativi al trattamento sanzionatorio e alla confisca. La Cassazione ha riscontrato un vero e proprio ‘vuoto motivazionale’ nella sentenza d’appello. Di fronte ai puntuali rilievi della difesa riguardo alla dosimetria della pena, alle attenuanti generiche, alla recidiva e alla sproporzione della confisca rispetto ai redditi, la Corte d’Appello aveva completamente omesso di fornire una qualsiasi risposta.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha chiarito che il giudice d’appello ha l’obbligo di prendere in esame e di rispondere in modo argomentato a tutte le specifiche doglianze sollevate dalla difesa. Un’omissione totale, come quella verificatasi, costituisce un vizio di motivazione non sanabile, che viola precise norme del codice di procedura penale (artt. 125 e 547 c.p.p.). Non è sufficiente una motivazione implicita o per relationem a quella del primo grado quando l’atto di appello contiene critiche specifiche e dettagliate che richiedono una risposta puntuale. Questo obbligo di motivazione è una garanzia fondamentale del giusto processo, essenziale per permettere all’imputato di comprendere le ragioni della decisione e per consentire un efficace controllo di legittimità.

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha disposto l’annullamento della sentenza impugnata, ma solo limitatamente ai punti viziati dalla carenza di motivazione: il trattamento sanzionatorio (attenuanti e recidiva) e la confisca. Per questi aspetti, il processo dovrà essere celebrato nuovamente davanti a un’altra sezione della Corte d’Appello (quella di Firenze), che dovrà riesaminare le questioni e fornire una motivazione adeguata. La parte della sentenza che accerta la colpevolezza dell’imputato, invece, è diventata irrevocabile. Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: essere colpevoli è una cosa, ma la determinazione della giusta pena e delle misure accessorie richiede un percorso logico-giuridico trasparente e ineccepibile da parte del giudice.

È possibile che la Cassazione confermi la colpevolezza di un imputato ma annulli la sua pena?
Sì, è possibile. La Corte può dichiarare irrevocabile l’accertamento della responsabilità penale, confermando quindi la colpevolezza, ma al tempo stesso annullare la parte della sentenza che stabilisce l’entità della pena e le misure accessorie (come la confisca) se rileva un vizio di motivazione su questi specifici punti, rinviando il caso a un altro giudice per una nuova decisione.

Cosa si intende per ‘vuoto motivazionale’ in una sentenza?
Si verifica un ‘vuoto motivazionale’ quando il giudice omette completamente di esporre le ragioni a sostegno della propria decisione su uno o più punti sollevati dalle parti. Non si tratta di una motivazione illogica o insufficiente, ma di una sua totale assenza, che costituisce un grave vizio procedurale e porta all’annullamento della decisione su quel punto.

Perché la Corte non ha ritenuto il reato di detenzione un ‘fatto di lieve entità’?
La Corte ha confermato la decisione del giudice di merito perché quest’ultimo aveva fornito una motivazione adeguata. Elementi come la quantità dello stupefacente (sufficiente per oltre seicento dosi), il profilo organizzativo (seppur rudimentale) e il considerevole giro d’affari evidenziato dal denaro sequestrato sono stati ritenuti incompatibili con la qualificazione del fatto come di ‘lieve entità’, che presuppone una minima offensività della condotta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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