Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 36017 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 36017 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Benevento il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/11/2024 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Benevento del 9 novembre 2018, ha riqualificato i reati ascritti a NOME COGNOME ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, rideterminando la pena in anni quattro e mesi nove di reclusione ed euro 5500,00 di multa.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME per i motivi di seguito sintetizzati.
NOME
V
2.1. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli artt. 157 cod. pen. e 73, d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto i reati commessi nel novembre 2014 si sarebbero prescritti prima della pronuncia della sentenza di secondo grado.
2.2. Violazione di legge, in relazione all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., in relazione all’episodio del 20/01/2015, e difetto di motivazione, in quanto la responsabilità per tale cessione è stata fondata sul solo contenuto, non univoco, di una intercettazione telefonica (n. 4993 del 20/01/2015).
2.3. Violazione di legge e difetto di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, in quanto la Corte, pur avendo qualificato il fatto ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, ha inflitto una pena eccessiva, sproporzionata e incompatibile con la finalità rieducativa.
2.4. Violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione sia all’individuazione dell’episodio più grave , sia all’aumento per la continuazione, determinato in modo unitario, senza specificazione per i singoli reati.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il ricorrente è stato condannato per aver posto in essere, in esecuzione del medesimo disegno criminoso, plurimi episodi di cessione di sostanza stupefacente ad acquirenti seriali (fatti commessi dal novembre 2014 al giugno 2015). L’ultimo episodio risale al 20 giugno 2015, data da cui decorre il termine di prescrizione (Sez. U, n. 2780 del 24/1/1996, COGNOME e altri, Rv. 203977 – 01, in riferimento a reati commessi prima della modifica dell’art. 158 cod. pen. ad opera della I. n. 3 del 2019, che ha introdotto espressa previsione di identico contenuto).
Dalla sentenza emerge che al termine massimo di prescrizione, di anni sette e mesi sei, vanno aggiunti i periodi di sospensione della prescrizione che, per gli altri imputati sono di anni due, mesi dieci e giorni diciannove, da cui vanno detratti, per il ricorrente, mesi tre e giorni sei (dall’Il ottobre 2023 al 17 gennaio 2024) e mesi uno e giorni ventisette (dal 17 gennaio 2024 al 14 marzo 2024) relativi a rinvii che, nei suoi confronti, non hanno sospeso la prescrizione.
Dall’esame degli atti, consentito in ragione della natura processuale della censura, emerge che il secondo rinvio è stato determinato da impedimento del
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ricorrente e del suo difensore, per cui, in riferimento a esso, si deve ritenere operante la sospensione.
In sostanza, quindi, la sospensione complessiva per il ricorrente è di anni due, mesi sette e giorni tre, determinati partendo da anni due, mesi dieci e giorni diciannove (sospensione complessiva calcolata per gli altri imputati nel medesimo processo) e detraendo mesi tre e giorni sei, relativi al primo rinvio che non ha effetto sospensivo per il ricorrente.
Quindi, al termine ordinario massimo di prescrizione, di anni sette e mesi sei, decorso il 20 dicembre 2022, vanno aggiunti anni due, mesi sette e giorni tre, con la conseguenza che la prescrizione è maturata il 23 luglio 2025, dopo la sentenza di secondo grado (del 7 novembre 2024).
L’inammissibilità del ricorso non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. e, in particolare, la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266 – 01).
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché tendente ad ottenere una diversa valutazione della risultanze probatorie e, segnatamente, del contenuto di intercettazioni telefoniche, che, anche quando il linguaggio utilizzato sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01).
La sentenza impugnata, con motivazione logica e immune da vizi, ha fondato il giudizio di responsabilità in ordine alla disponibilità della sostanza destinata a essere rivenduta sul chiaro contenuto della telefonata intercettata (“devo vendere una cosa… speriamo che se la compra qualuno qua”).
Il terzo motivo di ricorso è formulato in maniera del tutto generica e, comunque, è manifestamente infondato.
Per effetto del riconoscimento della fattispecie di cui al comma 5 dell’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990, la pena è stata, in appello, sensibilmente ridotta (otto anni di reclusione in primo grado, quattro anni, nove mesi in appello, oltre alla pena pecuniaria).
La Corte ha diffusamente motivato in ordine alla determinazione della pena base, in misura superiore al minimo edittale, e tale valutazione, logica e immune da vizi, sfugge al sindacato in sede di legittimità.
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1) Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato. Infatti, se è vero che, nel determinare la pena complessiva per gli aumenti dei reati satellite ritenuti in continuazione, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, il giudice deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, è vero anche che l’astratto rigore che assiste tale decisione deve essere di volta in volta calato nel caso concreto. Ciò in quanto l’onere motivazionale in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e deve essere funzionale alla verifica del rispetto del rapporto di proporzione esistente tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, con particolare riferimento ai limiti previsti dall’art. 81 cod. pen., al fine d garantire che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269 – 01).
La motivazione è, infatti, funzionale a garantire il controllo sul buon uso fatto dal giudice del suo potere discrezionale, non essendo invece consentita la complessiva determinazione della pena senza indicazione della pena stabilita per ciascun reato, di quello ritenuto più grave e dell’aumento per la continuazione (Sez. U, n. 7930 del 21/04/1995, Zouine, Rv. 201549 – 01).
La Sentenza Pizzone citata, pur rilevando come il peso in concreto assegnato dal giudice a ciascun reato satellite concorra a determinare un razionale trattamento sanzionatorio con la conseguente necessità che siano palesati gli r elementi che hanno condotto al risultato cui si è pervenuti, ha tuttavia precisato che l’obbligo della motivazione non può essere astrattamente circoscritto secondo canoni predeterminati. Una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena da irrogare è, pertanto, necessaria allorché la determinazione avvenga in misura prossima al massimo edittale.
Nel caso di specie, la diffusa motivazione sull’entità della pena base, la riduzione dell’aumento per la continuazione rispetto a quello inflitto in primo grado e, ancora, l’indicazione metodologica secondo cui detto aumento deve essere comunque «di una certa consistenza, tenuto conto del numero di cessioni sub judice e della natura e qualità delle sostanze» sono elementi idonei ad escludere l’abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen., a fronte di continuativi episodi di cessione ad acquirenti seriali, e depongono per una ponderata valutazione degli elementi posti a base della decisione in ordine al trattamento sanzionatorio.
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 16/09/2025.