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Pena per minaccia: la Cassazione corregge l’errore

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di condanna per minaccia aggravata, limitatamente alla determinazione della pena. Il caso riguardava una minaccia telefonica tra fratelli per una disputa ereditaria. La Corte ha stabilito che, avendo concesso le attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante, il giudice d’appello ha commesso un errore applicando la pena della reclusione. La corretta pena per minaccia semplice è una multa. Pertanto, la questione della pena per minaccia è stata rinviata alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena per minaccia: quando le attenuanti prevalgono, niente reclusione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito un punto fondamentale riguardo la pena per minaccia aggravata. Se il giudice riconosce la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sull’aggravante, la sanzione non può essere la reclusione, ma deve essere quella prevista per la minaccia semplice, ovvero la multa. Questo principio, basato su una corretta applicazione della legge, ha portato all’annullamento parziale di una condanna. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I fatti del caso: una disputa familiare e una telefonata minacciosa

La vicenda trae origine da un acceso diverbio familiare scaturito da questioni ereditarie. Un uomo, durante una telefonata, minacciava gravemente il fratello, che si trovava all’interno di un box auto oggetto della contesa successoria. La frase incriminata, “meglio se non vengo lì perché altrimenti la situazione finisce male”, veniva ascoltata in vivavoce non solo dalla sorella dei due, presente sul posto, ma anche dagli agenti di polizia intervenuti.

Sulla base di queste testimonianze, l’uomo veniva condannato sia in primo grado che in appello per il reato di minaccia aggravata ai sensi dell’art. 612, secondo comma, del codice penale.

I motivi del ricorso e la decisione sulla pena per minaccia

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:

1. Vizio di motivazione e travisamento della prova: La difesa sosteneva che la frase pronunciata non avesse un’effettiva natura minacciosa e che le prove fossero state mal interpretate.
2. Mancata assunzione di prova decisiva: Si lamentava il fatto che la Corte d’Appello non avesse ammesso la produzione di un video e una foto che, a detta della difesa, avrebbero dimostrato l’assenza di timore nella vittima.
3. Errore nella determinazione della pena: Il punto cruciale. La Corte d’Appello, pur riconoscendo le circostanze attenuanti generiche come prevalenti sull’aggravante, aveva erroneamente inflitto la pena della reclusione anziché quella della multa.

La Cassazione ha rigettato i primi due motivi. Ha ribadito che la valutazione della credibilità dei testimoni è compito del giudice di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità, se non in presenza di palesi contraddizioni, qui assenti. Allo stesso modo, la decisione di non ammettere nuove prove in appello è stata ritenuta legittima, poiché basata sulla completezza del materiale probatorio già acquisito.

Le motivazioni: l’errore nell’applicazione della pena

La Corte ha invece accolto il terzo motivo, rilevando un chiaro error in iudicando. Il principio giuridico applicabile è pacifico: quando il giudice effettua un bilanciamento tra circostanze e ritiene quelle attenuanti prevalenti sull’aggravante contestata, l’effetto è quello di “neutralizzare” l’aggravante stessa. Di conseguenza, la pena deve essere determinata sulla base della fattispecie semplice del reato.

Nel caso del delitto di minaccia, l’art. 612 del codice penale prevede due scenari:

* Primo comma (minaccia semplice): Punita con la multa.
* Secondo comma (minaccia aggravata): Punita con la reclusione fino a un anno.

Avendo la Corte d’Appello giudicato le attenuanti prevalenti, avrebbe dovuto applicare la pena prevista per la minaccia semplice, ossia la multa. Scegliendo invece la reclusione, ha emesso una sanzione contra legem, cioè contro la legge.

Le conclusioni: l’annullamento con rinvio

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata, ma solo limitatamente al trattamento sanzionatorio. La responsabilità penale dell’imputato per il reato di minaccia è stata confermata. Tuttavia, il caso è stato rinviato a un’altra sezione della Corte d’Appello di Roma, che dovrà procedere a una nuova determinazione della pena, attenendosi al principio di diritto stabilito e applicando, quindi, la sanzione della multa in luogo della reclusione.

Quale pena si applica per la minaccia se le attenuanti prevalgono sull’aggravante?
Se le circostanze attenuanti sono ritenute prevalenti sull’aggravante contestata, si applica la pena prevista per la fattispecie semplice del reato. Per la minaccia, ciò significa che la pena corretta è la multa e non la reclusione.

La Corte di Cassazione può riesaminare la credibilità dei testimoni?
No, la valutazione della credibilità di un testimone, inclusa la persona offesa, è una questione di fatto riservata al giudice di merito (Tribunale e Corte d’Appello). La Cassazione può intervenire solo se la motivazione del giudice è manifestamente illogica o contraddittoria, cosa che non è stata riscontrata in questo caso.

Perché la sentenza è stata annullata solo in parte?
La sentenza è stata annullata solo limitatamente alla determinazione della pena perché l’unico errore di diritto riscontrato dalla Cassazione riguardava il tipo di sanzione applicata. La valutazione dei fatti e l’affermazione della responsabilità penale dell’imputato sono state invece considerate corrette e, pertanto, confermate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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