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Pena per delitto tentato: il metodo diretto è legittimo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 45027/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per tentato furto con strappo. La Corte ha ribadito due principi fondamentali: primo, il ricorso in Cassazione non può vertere sulla ricostruzione dei fatti, competenza esclusiva dei giudici di merito; secondo, il calcolo della pena per delitto tentato può avvenire legittimamente con il ‘metodo diretto’, senza dover prima determinare la pena per il reato consumato per poi ridurla.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena per delitto tentato: la Cassazione conferma la legittimità del calcolo con metodo diretto

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato un interessante caso relativo alla corretta modalità di calcolo della pena per delitto tentato, offrendo importanti chiarimenti sui poteri del giudice e sui limiti del ricorso per cassazione. L’ordinanza in esame (n. 45027/2024) stabilisce la piena legittimità del cosiddetto ‘metodo diretto’ o ‘sintetico’ nella quantificazione della sanzione, un principio di grande rilevanza pratica per gli operatori del diritto.

I fatti del caso e il ricorso in Cassazione

Il caso trae origine dalla condanna di un individuo per il reato di tentato furto con strappo, confermata sia in primo grado che in appello. L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso alla Corte di Cassazione, basandolo su due motivi principali. Con il primo motivo, si contestava la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove operata dai giudici di merito. Con il secondo, si censurava la modalità con cui era stata determinata la pena, sostenendo l’illegittimità del ricorso al ‘metodo diretto’ da parte della Corte d’Appello.

La determinazione della pena per delitto tentato: metodo diretto vs. metodo bifasico

Il punto centrale della decisione della Suprema Corte riguarda il secondo motivo di ricorso. Esistono due modi per calcolare la pena per delitto tentato:

1. Metodo bifasico: il giudice prima individua la pena base per il reato consumato e poi applica la diminuzione prevista per il tentativo.
2. Metodo diretto (o sintetico): il giudice determina direttamente la pena per il tentativo, senza passare per la quantificazione della pena del reato consumato, pur rimanendo nei limiti edittali previsti dalla legge.

L’imputato sosteneva che solo il primo metodo fosse corretto. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha rigettato questa tesi, confermando un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato.

Le motivazioni della decisione

La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per diverse ragioni.

In primo luogo, ha ribadito che il giudizio di cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. Ciò significa che la Corte non può riesaminare i fatti o valutare nuovamente le prove, compiti che spettano esclusivamente al Tribunale e alla Corte d’Appello. Poiché la motivazione della sentenza impugnata era logica e coerente, il primo motivo di ricorso è stato respinto.

Per quanto riguarda il calcolo della pena per delitto tentato, la Cassazione ha affermato che il ‘metodo diretto’ è pacificamente ammesso dalla giurisprudenza. Il giudice ha la facoltà di scegliere indifferentemente tra il metodo diretto e quello bifasico, a condizione che motivi adeguatamente la sua scelta e che la pena finale rientri nei limiti di legge. Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva ampiamente giustificato la sanzione inflitta, tenendo conto della gravità del fatto e della personalità negativa dell’imputato, caratterizzata da numerosi precedenti specifici. Pertanto, la scelta del metodo e la quantificazione della pena non erano né arbitrarie né illogiche.

Le conclusioni

L’ordinanza n. 45027/2024 rafforza due principi cardine del nostro sistema processuale penale. Da un lato, traccia una linea netta tra il giudizio di merito e quello di legittimità, impedendo che la Cassazione si trasformi in un terzo grado di giudizio sui fatti. Dall’altro, consolida la discrezionalità del giudice nella scelta del metodo di calcolo della pena per delitto tentato, purché tale scelta sia supportata da una motivazione adeguata e logica. La decisione finale ha quindi confermato la condanna, dichiarando inammissibile il ricorso e addebitando all’imputato le spese processuali e una sanzione pecuniaria.

La Corte di Cassazione può riesaminare i fatti di un processo?
No, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità e non può effettuare una nuova ricostruzione o valutazione dei fatti. Il suo compito è verificare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e abbiano fornito una motivazione logica e non contraddittoria.

Come si calcola la pena per un reato tentato?
La pena può essere calcolata in due modi: con il ‘metodo bifasico’ (si parte dalla pena per il reato consumato e si applica una riduzione) o con il ‘metodo diretto’ (il giudice determina la pena direttamente). La giurisprudenza li considera entrambi legittimi, a patto che la scelta sia motivata.

È possibile contestare in Cassazione l’entità della pena decisa dal giudice?
No, la valutazione sulla congruità della pena è rimessa al giudice di merito. In Cassazione si può censurare la determinazione della pena solo se questa è frutto di un palese arbitrio o di un ragionamento manifestamente illogico, circostanze che non sono state riscontrate nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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