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Pena pecuniaria sostitutiva: non si nega per povertà

La Corte di Cassazione ha annullato una decisione che negava la pena pecuniaria sostitutiva a un imputato indigente. La povertà non è motivo di esclusione, ma impone al giudice di valutare rateizzazioni e un importo giornaliero minimo, come previsto dalla recente normativa.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena Pecuniaria Sostitutiva: Non Può Essere Negata per Sola Indigenza

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 24698/2025, interviene su un tema di grande rilevanza pratica e sociale: la possibilità di concedere la pena pecuniaria sostitutiva anche a chi si trova in condizioni economiche disagiate. La decisione chiarisce che la povertà dell’imputato, dimostrata anche dall’ammissione al gratuito patrocinio, non è un ostacolo insormontabile, ma anzi, impone al giudice una valutazione più approfondita degli strumenti a sua disposizione, come la rateizzazione e la determinazione di un importo giornaliero minimo.

Il Caso in Esame: Dal Furto d’Auto alla Cassazione

Il caso nasce dalla condanna di un uomo per il furto aggravato di un’autovettura. La sua responsabilità era stata accertata in primo e secondo grado sulla base di un quadro indiziario solido: il contratto di noleggio di un’altra auto, usata per commettere il reato, era a suo nome; il veicolo noleggiato era stato trovato presso la sua abitazione; i dati GPS dell’auto e quelli della sua utenza cellulare coincidevano perfettamente in termini di orari e luoghi del furto.
L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando due vizi principali della sentenza d’appello.

I Motivi del Ricorso

Il ricorso si fondava su due pilastri:
1. Violazione dell’onere della prova: Secondo la difesa, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente preteso che fosse l’imputato a dimostrare la sua estraneità ai fatti, invertendo così il principio fondamentale secondo cui spetta all’accusa provare la colpevolezza.
2. Diniego della pena pecuniaria sostitutiva: La difesa contestava la motivazione con cui era stata negata la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria. La Corte territoriale aveva basato il diniego sulla condizione di ‘impossidenza’ dell’imputato, desunta dalla sua ammissione al patrocinio a spese dello Stato, senza considerare la possibilità di rateizzare il pagamento.

Analisi della Cassazione sulla Pena Pecuniaria Sostitutiva

La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il primo motivo, specificando che il ragionamento della Corte d’Appello, basato su una pluralità di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, non integrava alcuna inversione dell’onere della prova.

Il cuore della sentenza risiede invece nell’accoglimento del secondo motivo. La Suprema Corte ha censurato la decisione dei giudici di merito, ritenendola non adeguatamente motivata e contraria ai principi consolidati in materia. Richiamando importanti precedenti, incluse le Sezioni Unite, la Corte ha ribadito un concetto fondamentale: le condizioni economiche disagiate non sono, di per sé, un motivo per negare l’accesso alla pena pecuniaria sostitutiva.

le motivazioni

La motivazione della Corte si articola su diversi punti chiave. In primo luogo, viene sottolineato come la prognosi negativa di inadempimento, che può ostacolare la concessione di altre pene sostitutive come la semidetenzione, non si applichi alla pena pecuniaria. Per quest’ultima, il giudice deve considerare i criteri dell’art. 133 del codice penale, tra cui le condizioni di vita dell’imputato, ma non le sue condizioni economiche come fattore ostativo.

La recente riforma (d.lgs. 150/2022) ha introdotto l’art. 56-quater della L. 689/1981, che offre al giudice un’ampia flessibilità. L’intervallo per la conversione giornaliera va da un minimo di 5 euro a un massimo di 2500 euro. Questa forbice così ampia permette di adattare la sanzione alle reali capacità economiche del condannato, garantendo al contempo le finalità rieducative della pena.

Inoltre, la legge prevede espressamente la possibilità di rateizzare il pagamento fino a un massimo di 60 rate (art. 133-ter cod. pen.). Questa ‘attenzione’ del legislatore verso la solvibilità del reo impone al giudice una valutazione più approfondita. L’unica ragione soggettiva che può impedire la sostituzione è l’omesso pagamento di una precedente pena pecuniaria nei cinque anni antecedenti, circostanza non presente nel caso di specie.

le conclusioni

In conclusione, la Cassazione ha annullato la sentenza d’appello limitatamente al punto del diniego della sanzione sostitutiva, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello per una nuova valutazione. Il nuovo giudice dovrà approfondire e attualizzare l’analisi delle condizioni reddituali dell’imputato, utilizzando, se necessario, i poteri officiosi di indagine, e riconsiderare l’istanza alla luce dei principi affermati. La sentenza rafforza il principio secondo cui gli strumenti sanzionatori devono essere applicati in modo proporzionato ed efficace, evitando che la povertà si trasformi in un ostacolo insormontabile alla giustizia e alla funzione rieducativa della pena.

La povertà di un imputato può essere un motivo per negargli la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria?
No. Secondo la Corte di Cassazione, le condizioni economiche disagiate, anche se comprovate dall’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non sono di per sé un motivo valido per negare la pena pecuniaria sostitutiva. Il giudice deve invece considerare altri strumenti per assicurare il pagamento.

Cosa deve fare il giudice quando valuta la richiesta di pena pecuniaria sostitutiva da parte di una persona in difficoltà economiche?
Il giudice deve effettuare una valutazione approfondita, tenendo conto dell’ampio intervallo del valore giornaliero di conversione (da 5 a 2500 euro) per adeguarlo alle capacità economiche del reo e della possibilità di concedere una rateizzazione del pagamento (fino a 60 rate).

L’onere della prova viene invertito se la Corte chiede all’imputato di fornire una spiegazione alternativa ai gravi indizi a suo carico?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che, di fronte a un quadro indiziario solido e coerente, l’osservazione che l’imputato non abbia offerto una prospettazione alternativa adeguata a smentire le prove non costituisce un’inversione dell’onere della prova.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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