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Pena pecuniaria sostitutiva: no al diniego per povertà

Un individuo condannato per ricettazione di merce contraffatta si è visto negare la conversione della pena detentiva in una sanzione economica a causa della sua presunta insolvibilità. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9397/2024, ha annullato tale decisione, stabilendo un principio fondamentale: la pena pecuniaria sostitutiva non può essere negata sulla base delle condizioni economiche disagiate dell’imputato. La Corte ha chiarito che il giudice deve valutare la possibilità di applicare la sanzione economica, personalizzandone l’importo in base alla reale capacità economica del condannato, per garantire il principio di uguaglianza.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena pecuniaria sostitutiva: non si può negare a causa della povertà

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 9397 del 2024, ha riaffermato un principio di civiltà giuridica e di uguaglianza: la pena pecuniaria sostitutiva non può essere negata a un imputato solo perché si trova in condizioni economiche disagiate. Questa decisione chiarisce che la povertà non deve diventare un ostacolo all’accesso a misure sanzionatorie alternative al carcere, specialmente per reati di minore gravità.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da una condanna per il reato di ricettazione di merce contraffatta. La Corte di Appello, pur riformando parzialmente la sentenza di primo grado, aveva confermato la responsabilità penale dell’imputato, condannandolo a una pena di otto mesi di reclusione e 300 euro di multa.

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando due principali violazioni di legge:
1. La mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), in quanto incensurato.
2. Il rigetto della richiesta di sostituire la pena detentiva con una pena pecuniaria.

La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il primo motivo, poiché il numero elevato di capi contraffatti (sessantaquattro) giustificava l’esclusione della particolare tenuità del fatto. Ha invece accolto il secondo motivo, annullando la sentenza su questo specifico punto.

Il Diniego della Pena Pecuniaria Sostitutiva e l’Errore della Corte d’Appello

La Corte d’Appello aveva respinto la richiesta di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria sostenendo che la difesa non avesse fornito alcun elemento per valutare la solvibilità dell’imputato. Secondo i giudici di merito, senza prove sulla capacità economica, non era possibile concedere il beneficio.

Questa impostazione è stata giudicata errata dalla Corte di Cassazione. Richiamando un consolidato orientamento, inaugurato dalle Sezioni Unite con la celebre sentenza “Gagliardi” del 2010, la Suprema Corte ha ribadito che escludere un imputato dalla pena pecuniaria sostitutiva solo perché indigente creerebbe un’inaccettabile disparità di trattamento. Un simile approccio, di fatto, negherebbe a una determinata categoria di cittadini l’applicazione di una norma favorevole, violando il principio di uguaglianza.

Le Motivazioni della Cassazione

La Cassazione ha fondato la sua decisione su argomenti solidi, valorizzando sia la giurisprudenza pregressa sia le recenti novità legislative introdotte dalla Riforma Cartabia.

In primo luogo, si è sottolineato che la ratio delle pene sostitutive è di natura premiale. Il giudice, nel decidere se sostituire una pena detentiva breve, deve considerare i criteri dell’art. 133 del codice penale, come le condizioni di vita individuali, familiari e sociali dell’imputato, ma non le sue condizioni economiche come fattore ostativo.

In secondo luogo, la Riforma Cartabia ha rafforzato questo principio. Il nuovo art. 56-quater della legge 689/1981 prevede che il giudice, nel determinare l’ammontare della pena pecuniaria, individui un “valore giornaliero” (da un minimo di 5 euro a un massimo di 2.500 euro) che tenga conto delle “complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare”. Questo meccanismo permette di “personalizzare” la sanzione, rendendola sostenibile anche per chi ha risorse limitate.

Infine, la Corte ha chiarito che non spetta all’imputato l’onere di provare la propria solvibilità. Al contrario, l’art. 545-bis del codice di procedura penale conferisce al giudice il potere di acquisire d’ufficio tutte le informazioni necessarie per decidere sulla sostituzione della pena, avvalendosi dell’ufficio di esecuzione penale esterna o della polizia giudiziaria. L’assenza di documentazione prodotta dalla difesa non può, quindi, tradursi in una decadenza dal diritto a ottenere il beneficio.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza ha annullato la decisione della Corte d’Appello limitatamente al punto sulla pena sostitutiva, rinviando il caso per un nuovo giudizio. Il principio affermato è chiaro: la giustizia penale deve tendere a pene meno afflittive quando possibile, e la condizione di povertà non può essere una barriera. Negare la pena pecuniaria sostitutiva a chi non ha mezzi economici significherebbe punire due volte: una per il reato commesso e un’altra per la propria condizione sociale. La possibilità di rateizzare e personalizzare la sanzione economica è lo strumento che la legge offre per garantire che la pena sia giusta, proporzionata e rispettosa del principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.

Le cattive condizioni economiche di un imputato possono impedirgli di ottenere la sostituzione della pena detentiva con una pena pecuniaria?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la situazione di indigenza non è un motivo valido per negare la pena pecuniaria sostitutiva, poiché ciò costituirebbe una forma di discriminazione e violerebbe il principio di uguaglianza.

A chi spetta l’onere di dimostrare la solvibilità dell’imputato per ottenere la pena pecuniaria sostitutiva?
Non è un onere dell’imputato. Secondo l’art. 545-bis del codice di procedura penale, è il giudice che ha il potere di acquisire d’ufficio tutte le informazioni necessarie sulle condizioni economiche, familiari e sociali dell’imputato per prendere una decisione.

In che modo la legge permette di adattare la pena pecuniaria alla situazione economica dell’imputato?
La legge (art. 56-quater, legge n. 689/1981) prevede che il giudice determini un “valore giornaliero” della pena, che può variare da 5 a 2.500 euro, basandosi sulle reali condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare, rendendo così la sanzione “personalizzata” e sostenibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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