Pena Pecuniaria Sostitutiva: La Cassazione detta le nuove regole
Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito i criteri per l’applicazione della pena pecuniaria sostitutiva, annullando una decisione di merito che aveva negato a un imputato la conversione della pena detentiva. Questa pronuncia è fondamentale perché evidenzia l’impatto della recente riforma legislativa, volta a rendere la sanzione penale più equa e proporzionata alle reali condizioni economiche del condannato.
I Fatti di Causa
Il caso riguarda un uomo condannato per essersi allontanato dal proprio domicilio durante la detenzione domiciliare, violando le prescrizioni imposte. In sede di appello, i giudici avevano confermato la condanna. La difesa aveva richiesto la sostituzione della pena detentiva con una pena pecuniaria, ma la Corte di Appello aveva rigettato tale istanza.
La Corte territoriale aveva motivato il diniego basandosi su due elementi principali: da un lato, riteneva inattendibile la certificazione ISEE dell’imputato, che attestava un reddito pari a zero, considerandola in contrasto con la sua passata attività lavorativa; dall’altro, applicando i vecchi parametri di conversione, aveva calcolato che la sanzione pecuniaria sarebbe risultata eccessivamente elevata (oltre 27.000 euro), e quindi in contraddizione con la funzione rieducativa della pena.
L’applicazione della pena pecuniaria sostitutiva secondo la Riforma
Il cuore del ricorso in Cassazione si è concentrato sull’errata applicazione della legge. La difesa ha sostenuto che la Corte di Appello avrebbe dovuto applicare non più il vecchio art. 53 della legge n. 689/1981, ma il nuovo art. 56-quater della medesima legge, introdotto dalla riforma del 2022. Questa nuova norma ha radicalmente modificato i criteri per la quantificazione della pena pecuniaria sostitutiva.
Mentre la vecchia normativa prevedeva un meccanismo di conversione più rigido, il nuovo articolo stabilisce un arco di conversione molto più ampio, che va da un minimo di 5 euro a un massimo di 2.500 euro per ogni giorno di detenzione. L’obiettivo di questa modifica è proprio quello di consentire al giudice di calibrare la sanzione tenendo conto delle effettive “condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare”.
La valutazione economica del condannato
La Cassazione ha sottolineato come la Corte di Appello, pur evidenziando le iniquità derivanti dal vecchio sistema, abbia trascurato di applicare la nuova normativa, che era stata introdotta proprio per superare tali problematiche. Il legislatore ha voluto fornire al giudice uno strumento flessibile per evitare sanzioni sproporzionate, che risulterebbero inesigibili per i non abbienti e irrisorie per i più ricchi.
Inoltre, la Corte ha specificato che, a differenza di altre pene sostitutive, per la conversione in pena pecuniaria non è richiesto il consenso del condannato.
Le motivazioni della Cassazione
La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso, affermando che la motivazione della Corte di Appello era “non lineare”. I giudici di merito avevano errato nel non considerare la nuova formulazione dell’art. 56-quater. Questo articolo, introdotto proprio per rispondere ai principi espressi dalla Corte Costituzionale in materia di equità della pena, impone al giudice di effettuare una valutazione concreta della situazione economica del reo.
L’errore è stato duplice: da un lato, si è applicata una norma superata; dall’altro, si è giunti a una conclusione paradossale, negando la sostituzione proprio perché, secondo i vecchi calcoli, sarebbe stata iniqua. La Cassazione ha quindi annullato la sentenza, rinviando il caso a una diversa sezione della Corte di Appello per un nuovo giudizio che dovrà applicare correttamente i nuovi canoni legislativi.
Conclusioni
Questa sentenza riafferma un principio cruciale della recente riforma penale: la pena deve essere personalizzata e sostenibile. La pena pecuniaria sostitutiva non può essere un automatismo matematico, ma deve scaturire da un’attenta analisi della capacità economica del condannato. La decisione della Cassazione impone ai giudici di merito di abbandonare i vecchi schemi e di utilizzare pienamente gli strumenti offerti dalla nuova legge per garantire che la sanzione penale persegua effettivamente la sua finalità rieducativa, senza trasformarsi in una misura puramente afflittiva e sproporzionata.
Perché la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza della Corte di Appello?
La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza perché la Corte di Appello ha erroneamente applicato una normativa superata (l’art. 53 della legge 689/1981) invece della nuova disposizione (l’art. 56-quater della stessa legge) per decidere sulla sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria.
Qual è la principale novità introdotta dall’art. 56-quater per la pena pecuniaria sostitutiva?
La novità principale è l’introduzione di un arco di conversione molto più ampio e flessibile, che va da 5 a 2.500 euro per ogni giorno di pena detentiva. Questo permette al giudice di determinare l’importo della sanzione tenendo conto in modo più equo delle reali condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare.
È necessario il consenso del condannato per sostituire la pena detentiva con una pena pecuniaria?
No, la sentenza chiarisce che, a differenza di altre pene sostitutive, per la conversione in pena pecuniaria non è richiesto l’assenso del condannato.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 5303 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 5303 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato il DATA_NASCITA a Chieti
avverso la sentenza dell’8/06/2023 emessa nei suoi confronti dalla Corte di appello di L’Aquila;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta con cui il AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell’8 giugno 2023 la Corte di appello di L’Aquila ha confermato la condanna inflitta dal Tribunale di Chieti ex art. 385 cod. pen., in relazione all’art. 47-ter, comma 8, legge 26 luglio 1975 n. 354, a NOME COGNOME per essersi allontanato, al di fuori degli orari per i quali gli era consentito, dal domicili presso il quale stava in detenzione domiciliare.
Nel ricorso e nelle conclusioni scritte del 7 novembre 2023 presentate dal difensore di COGNOME si chiede l’annullamento della sentenza deducendo violazione di legge e vizi o della motivazione in relazione al rigetto della richiesta, ex art. 20-
bis cod. proc pen., di sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria motivato con il richiamo all’art. 53 legge 24 novembre 1981 n. 689 ma non applicando l’art. 56-quater della stessa legge come novellata nel 2022.
Si osserva che il parametro della conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, con la introduzione dell’art. 56-quater non può essere rimesso a una valutazione discrezionale del giudicante e che nella fattispecie la certificazione ISEE indica un reddito dell’imputato pari a zero.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La Corte di appello ha ritenuto la certificazione ISEE – che attesta oltre all’assenza di familiari conviventi – una assoluta mancanza di reddito, in contrasto con il fatto che l’imputato ha svolto (almeno sino al 2019) attività di commercio ambulante e ha considerato che, stante la non attendibilità della certificazione ISEE, la determinazione della conversione nella misura di euro 5 per ogni giorno di pena detentiva risulterebbe il concreto incongrua e inaccettabilmente premiante per chi non offre elementi di valutazione veridici.
Posto questo, ha richiamato la sentenza n. 28 del 2022 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 53, secondo comma, legge 24 novembre 1981 n. 689, nella parte in cui prevede che «il valore giornaliero non può essere inferiore alla somma indicata dall’art. 135 del codice penale e non può superare di dieci volte tale ammontare», anziché «il valore giornaliero non può essere inferiore a 75 euro e non può superare di dieci volte la somma indicata dall’art. 135 del codice penale». Su questa base, ha considerato che dalla sentenza, nel caso in esame, conseguirebbe l’irrogazione di una sanzione di 75 che, stante la mancanza di reddito addotta dall’imputato, condurrebbe a determinare la pena sostitutiva in oltre 27.000 euro «in insanabile contraddizione con la funzione rieducativa della penna e la sua finalità di prevenzione dal pericolo di reiterazione dei reati».
La motivazione, non lineare, addotta dalla Corte di appello trascura che proprio in considerazione delle iniquità che potevano derivare dalla precedente normativa e anche alla luce dei principi ricordati dalla Corte costituzionale (sent. nn. 15/2020 e 22/2022) – la quantificazione della pena pecuniaria sostitutiva è oggetto della nuova formulazione dell’art 56-quater legge n. 689 del 1981 e può effettuarsi entro l’ampio arco che va dal limite minimo (5 euro) a quello massimo (2500 euro), tenendo conto delle condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare e della possibilità di un pagamento rateale ex art. 133-ter cod. pen. che il giudice dovrà accertare nell’udienza ex art. 545-
bis cod. proc. pen. Inoltre, a differenza che per le altre pene sostitutive, per la pena pecuniaria sostitutiva non è richiesto l’assenso del condannato.
Da quanto precede deriva l’annullamento della sentenza impugnata per un nuovo giudizio, circa la sostituzione della pena detentiva con una pena pecuniaria, da effettuarsi alla stregua dei nuovi canoni della legge n. 689 del 1981 introdotti dal d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia.
Così deciso il 28/11/2023