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Pena pecuniaria sostitutiva e precedenti penali

Un imprenditore, condannato per reati fallimentari, si vede negare la conversione della pena detentiva in pena pecuniaria sostitutiva a causa dei suoi precedenti. La Corte di Cassazione annulla questa decisione, stabilendo che i precedenti penali da soli non possono giustificare un diniego basato su una presunta futura insolvenza. Il caso viene rinviato per una nuova valutazione basata sui corretti criteri di adeguatezza della pena.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena pecuniaria sostitutiva: i precedenti penali non bastano a negarla

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24081/2025, offre un importante chiarimento sui criteri per la concessione della pena pecuniaria sostitutiva. La pronuncia stabilisce che i precedenti penali di un imputato non possono, da soli, costituire un motivo sufficiente per negare la conversione di una pena detentiva breve in una sanzione economica. Questo principio riafferma la necessità per il giudice di condurre una valutazione più ampia e articolata, basata sull’adeguatezza della pena rispetto al caso concreto.

I fatti di causa

Il caso riguarda un imprenditore, amministratore unico di una società a responsabilità limitata dichiarata fallita, condannato in primo e secondo grado per reati fallimentari. La Corte d’Appello, pur dichiarando la prescrizione per alcuni dei reati contestati, aveva confermato la condanna a una pena detentiva, rideterminandola in sei mesi di reclusione. Tuttavia, la stessa Corte aveva respinto la richiesta della difesa di sostituire la pena detentiva con una sanzione pecuniaria. La motivazione del diniego si fondava sui “vari precedenti giudiziali” a carico dell’imputato, interpretati come “indice di una sostanziale scarsa adesione all’osservanza delle regole e degli oneri economici a suo carico”.

I motivi del ricorso: focus sulla pena pecuniaria sostitutiva

L’imprenditore ha presentato ricorso per cassazione basandosi su due motivi principali. Il primo, e più rilevante, contestava la violazione di legge nel rigetto della richiesta di pena pecuniaria sostitutiva. La difesa ha sostenuto che la Corte d’Appello avesse errato nel valutare i precedenti penali come un ostacolo automatico alla conversione. Secondo il ricorrente, l’unico vero ostacolo previsto dalla legge (art. 59, l. n. 689/1981) è la condanna, nei cinque anni precedenti, a una pena pecuniaria non pagata. Nel caso specifico, non solo non vi era traccia di tale circostanza, ma esistevano prove di segno opposto: il puntuale pagamento di un’altra sanzione pecuniaria e il positivo espletamento di un affidamento in prova ai servizi sociali per una condanna precedente.

Il secondo motivo di ricorso lamentava un vizio di motivazione nel calcolo degli aumenti di pena operati dalla Corte d’Appello, sostenendo che tale mancanza avesse privato l’imputato di un grado di giudizio sul merito della dosimetria sanzionatoria.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il primo motivo di ricorso, ritenendolo fondato, mentre ha rigettato il secondo. Di conseguenza, ha annullato la sentenza impugnata limitatamente al punto sulla sanzione sostitutiva, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello per una nuova valutazione.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha sviluppato un’articolata motivazione per spiegare perché la decisione della Corte d’Appello fosse errata. Il fulcro del ragionamento risiede nella corretta interpretazione della legge n. 689 del 1981, che disciplina le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi.

I giudici hanno chiarito che la “prognosi di inadempimento” che può ostacolare la sostituzione della pena (art. 58 della legge) si riferisce esclusivamente a quelle sanzioni che comportano “prescrizioni” da adempiere, come la semidetenzione o la libertà controllata. Non si applica, invece, alla pena pecuniaria sostitutiva, il cui unico contenuto è l’obbligo di pagamento di una somma di denaro.

Pertanto, il giudice di merito non deve effettuare una valutazione sulla capacità del condannato di pagare la sanzione, ma deve basare la sua decisione discrezionale sui criteri generali previsti dall’art. 133 del codice penale. Questi criteri includono la gravità del reato e la personalità dell’imputato. I precedenti penali rientrano in questa valutazione, ma non come indice di una futura insolvenza, bensì come elemento per giudicare l’adeguatezza complessiva della sanzione pecuniaria a fini rieducativi e preventivi.

La Corte ha ribadito che negare la sostituzione solo sulla base di precedenti giudiziali equivarrebbe a reintrodurre un requisito di “solvibilità” che la giurisprudenza, a partire dalla nota sentenza delle Sezioni Unite “Gagliardi” del 2010, ha escluso. In sintesi, la valutazione del giudice deve essere incentrata sull’efficacia della sanzione, non su una presunzione di inadempienza fondata unicamente sul passato del condannato.

Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, la Corte ha specificato che la mancanza di motivazione sul calcolo della pena da parte del giudice di primo grado non determina la nullità della sentenza, poiché il giudice d’appello possiede pieni poteri per integrare tale motivazione.

Le conclusioni

Questa sentenza rafforza un importante principio di diritto: la valutazione per la concessione della pena pecuniaria sostitutiva deve essere ancorata a criteri di adeguatezza sanzionatoria e non può trasformarsi in un giudizio sommario sulla solvibilità o sull’affidabilità futura del condannato basato esclusivamente sui suoi precedenti penali. La decisione della Cassazione impone ai giudici di merito un’analisi più rigorosa e motivata, che tenga conto di tutti gli elementi previsti dall’art. 133 c.p., garantendo che la scelta tra pena detentiva e sanzione pecuniaria sia sempre il risultato di un bilanciamento concreto e non di presunzioni astratte.

Un giudice può negare la pena pecuniaria sostitutiva solo sulla base dei precedenti penali dell’imputato?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che i precedenti penali non sono di per sé sufficienti a fondare una prognosi di futuro inadempimento dell’obbligazione pecuniaria. Devono essere valutati nel contesto più ampio dell’adeguatezza della pena ai sensi dell’art. 133 c.p.

Quali criteri deve seguire il giudice per decidere sulla sostituzione della pena?
Il giudice deve esercitare il suo potere discrezionale valutando l’adeguatezza della sanzione pecuniaria in base ai criteri dell’art. 133 del codice penale (gravità del reato, personalità del reo), senza basarsi su una presunta incapacità di pagare che non sia specificamente provata o su una prognosi di inadempimento applicabile solo ad altre pene sostitutive.

La mancanza di motivazione sul calcolo degli aumenti di pena per la continuazione rende nulla la sentenza di primo grado?
No. Secondo la Cassazione, la mancanza di motivazione su questo punto non rientra tra i casi di nullità. Il giudice d’appello ha il potere di integrare la motivazione mancante, procedendo autonomamente alla determinazione della pena.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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