Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 24081 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 24081 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CUPRA MARITTIMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/06/2024 della CORTE APPELLO di ANCONA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto come da requisitoria in atti. udito il difensore L’AVV_NOTAIO, dopo essersi soffermato su alcuni punti del ricorso presentato ne chiede l’accoglimento.
IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Ancona riformava parzialmente in senso favorevole all’imputato la sentenza con cui il tribunale di Ascoli Piceno, in data 28.9.2022, aveva condannato COGNOME NOME alle pene, principale e accessorie, ritenute di giustizia, in relazione ai reati fallimentari in rubrica ascrittigli ai capi A); B); C) e D) dell’imputazione, in qualità di amministratore unico della “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarata fallita con sentenza del tribunale di Fermo del 3.6.2015, dichiarando non doversi procedere nei confronti dell’imputato in ordine ai reati di cui ai capi C) e D), perché estinti per prescrizione, GLYPH con GLYPH rideterminazione GLYPH dell’entità GLYPH del GLYPH trattamento sanzionatorio, originariamente pari a otto mesi di reclusione, nella misura di mesi sei di reclusione, a titolo di aumento per ciascuno dei reati di cui ai capi A) e B), con i reati già giudicati con sentenza emessa dal G.U.P. del tribunale di Fermo n. 201/2017, divenuta irrevocabile, operato in applicazione della disciplina della continuazione riconosciuta dallo stesso giudice di primo grado.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione lo COGNOME, lamentando: 1) violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al rigetto della richiesta difensiva di sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria, formulata ai sensi dell’art. 20 bis, c.p., ed erroneamente disattesa dalla corte di appello sul presupposto che la sussistenza di vari precedenti giudiziali a carico dell’imputato sia indice di una sostanziale scarsa adesione di quest’ultimo all’osservanza delle regole e degli oneri economici a suo carico.
Osserva il ricorrente che, ai sensi dell’art. 59. I. n. 689 del 1981, l’unico ostacolo alla sostituzione della pena detentiva è rappresentato dalla circostanza che nei cinque anni precedenti sia intervenuta a carico del soggetto che invoca la sostituzione sentenza di condanna a pena pecuniaria non pagata, di cui non vi è traccia, senza tacere che, sempre nel caso in esame, risulta agli atti un elemento, che sarebbe stato specifico onere del giudice rilevare, a prescindere dall’allegazione
difensiva al riguardo, indice di inequivoco valore positivo, rappresentato da un precedente relativo al puntuale pagamento in epoca appena precedente alla decisione impugnata, di un’altra differente sanzione pecuniaria.
COGNOME, infatti, condannato nell’ambito di diverso procedimento alla pena sostitutiva pecuniaria con sentenza del tribunale di Fermo del 27.6.2023, aveva estinto puntualmente e integralmente il suo debito, versando la somma di euro 1800,00.
Rileva, inoltre, il ricorrente, che la stessa condanna pronunciata dal tribunale di Fermo in data 18.10.2017, per i fatti ritenuti più gravi, sui quali si è operata la continuazione, è stata integralmente scontata dall’imputato, ai sensi dell’art. 47, ord. pen., in affidamento in prova ai servizi sociali.
violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla determinazione dell’entità del trattamento sanzionatorio, che la corte di appello ha effettuato, violando anche il principio del divieto di reformatio in pejus, operando un aumento per ciascuno dei reati di cui ai capi A) e B) pari a tre mesi di reclusione, in assenza di ogni motivazione da parte del giudice di primo grado sulla determinazione degli aumenti operati a titolo di continuazione anche con riferimento ai reati di cui ai capi C) e D), con la conseguenza che l’imputato è stato privato di un grado di giudizio di merito, non avendo potuto con l’atto di appello sottoporre a critica e a censura in fatto i criteri dosimetrici adoperati dal giudice della cognizione ed apparendo la pena irrogata frutto di un’operazione arbitraria.
2.1. Con requisitoria scritta il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, AVV_NOTAIO, chiede che il ricorso venga rigettato.
Il ricorso va parzialmente accolto, essendo fondato il primo motivo di ricorso.
Invero la conversione della pena detentiva in pecuniaria, ritualmente richiesta dall’imputato nell’atto di appello, non è stata disposta dalla corte territoriale, sul presupposto che non fosse possibile effettuare una
prognosi positiva sull’esatto adempimento da parte del prevenuto dell’obbligazione pecuniaria risultante dalla conversione, “considerato che l’imputato risulta gravato da vari precedenti giudiziali, anche per reati commessi tramite omesso versamento delle ritenute previdenziali, indice di una sostanziale scarsa adesione dell’imputato all’osservanza delle regole e degli oneri economici a suo carico” (cfr. p. 8).
Si tratta di una motivazione non pienamente conforme, ad avviso del Collegio, alla disciplina della materia in esame, posto che, in tema di sostituzione della pena detentiva breve con quella pecuniaria di specie corrispondente, non si richiede al giudice di merito, nell’esercizio del potere discrezionale riconosciutogli dall’art. 53, co. 1, I. 24 novembre 1981, n. 689, di effettuare una valutazione di merito sulla capacità del condannato di adempiere al pagamento della sanzione pecuniaria applicata all’esito della conversione, ma solo, come si dirà meglio in seguito, di operare una valutazione, che tenga conto dei medesimi criteri previsti dall’art. 133, cod. pen., per la determinazione della pena.
Né sembra emergere dagli atti la sussistenza dell’ostacolo specificamente previsto dall’art. 59, co. 1, lett. b), I. 24 novembre 1981, n. 689, che, in tutta evidenza, fonda una presunzione di inadempimento, negando la possibilità di beneficiare della sostituzione della pena detentiva breve con la pena pecuniaria, a “chi, nei cinque anni precedenti, è stato condannato a pena pecuniaria, anche sostitutiva, e non l’ha pagata, salvi i casi di conversione per insolvibilità ai sensi degli articoli 71 e 103”.
Al tempo stesso, ritiene il Collegio, che la valutazione espressa dalla corte territoriale non possa trovare giustificazione nella disposizione normativa contenuta nell’ultimo periodo, del comma primo dell’art. 58, I. 24 novembre 1981, n. 689, secondo cui “La pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato”.
Ciò per la decisiva ragione che le sanzioni pecuniarie non contengono prescrizioni aggiuntive che ne disciplinano l’esecuzione, rispetto al loro
nucleo ontologico, rappresentato dal pagamento della somma fissata dal giudice in sede di conversione.
In questo senso appare condivisibile l’orientamento giurisprudenziale, pur non dominante, secondo cui la sostituzione delle pene detentive brevi è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice ed è consentita anche in relazione a condanna inflitta a persona in condizioni economiche disagiate, poiché la prognosi di inadempimento, ostativa alla sostituzione in forza dell’art. 58, legge 24 novembre 1981, n. 689, si riferisce soltanto alle pene sostitutive di quella detentiva accompagnate da prescrizioni, ossia alla semidetenzione e alla libertà controllata (cfr., ex plurimis, Sez. 1, n. 2357 del 12/10/2023, Rv. 285786; Sez. 4, n. 37533 del 09/06/2021, Rv. 281928; Sez. 6, n. 29192 del 28/05/2024, Rv. 286771).
Come è stato correttamente osservato “il recupero del requisito della solvibilità dell’imputato nella valutazione, in termini ostativi, dei presupposti funzionali alla sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria” si pone “in termini di immediato contrasto con le indicazioni di principio offerte da questa Corte sin dalla sentenza delle sezioni uniteGagliardi del 2010 (n. 24476 del 22/04/2010, Rv. 247274) 1 in forza delle quali “la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria a norma dell’art. 58 della legge n. 689 del 1981 è consentita anche in relazione a condanna inflitta a persona in condizioni economiche disagiate, in quanto la presunzione di inadempimento, ostativa, in forza del secondo comma dell’articolo citato, si riferisce soltanto alle pene sostitutive di quella detentiva accompagnate da prescrizioni (semidetenzione o libertà controllata), e non alla pena pecuniaria sostitutiva, che non prevede alcuna prescrizione particolare”.
Principio, questo, ribadito da altre successive pronunce conformi (Sez. 4, n. 37533 del 09/06/2021, Rv.,281928; Sez. 3, n. 17103 del 08/03/2016′ Rv. 2666:39; Sez. 6, n. 36639 del 10/07/2014′ Rv. 260333), tuttora valido a seguito della revisione della disciplina delle pene sostitutive ad opera del d.lgs. n. 150 del 2022 (in termini, Sezione 2, n. 9397 del 1/2/2024), vieppiù considerando che proprio l’importo ora
previsto dall’art. 56 quater citato nel determinare il minimo tasso di conversione giornaliero, consente all’interprete di declinare al meglio il proprio potere discrezionale e di accedere ad una determinazione della pena sostitutiva che, alla luce delle condizioni economiche dell’imputato, possa comunque garantire il rispetto delle prerogative rieducative e di prevenzione comunque connesse all’applicazione della pena, anche di quella pecuniaria. Né, infine, l’eventuale incertezza sulle condizioni economiche dell’imputato, se del caso emergente da allegazioni non convincenti rese dalla difesa, può ritenersi di per sé ostativa, a monte, della sostituzione.
Piuttosto, proprio i poteri di indagine ascritti al giudice, oggi incanalati nel particolare ed eventuale percorso processuale di cui all’ultimo periodo del primo comma 545-bis cod. proc. pen., interno al giudizio di cognizione, consentiranno di ovviare a tali possibili distonie tra allegazioni difensive e emergenze acquisite d’ufficio, garantendo un esercizio quanto più coerente e puntuale del relativo potere discrezionale, così da rapportare al meglio la pena da irrogare alle effettive connotazioni economiche e patrimoniali dell’imputato all’uopo accertate” (cfr. la già citata Sez. 6, n. 29192 del 28/05/2024, Rv. 286771).
Resta fermo, ovviamente, che il giudice investito dalla richiesta di conversione debba esercitare il suo potere discrezionale, facendo riferimento, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte con orientamento costante nel tempo, ai medesimi criteri previsti dall’art. 133 cod. pen., per la determinazione della pena, senza, tuttavia, che sia necessario l’esame di tutti i parametri contemplati nella predetta norma, potendo la sua discrezionalità essere esercitata motivando sugli aspetti ritenuti decisivi in proposito, quali, ad esempio, l’inefficacia della sanzione, sotto il profilo afflittivo e della finalità rieducativa, in rapporto alla gravità del fatto e alla personalità dell’imputato (cfr., ex plurimis, Sez. 7, n. 32381 del 28/10/2020, Rv. 279876, Sez. 5, n. 10941 del 26/01/2011, Rv. 249717; Sez. 2, n. 28707 del 03/04/2013, Rv. 256725).
In questa prospettiva anche i precedenti penali e giudiziari dell’imputato possono essere presi in considerazione, in quanto se ne fa esplicito riferimento nell’art. 133, co. 2, n. 2), cod. pen., ma essi non vanno valutati nella prospettiva di un possibile futuro inadempimento da parte del prevenuto dell’obbligazione pecuniaria nascente dalla conversione, quanto, piuttosto, sotto l’angolo visuale dell’adeguatezza della sanzione pecuniaria rispetto alle finalità rieducative e preventive proprie della pena, in rapporto alla gravità del fatto-reato e della personalità dell’imputato, da valutare nel suo complesso, anche tenendo conto delle condizioni economiche, patrimoniali e di vita di quest’ultimo e del suo nucleo familiare, del pari richiamate dall’art. 133, co. 2, n. 4, cod. pen.
5. Infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso.
Come è noto, persino la mancanza assoluta di motivazione della sentenza in relazione a un capo d’imputazione non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall’art. 604 cod. proc. pen., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante, senza che ciò comporti la privazione per l’imputato di un grado del giudizio (cfr., ex plurimis, da ultima, Sez. 6, n. 1270 del 20/11/2024, Rv. 287505).
Di conseguenza la denunciata mancanza di motivazione della sentenza resa dal giudice di primo grado in ordine agli aumenti da operare per ogni singolo capo d’imputazione, una volta intervenuta la dichiarazione di estinzione per decorso del termine massimo di prescrizione dei reati di cui ai capi C) e D), non rileva, essendo nei poteri del giudice di appello procedere, sempre in applicazione della disciplina della continuazione, alla determinazione dell’aumento di pena da operare sui suddetti reati, una volta ritenuta la continuazione tra questi ultimi e i reati oggetto della richiamata sentenza pronunciata dal G.U.P. presso il tribunale di Fermo.
quelli, estinti per prescrizione di cui ai capi C) e D), in ragione dell’incidenza “sul piano patrimoniale del pregiudizio provocato ai
creditori sociali delle condotte illecite penalmente rilevanti realizzate in loro danno dallo RAGIONE_SOCIALE, pregiudizio che non appare in alcun modo
irrisorio”, avendo comportato “un significativo aggravio del dissesto economico e finanziario” della società fallita, direttamente derivante
dalle condotte distrattive poste in essere dal ricorrente (cfr. p. 7).
Sicché, l’aumento, operato a titolo di continuazione sulla pena-base, pari, come si è detto, a tre mesi di reclusione per ciascuno dei fatti di cui
ai capi A) e B), risulta sorretto da idonea motivazione, apparendo, al tempo stesso, del tutto fuori bersaglio la doglianza difensiva relativa a
una pretesa violazione del divieto di reformatio in peius,
configurabile solo nel caso in cui il giudice di appello, in presenza di impugnazione del
solo imputato avverso una sentenza di condanna pronunciata per più
reati unificati dal vincolo della continuazione, pur dichiarando l’estinzione per prescrizione per taluno di essi, non diminuisca l’entità della pena originariamente inflitta (cfr. Sez. 5, n. 31998 del 06/03/2018, Rv. 273570).
6. Sulla base delle svolte considerazioni la sentenza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio alla corte di appello di Perugia, per nuovo giudizio sul punto relativo alla sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria di specie corrispondente, da svolgere alla luce dei criteri in precedenza indicati, mentre nel resto il ricorso va rigettato.
La non completa soccombenza del ricorrente, comporta che quest’ultimo non sia condannato al pagamento delle spese del presente procedimento.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla sanzione sostitutiva, con rinvio per nuovo esame sul punto alla corte di appello di Perugia. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma il 20.3.2025.