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Pena pecuniaria: motivazione e condizioni economiche

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che sostituiva una pena detentiva per diffamazione con una pena pecuniaria. La decisione è stata motivata dalla totale assenza di valutazione da parte del giudice delle condizioni economiche del condannato, un criterio fondamentale e obbligatorio secondo l’art. 133-bis del codice penale per garantire la proporzionalità della sanzione.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena pecuniaria: l’obbligo di motivazione sulle condizioni economiche del reo

Con la sentenza n. 33616 del 2024, la Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale nella determinazione della pena pecuniaria: l’obbligo per il giudice di motivare la propria decisione tenendo esplicitamente conto delle condizioni economiche e patrimoniali del condannato. La pronuncia chiarisce che la semplice determinazione di un importo, anche se compreso nei limiti di legge, non è sufficiente se non è supportata da un’adeguata giustificazione che dimostri la valutazione di questo parametro essenziale.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una decisione del Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, che aveva accolto la richiesta di un condannato per diffamazione aggravata. A seguito di una pronuncia della Corte Costituzionale (n. 150/2021), che aveva dichiarato illegittime le norme che prevedevano la pena detentiva per tutte le ipotesi di diffamazione, il condannato aveva chiesto di sostituire due pene detentive (rispettivamente di dieci mesi e venticinque giorni e di tre mesi) con la corrispondente sanzione pecuniaria.

Il giudice dell’esecuzione aveva quindi rideterminato le pene in due multe, una di 40.000,00 euro e l’altra di 15.000,00 euro. Tuttavia, il condannato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando che il giudice non avesse minimamente considerato le sue condizioni economiche, violando così l’articolo 133-bis del codice penale.

La corretta applicazione della pena pecuniaria

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato. Gli Ermellini hanno innanzitutto chiarito che il caso in esame non riguardava una semplice “sostituzione” di pena secondo le regole del ragguaglio (art. 135 c.p.), bensì una rideterminazione della sanzione ex novo. La declaratoria di incostituzionalità aveva infatti eliminato la pena detentiva come opzione per quel tipo di reato, rendendo necessaria una nuova valutazione da parte del giudice.

Il punto centrale della sentenza, tuttavia, risiede nell’analisi del dovere di motivazione. Sebbene l’importo delle multe stabilito dal Tribunale rientrasse astrattamente nella “forbice edittale” (cioè tra il minimo e il massimo previsto dalla legge), la decisione era viziata da un’omissione fondamentale.

le motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda sulla violazione dell’art. 133-bis del codice penale. Questa norma impone al giudice, nel determinare l’ammontare della multa o dell’ammenda, di tenere conto non solo dei criteri generali di gravità del reato (art. 133 c.p.), ma anche delle “condizioni economiche e patrimoniali del reo”.

La Corte ha sottolineato che il Tribunale aveva completamente trascurato di rendere ragione di questa valutazione. Nella sua ordinanza, non vi era alcun riferimento all’analisi della situazione finanziaria del condannato. Questa omissione costituisce un vizio di motivazione che rende illegittimo il provvedimento. La ratio dell’art. 133-bis è quella di assicurare che la pena pecuniaria sia proporzionata e realmente afflittiva, ma non rovinosa, per il condannato. Una sanzione uguale per un individuo abbiente e per uno indigente avrebbe effetti palesemente sperequati, contravvenendo al principio di uguaglianza e alla finalità rieducativa della pena sancita dall’art. 27 della Costituzione.

Il giudice dell’esecuzione, pertanto, non può limitarsi a fissare un importo basandosi solo sulla gravità del fatto, ma deve esplicitare nel suo provvedimento come ha ponderato la capacità economica del soggetto per giungere a quella determinata somma.

le conclusioni

In conclusione, la Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale per un nuovo esame. Questa sentenza ribadisce con forza che la determinazione della pena pecuniaria non è un mero calcolo aritmetico, ma un’operazione che richiede una valutazione complessa e una motivazione trasparente. I giudici sono tenuti a dare conto del percorso logico seguito, includendo obbligatoriamente l’analisi delle condizioni economiche del reo. In assenza di tale motivazione, la decisione è illegittima e può essere annullata, garantendo così una maggiore equità e aderenza ai principi costituzionali nell’applicazione delle sanzioni penali.

Quando un giudice determina una pena pecuniaria, quali criteri deve obbligatoriamente considerare?
Il giudice deve considerare sia i criteri generali relativi alla gravità del reato e alla personalità del colpevole (art. 133 c.p.), sia, in modo specifico e obbligatorio, le condizioni economiche e patrimoniali del condannato, come previsto dall’art. 133-bis del codice penale.

Cosa succede se il giudice omette di motivare la sua decisione riguardo le condizioni economiche del condannato?
Secondo la sentenza in esame, la totale omissione di motivazione sulla valutazione delle condizioni economiche del reo costituisce un vizio del provvedimento, che può essere annullato dalla Corte di Cassazione. La motivazione su questo punto è un requisito essenziale per la validità della determinazione della pena.

La conversione di una pena detentiva in una pecuniaria a seguito di una dichiarazione di incostituzionalità segue le regole del ‘ragguaglio’?
No. La Corte ha chiarito che in questo caso non si tratta di un ‘ragguaglio’ (conversione di una pena esistente), ma di una ‘rideterminazione’ della pena ex novo. Poiché la norma che prevedeva la detenzione è stata rimossa dall’ordinamento, il giudice deve definire una nuova sanzione pecuniaria applicando da capo tutti i criteri di commisurazione, inclusi quelli dell’art. 133-bis c.p.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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