Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 6225 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 6225 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 04/10/1985
avverso l’ordinanza del 09/07/2024 del TRIBUNALE di PERUGIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Perugia, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza di rideterminazione della pena avanzata da NOME COGNOME con riferimento alla sentenza emessa, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., dal medesimo Tribunale in data 4 settembre 2023 per il reato di tentata rapina impropria, tenuto conto della sentenza n. 86 del 16 aprile 2024, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 628, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.
A ragione della decisione, il Tribunale di Perugia osservava che, in forza dei principi generali, al giudice dell’esecuzione non era concesso, per di più in assenza di un nuovo accordo delle parti, operare una rivisitazione della pena a suo tempo concordata (nella misura di 1 anno, 4 mesi di reclusione e 300,00 euro di multa), essendo egli vincolato al giudizio di comparazione effettuato, con la sentenza irrevocabile, in termini di equivalenza tra la recidiva qualificata e le circostanze attenuanti generiche.
Ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, per il tramite del suo difensore, deducendo, con un unico motivo, vizio di motivazione e violazione dell’art. 69 cod. pen.
Nella specie, la denunciata illegalità della pena sarebbe discesa dal mancato riconoscimento in favore del ricorrente dell’attenuante della lieve entità del fatto, la cui compatibilità con il reato al medesimo ascritto non era stata esclusa né dal giudice della cognizione, né da quello dell’esecuzione.
Quest’ultimo avrebbe errato nell’aver omesso di procedere ad un nuovo giudizio di bilanciamento tra le circostanze, includente l’attenuante del fatto di lieve entità.
Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va, perciò, rigettato.
Occorre premettere che, come già accennato, la sentenza n. 86 del 16 aprile 2024 della Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale «dell’art. 628, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo
(/CL–
quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lie entità».
Si tratta di pronuncia che, nel solco della precedente sentenza n. 120 del 2023 emessa dal Giudice delle leggi, attinente al delitto di estorsione ex art. 629 cod. pen., ha precisato che, in presenza di una fattispecie astratta, connotata da intrinseca variabilità – atteso il carattere multiforme degli elementi costitutiv «violenza o minaccia», «cosa sottratta», «possesso», «impunità» – e , tuttavia, assoggettata a un minimo edittale di rilevante entità, il fatto che non sia prevista la possibilità per il giudice di qualificare il fatto-reato come di lieve entità relazione alla natura, alla specie, ai mezzi, alle modalità o circostanze dell’azione, ovvero alla particolare tenuità del danno o del pericolo, determina la violazione, ad un tempo, del primo e del terzo comma dell’art. 27 Cost.
Ciò posto, va tenuto presente che, per l’analoga fattispecie della dichiarazione di illegittimità dell’art. 630 cod. pen. a causa della mancata previsione della lieve entità del fatto, la giurisprudenza della Corte di cassazione ha enunciato il principio di diritto per cui «in tema di sequestro di persona a scopo di estorsione, il condannato con sentenza divenuta irrevocabile prima della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 630 cod. pen., nella parte in c non prevedeva l’attenuante della lieve entità del fatto (Corte cost., sent. 19 marzo 2012, n. 68), può richiedere, con incidente di esecuzione, l’applicazione della predetta attenuante al fine di rideterminare il trattamento sanzionatorio, ed il giudice adito “in executivis” è tenuto a compiere una valutazione circa la sussistenza della circostanza nei limiti consentiti dalla decisione di merito, ovvero sulla base delle risultanze acquisite e degli apprezzamenti operati, in base ad esse, nel giudizio di cognizione» (Sez. 1, n. 5973 del 04/12/2014, dep. 2015, COGNOME Rv. 262270 – 01, richiamata, di recente, da Sez. 1, n. 14861 del 16/02/2024, COGNOME, non mass.).
Si tratterebbe dell’applicazione del principio generale secondo cui «quando, successivamente alla pronuncia di una sentenza irrevocabile di condanna, interviene la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, e quest’ultimo non è stato interamente eseguito, il giudice dell’esecuzione deve rideterminare la pena in favore del condannato pur se il provvedimento “correttivo” da adottare non è a contenuto predeterminato, potendo egli avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione, fermi restando i limiti fissati dalla pronuncia di cognizione in applicazione di norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali, o comunque derivanti dai principi in materia di successione di leggi penali nel tempo, che inibiscono l’applicazione di
norme più favorevoli eventualmente “medio tempore” approvate dal legislatore» (Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260697 – 01).
Nell’operazione di rideterminazione della pena, il giudice, si è detto, deve operare discrezionalmente e considerare i parametri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., tenendo conto degli elementi fattuali accertati nel giudizio di cognizione e coperti dal giudicato definitivo.
Ci si chiede se, nel caso di specie, gli appena ricordati principi possano trovare applicazione.
Il Collegio ritiene che al quesito debba essere fornita risposta negativa.
3.1. In primo luogo, perché la sentenza di cui si richiede la rivisitazione in melius, previa valutazione (anche) dell’attenuante del fatto di lieve entità rispetto a un’imputazione di tentata rapina impropria, non è stata emessa al termine di un giudizio ordinario, ma è stata frutto di un accordo tra le parti, raggiunto ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.
In argomento, è utile richiamare il principio affermato da Sez. U, COGNOME, in tema di stupefacenti, secondo il quale, quando, successivamente alla pronuncia di una sentenza irrevocabile di applicazione di pena ex art. 444 cod. proc. pen., interviene la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, il giudicato permane quanto ai profili relativi alla sussistenza del fatto, alla sua attribuibilità soggettiva e alla sua qualificazione giuridica, ma giudice della esecuzione deve rideterminare la pena, attesa la sua illegalità sopravvenuta, in favore del condannato con le modalità di cui al procedimento previsto dall’art. 188 disp. att. cod. proc. pen. e solo in caso di mancato accordo, ovvero di pena concordata ritenuta incongrua, provvede autonomamente ai sensi degli artt. 132-133 cod. pen. (Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, COGNOME, Rv. 264858 – 01).
In base ai principi affermati dalla citata pronuncia, nei casi di richiesta di rideterminazione di una pena “patteggiata” deve operarsi una interpretazione estensiva dell’art. 188 disp. att. cod. proc. pen., con la conseguenza che detta rideterminazione deve avvenire ad iniziativa delle parti, le quali sottopongono al giudice dell’esecuzione una nuova pena su cui è stato raggiunto l’accordo; solo in caso di mancato accordo o di pena concordata ritenuta non congrua, il giudice dell’esecuzione provvede autonomamente alla rideterminazione della pena ai sensi degli artt. 132 e 133 cod. pen.
Nel caso di specie, non risulta che le parti si siano attivate secondo lo schema procedimentale previsto dalla richiamata disposizione di attuazione del codice di rito.
3.2. Il ricorrente sostiene che, a questo punto, il giudice dell’esecuzione avrebbe potuto e dovuto provvedere ex officio, procedendo a nuovo giudizio di comparazione delle circostanze, arricchito dalla valutazione della circostanza attenuante del fatto di lieve entità.
La prospettazione difensiva, va, tuttavia, disattesa, poiché, ad avviso del Collegio, in tanto il giudice dell’esecuzione sarebbe stato tenuto a intervenire su una pronuncia irrevocabile di “patteggiamento”, in quanto la sentenza n. 86/2024 della Corte costituzionale avesse determinato, di per sé, l’illegalità della pena concordata in cognizione.
Su tale approdo non può, però, convenirsi.
Ed invero, non va dimenticato che la pena, come da ultimo ribadito da Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283689 – 01, può dirsi «illegale» quando, per specie ovvero per quantità, non corrisponde a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice in questione, così collocandosi al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal codice penale, ovvero qualora, comunque, è stata determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione basato su una cornice edittale inapplicabile, perché dichiarata costituzionalmente illegittima o perché individuata in violazione del principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole.
Tanto non può sostenersi che ricorra nella vicenda in esame.
Infatti, la sentenza n. 86 del 2024 della Corte costituzionale ha avuto l’effetto di consentire il riconoscimento di un’attenuante in precedenza non prevista, con ciò non determinando automaticamente l’illegalità della pena che consegue a mutamenti del suo intervallo edittale.
Come efficacemente rappresentato dal Procuratore generale nella sua requisitoria, nel caso affrontato dal Tribunale di Perugia l’illegalità della pena, in concreto, «dovrebbe passare attraverso una serie di rivalutazioni del fatto di reato per nulla scontate: segnatamente, che nella specie la rapina dovesse considerarsi di particolare tenuità e che ciò avrebbe determinato il riconoscimento sia di tale attenuante, sia delle generiche e che tale eventuale riconoscimento avrebbe potuto altrettanto eventualmente portare a un diverso giudizio di bilanciamento delle circostanze».
Ma, restando nel novero delle possibilità eventuali, non è affatto escluso, di contro, che, all’esito di nuovo giudizio di bilanciamento, anche tenendo conto dell’attenuante di cui si discute, il giudice dell’esecuzione possa confermare in termini di equivalenza il giudizio di bilanciamento operato in sede di cognizione.
Le esposte considerazioni conducono a ritenere, quindi, intangibile il giudicato formatosi sulla sentenza di applicazione della pena emessa dal Tribunale di Perugia in data 4 settembre 2023 nei confronti dell’odierno ricorrente, dovendo
tt’
reputarsi precluso al giudice dell’esecuzione intervenire ex officio in un caso come quello esaminato, in cui l’illegalità della pena, che, come detto, non scaturisce automaticamente dalla pronuncia del Giudice delle leggi più volte citata, sarebbe, in concreto, subordinata a valutazioni discrezionali affatto eventuali e incerte del giudice dell’esecuzione medesimo.
Per tali ragioni, che concorrono a integrare, in parte correggendola, ai sensi dell’art. 619 cod. proc. pen., la motivazione dell’ordinanza impugnata, il ricorso va rigettato, dal che consegue ex lege la condanna del proponente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente