LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Pena patteggiata: no modifica d’ufficio dopo Consulta

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6225/2025, ha stabilito che una pena patteggiata non può essere modificata d’ufficio dal giudice dell’esecuzione a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale che introduce una nuova attenuante. Anche se la Consulta ha riconosciuto l’attenuante della lieve entità per la rapina, la rideterminazione della pena concordata richiede un nuovo accordo tra le parti. In assenza di tale accordo, il giudicato formatosi sulla pena patteggiata rimane intangibile, poiché la potenziale ‘illegalità’ della pena non è automatica ma dipende da valutazioni discrezionali che non possono essere svolte ex officio in sede esecutiva.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena patteggiata e sentenze della Consulta: chi decide sulla modifica?

La stabilità di una pena patteggiata è un pilastro del nostro sistema processuale. Ma cosa succede quando una sentenza della Corte Costituzionale introduce una nuova circostanza attenuante che, se fosse esistita prima, avrebbe potuto portare a un accordo diverso? Può il giudice dell’esecuzione intervenire d’ufficio per modificare la pena? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6225 del 2025, ha fornito una risposta chiara: no, senza un nuovo accordo tra le parti, il patteggiamento resta intatto.

I Fatti del Caso

Un soggetto veniva condannato con sentenza di patteggiamento per il reato di tentata rapina impropria. Successivamente, la Corte Costituzionale (con sentenza n. 86/2024) dichiarava l’illegittimità dell’art. 628, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui non prevedeva una diminuzione di pena per i fatti di lieve entità.

Sulla base di questa nuova pronuncia, il condannato si rivolgeva al giudice dell’esecuzione, chiedendo una rideterminazione della pena a suo tempo concordata. Il Tribunale di Perugia, tuttavia, rigettava l’istanza, sostenendo che il giudice dell’esecuzione non potesse rivisitare unilateralmente una pena frutto di un accordo, essendo vincolato al giudizio di bilanciamento tra circostanze (nella specie, tra recidiva e attenuanti generiche) già cristallizzato nella sentenza irrevocabile.

La Decisione della Cassazione sulla Pena Patteggiata

La Suprema Corte ha confermato la decisione del Tribunale, rigettando il ricorso del condannato. Ha stabilito che, nel caso di una pena patteggiata, l’intervento del giudice dell’esecuzione per adeguare la sanzione a seguito di una declaratoria di illegittimità costituzionale non è un atto dovuto né automatico. La natura negoziale del patteggiamento impone un percorso diverso rispetto a quello previsto per le sentenze emesse a seguito di un giudizio ordinario.

Le Motivazioni

La Corte ha articolato il suo ragionamento su due punti fondamentali.

In primo luogo, ha richiamato i principi stabiliti dalle Sezioni Unite (sentenza Marcon, n. 37107/2015), secondo cui la modifica di una pena patteggiata in sede esecutiva deve seguire uno specifico iter procedimentale. L’iniziativa spetta alle parti (imputato e pubblico ministero), le quali devono sottoporre al giudice un nuovo accordo sulla pena, ricalcolata alla luce della nuova normativa. Solo in caso di mancato accordo, o se l’accordo raggiunto viene ritenuto incongruo, il giudice dell’esecuzione può provvedere autonomamente alla rideterminazione della pena. Nel caso di specie, questa procedura non era stata attivata.

In secondo luogo, la Cassazione ha chiarito perché la pena originaria non potesse considerarsi automaticamente “illegale”. Una pena è illegale quando non corrisponde, per specie o quantità, a quella astrattamente prevista dalla legge. La sentenza della Consulta ha introdotto la possibilità di riconoscere un’attenuante, non un obbligo. Il suo riconoscimento dipende da una valutazione discrezionale sul fatto (se la rapina fosse davvero di “particolare tenuità”) e comporterebbe un nuovo e complesso giudizio di bilanciamento con le altre circostanze già considerate.

Questa operazione non è un semplice calcolo matematico, ma una rivalutazione del merito che esula dai poteri del giudice dell’esecuzione in un caso come questo, dove la pena è il risultato di un accordo. L’illegalità, quindi, non era manifesta e immediata, ma subordinata a “valutazioni discrezionali affatto eventuali e incerte”.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce la forza del giudicato formatosi sulla pena patteggiata. L’accordo tra accusa e difesa cristallizza non solo la qualificazione giuridica del fatto, ma anche la valutazione complessiva delle circostanze e la conseguente quantificazione della pena. Per scardinare questo assetto, non è sufficiente l’intervento ‘additivo’ della Corte Costituzionale. È necessario che le parti stesse rinegozino i termini del loro accordo. In assenza di questo passaggio fondamentale, il giudice dell’esecuzione non ha il potere di intervenire d’ufficio, preservando così la natura consensuale e la stabilità del rito speciale.

È possibile modificare una pena patteggiata dopo una sentenza della Corte Costituzionale che introduce una nuova attenuante?
Sì, ma non d’ufficio da parte del giudice. La procedura richiede che le parti (imputato e pubblico ministero) raggiungano un nuovo accordo sulla pena da sottoporre al giudice dell’esecuzione. Solo in caso di mancato accordo o di accordo ritenuto incongruo, il giudice può provvedere autonomamente.

Perché la Cassazione ha ritenuto che la pena originaria non fosse automaticamente ‘illegale’?
Perché l’applicazione della nuova attenuante del ‘fatto di lieve entità’ non è automatica, ma richiede una valutazione discrezionale dei fatti e un nuovo giudizio di bilanciamento con le altre circostanze. Poiché questa valutazione non è un mero calcolo, ma un’analisi di merito, la pena concordata non diventa ‘illegale’ solo per effetto della pronuncia della Corte Costituzionale.

Qual è il ruolo del giudice dell’esecuzione in questi casi?
Il suo ruolo è sussidiario. Deve attendere l’iniziativa delle parti che propongono un nuovo accordo sulla pena. Può intervenire autonomamente per rideterminare la pena solo se le parti non riescono ad accordarsi o se l’accordo raggiunto viene giudicato non congruo. Non può agire sulla base della sola richiesta unilaterale del condannato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati