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Pena minima e motivazione: quando il ricorso è nullo

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per reati legati agli stupefacenti. Il ricorso contestava unicamente l’entità della pena, ritenuta di poco superiore al minimo edittale. La Corte ha ribadito che, in questi casi, non è necessaria una motivazione rafforzata da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo ai criteri generali di adeguatezza della pena. Il ricorso è stato giudicato infondato e dilatorio, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma alla cassa delle ammende.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso sulla pena minima: quando la motivazione è sufficiente?

L’entità della pena è uno degli aspetti più delicati del processo penale. Ma cosa succede quando un imputato ritiene che la condanna inflitta, seppur vicina alla pena minima prevista dalla legge, sia ingiusta? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti del ricorso in questi casi e l’onere di motivazione che grava sul giudice. La Suprema Corte ha stabilito che se la pena si scosta solo leggermente dal minimo, non è necessaria una spiegazione dettagliata.

Il Contesto del Caso: Dalla Condanna al Ricorso

Il caso in esame riguarda un individuo condannato sia in primo grado dal Tribunale di Alessandria, sia in secondo grado dalla Corte d’Appello di Torino, per reati connessi al traffico di sostanze stupefacenti. La pena inflitta era di sei mesi di reclusione e 800 euro di multa.
Ritenendo la sentenza ingiusta, l’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione. L’unico motivo di doglianza riguardava proprio l’entità della pena, criticando una presunta mancanza o manifesta illogicità della motivazione fornita dalla Corte d’Appello.

Pena Minima e Motivazione: La Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, considerandolo manifestamente infondato. Il cuore della decisione risiede in un principio consolidato nella giurisprudenza: l’obbligo per il giudice di fornire una motivazione “rafforzata” scatta solo quando la pena si discosta in modo significativo dal pena minima edittale.

Nel caso specifico, i giudici di merito avevano irrogato una pena che si era “leggermente scostata dal minimo edittale”, tenendo conto della personalità dell’imputato e delle modalità del fatto. Secondo la Cassazione, in queste circostanze, non è richiesta una giustificazione analitica di ogni singolo aspetto. È sufficiente un richiamo generico al criterio di adeguatezza della pena, che implicitamente considera tutti gli elementi previsti dall’articolo 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere del colpevole).

le motivazioni

La Corte ha spiegato che la richiesta di una motivazione analitica per pene vicine al minimo edittale sarebbe un onere sproporzionato. Quando la pena è contenuta, o addirittura al di sotto della media, il semplice riferimento alla sua adeguatezza è considerato una motivazione sufficiente. Questo orientamento è supportato da numerose sentenze precedenti, che confermano come una motivazione rafforzata sia necessaria solo in caso di pene esemplari o molto severe, lontane dai minimi di legge.
Inoltre, la Corte ha ravvisato nel ricorso un palese “carattere dilatorio”, ovvero un tentativo di allungare i tempi del processo senza reali fondamenta giuridiche. Questa valutazione ha portato non solo alla dichiarazione di inammissibilità, ma anche alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.

le conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un’importante lezione per la difesa: un ricorso per cassazione non può basarsi su una generica contestazione della pena, specialmente se questa è vicina al minimo legale. Per avere successo, è necessario dimostrare una “manifesta illogicità” o una totale assenza di motivazione, compito arduo quando il giudice ha esercitato la sua discrezionalità entro limiti ragionevoli. La decisione sottolinea l’importanza di concentrare i motivi di ricorso su vizi di legittimità concreti e specifici, evitando impugnazioni che rischiano di essere considerate meramente dilatorie, con conseguenze economiche negative per l’imputato.

Quando un giudice deve fornire una motivazione dettagliata (rafforzata) per la pena che infligge?
Il giudice è tenuto a fornire una motivazione rafforzata solo quando la pena si discosta in modo significativo dal minimo previsto dalla legge per quel reato. Se la pena è vicina al minimo, non è richiesta una spiegazione analitica.

È sufficiente che il giudice motivi una pena vicina al minimo affermando che è ‘adeguata’?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, quando viene irrogata una pena al di sotto della media o leggermente superiore al minimo, è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza, poiché in esso sono implicitamente contenuti i parametri di valutazione previsti dall’art. 133 del codice penale.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene giudicato ‘manifestamente infondato’ e ‘dilatorio’?
Se la Corte di Cassazione ritiene che il ricorso sia palesemente privo di fondamento e presentato solo per allungare i tempi del processo, lo dichiara inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato non solo a pagare le spese del processo, ma anche a versare una somma di denaro alla Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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