Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38847 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38847 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 13/12/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 8 maggio 2024 la Corte di assise di appello di Reggio Calabria, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta avanzata da NOME COGNOME, volta ad ottenere la rideterminazione in anni 20 di reclusione della pena di anni 30 inflittagli con sentenza irrevocabile emessa dallo stesso Ufficio giudicante in data 3 aprile 2001 in esito a giudizio abbreviato o, i subordine, l’applicazione della pena di anni 30, quale pena unica e non quale effetto del cumulo materiale tra le singole sanzioni.
A ragione della decisione osserva che tanto la questione principale che quella avanzata in via subordinata non possono esser sollevate in sede esecutiva;
avrebbero dovuto, invece, formare oggetto di impugnazione in sede di cognizione dove effettivamente opera il principio in forza del quale «la riduzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato si applica dopo che la pena è stata determinata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene stabilite dagli artt. 71 e seg.. cod. pen., fra le quali vi è anche la disposizione limitativa cumulo materiale, in forza della quale la pena della reclusione non può essere superiore ad anni trenta» (Sez. U, n. 45583 del 25/10/2007, P.G. in proc. Volpe e altri, Rv. 237692).
D’altra parte, in casi analoghi anche nei confronti di uno dei coimputati di COGNOME, NOME COGNOME, la Corte di cassazione, investita della medesima questione, ha statuito che l’errore compiuto nel giudizio di cognizione non è rimediabile in sede esecutiva.
Ricorre COGNOME, per il tramite del difensore di fiducia, deducendo un unico motivo per violazione di legge sostanziale e processuale in elazione agli artt. 442 cod. proc. pen. e 7 d.l. n. 341 del 2000 e 78 cod. pen. articolato in due distinte censure.
2.1. Con la prima lamenta che l’ordinanza impugnata sia incappata in un errore di diritto laddove ha ritenuto che la questione relativa al calcolo della pen in conformità agli artt. 73 e seg. cod. pen., come interpretati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza “Volpe”, non poteva essere affrontata perché non specificamente riferita al giudizio di cognizione. Al contrario, è evidente che l’istanza rigettata censurava, espressamente e direttamente, il calcolo della pena adottato dalla sentenza di condanna per il concorso di reati.
2.2. Con il secondo “sub motivo”, il ricorrente evidenzia che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte distrettuale, è ormai pacifico nella giurisprudenza di legittimità che il giudice dell’esecuzione possa intervenire anche dopo la formazione del giudicato per rideterminare la pena qualora risulti la sua illegittimità anche per fatti sopravvenuti.
La sentenza di legittimità emessa a carico del coimputato COGNOME COGNOME occupa della diversa questione dell’applicazione della pena dell’ergastolo e comunque riconosce esplicitamente la necessità di emendare l’errore in cui è incorso il giudice dlela cognizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso propone censure infondate sicché deve essere rigettato.
La giurisprudenza di legittimità è ferma nel qualificare come “illegale” la pena che si colloca al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal codice penale, perché diversa:
per genere (pene detentive o pecuniarie);
per specie (ergastolo, reclusione o arresto per le pene detentiva; quanto alle pene pecuniarie, multa o ammenda);
per quantità perché in difetto o in eccesso rispetto alla misura stabilita per ciascuna pena sia dagli artt. 23 e seguenti del codice penale, nonché, a fronte del concorso di più circostanze aggravanti, dagli artt. 65 e seguenti del codice penale, e, in presenza del concorso di più reati, dagli artt. 71 e seguenti, dello stess codice oppure ai limiti edittali, minimi e massimi fissati, in astratto da ciascun norma penale incriminatrice.
La pena è, quindi, “illegale” non quando consegua ad una mera erronea applicazione dei criteri di determinazione del trattamento sanzionatorio, alla quale l’ordinamento reagisce approntando i rimedi processuali delle impugnazioní, ma solo quando non sia prevista dall’ordinamento giuridico ovvero sia superiore ai limiti previsti dalla legge o sia più grave per genere e specie di quella individuat dal legislatore.
Non è, pertanto, “illegale” la pena conclusivamente corrispondente per genere, specie e quantità a quella legale, anche se determinata attraverso un percorso argomentativo viziato da una o più violazioni di legge: gli errori relativ ai singoli passaggi interni che conducono alla determinazione della pena risultano, infatti, privi di rilievo.
All’Illegalità” della pena, intesa nei precisati termini restrittivi come un v e proprio abuso del potere discrezionale attribuito al giudice, con l’usurpazione dei poteri esclusivi del legislatore, può porre rimedio, una volta formatosi il giudicato il giudice dell’esecuzione che è abilitato ad intervenire sul trattamento sanzionatorio illegalmente applicato per ricondurre la sua misura entro i parametri legali così da attuare il principio costituzionale della legalità della pena ma anch quello e della sua adeguatezza nella prospettiva della rieducazione del condannato di cui all’art. 27, terzo comma, Cost., (sugli ampi poteri di intervento attribuit giudice dell’esecuzione a partire da Sez. U n. 42858 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260697-01, cfr. Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886; Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 383689; Sez. U, n. 47766 del 26/05/2015, COGNOME, Rv. 265106-01; Sez. U, n. 6240 del 27/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262327-01).
Ogni violazione delle regole diverse da quelle relative alla determinazione delle cornici edittali pertinenti al caso dà luogo ad una “pena illegittima rimediabile con gli ordinari mezzi di impugnazione. E’, pertanto, “illegittima”, l pena commisurata sulla base della errata applicazione della legge o non giustificata secondo il modello argomentativo normativamente previsto (Sez. U , n. 47182 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283818 – 01).
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Rientrano in questa categoria le sanzioni che, pur osservando i limiti edittali, siano il frutto di errori (Sez. 2, n. 22136 del 19/02/2013, COGNOME, Rv. 255729) o siano state determinate secondo un percorso argomentativo viziato ( Sez. 5, n. 8639 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 266080) o con «modalità di calcolo … che non incidono sui limiti edittali, comunque rispettati (Sez. 2, n. 46765 del 09/12/2021, COGNOME, Rv. 282322).
L'”illegalità” della pena può anche discendere dal carattere “macroscopico” dell’errore di calcolo. Tuttavia, alla correzione in sede esecutiva della pena affetta da tale vizio può procedersi solo se la sua commisurazione erronea non rappresenti comunque il frutto di una argomentata, pur discutibile, valutazione del giudice della cognizione; è infatti, sempre precluso al giudice dell’esecuzione di modificare le statuizioni del giudicato, anche se erronee, quando argomentate dal giudice della cognizione (Sez. U , n. 47182 del 31/03/2022, COGNOME, in motivazione).
L’ordinanza impugnata, in puntuale applicazione dei ricordati principi, ha ritenuto che l’errore in cui, secondo la prospettazione del condannato, era incappato il giudice della cognizione nel determinare la pena inflitta al condannato era di tipo valutativo, risolvendosi nella erronea interpretazione ed applicazione delle norme sul concorso di reati e di pene stabilite dagli artt. 71 e seguenti cod. pen ed in particolare di quelle che disciplinano i rapporti tra il calcolo de riduzione sanzionatoria correlata alla scelta del rito abbreviato e la disposizione limitativa del cumulo materiale, in forza della quale la pena della reclusione non può essere superiore ad anni trenta.
Da tale premessa corretta ha tratto l’ineccepibile conclusione che si è in presenza di una ipotesi di “pena illegittima” e non di “pena illegale” e che, conseguentemente, non vi era spazio per l’intervento correttivo del giudice dell’esecuzione ma solo per l’attivazione dei mezzi di impugnazione ordinaria avverso la sentenza di condanna, peraltro nelle specie esperiti vanamente.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
O E o processuali. < Così deciso, in Roma 18 settembre 2024.