Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 19197 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 19197 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/10/2022 della CORTE APPELLO di MESSINA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
-1E9 -1./2 udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo COGNOME Ac.,e t .’D9e. r COGNOME v-13 COGNOME ALe
udito il difensore
AVV_NOTAIO si riporta sia alle memorie depositate in cancelleria rispettivamente il 3.01.2024 e 16.01.2024 sia ai motivi di ricorso di cui chiede l’accoglimento.
IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Messina riformava in senso favorevole all’imputato, limitatamente alla determinazione dell’entità del trattamento sanzionatorio, la sentenza con cui il tribunale di Patti, in data 14.7.2021, aveva condannato COGNOME NOME alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al reato ex artt. 81, cpv., e 624 bis, c.p., in rubrica ascrittogli.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME, lamentando: 1) violazione di legge e vizio di motivazione in punto di riconoscimento dell’imputato, fondato sull’individuazione del numero di targa dell’autovettura a lui in uso e sull’esito del riconoscimento fotografico operato nella fase delle indagini preliminari; 2) violazione di legge in ordine alla mancata notifica del decreto di citazione a giudizio al difensore di fiducia del prevenuto, AVV_NOTAIO del Foro di Palermo.
Con memoria del 3.1.2024, pervenuta a mezzo di posta elettronica certificata, il difensore di fiducia dell’imputato, AVV_NOTAIO, deduce l’illegalità della pena irrogata, in quanto il giudice di primo grado e il giudice di appello, che ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, sono partiti dal minimo edittale fissato per la pena detentiva in anni tre di reclusione, laddove, tenuto conto della data di commissione dei reati (17.7.2012), il minimo edittale previsto dalla norma in questione era di un anno di reclusione, successivamente modificato in tre anni di reclusione solo dalla I. n. 103 del 2017, senza tacere che la corte territoriale, nella determinazione del trattamento sanzionatorio, ha applicato la disciplina della continuazione, con riferimento al delitto di cui al capo b), che, tuttavia, non risulta compreso nella formulazione dell’imputazione.
Con requisitoria scritta del 29.12.2023, da valere come memoria, in quanto, nelle more, il ricorrente ha chiesto la discussione in forma orale della proposta impugnazione, il sostituto procuratore generale della
Repubblica presso la Corte di cassazione, AVV_NOTAIO, chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
Con memoria del 16.1.2024, pervenuta a mezzo di posta elettronica certificata, il difensore di fiducia dell’imputato, nel replicare alla requisitoria del pubblico ministero, insiste per l’accoglimento del ricorso.
Il ricorso va rigettato, essendo sorretto da motivi in parte inammissibili, in parte infondati.
4.1. COGNOME Inammissibili, COGNOME in particolare, COGNOME appaiono COGNOME i due COGNOME motivi di impugnazione, sintetizzati sub n. 1) e n. 2).
Con riferimento al primo, il ricorrente non tiene nel dovuto conto che lin tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. ettgaa, Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482).
Ed invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di Cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito.
In questa sede di legittimità, infatti, è precluso il percorso argomentativo seguito dal COGNOME, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del
14/02/2012, Rv. 253099; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758).
La corte territoriale, del resto, ha fondato l’affermazione di responsabilità del COGNOME su di una motivazione, certo non manifestamente illogica, né contraddittoria, fondata sulla indiscutibile identificazione dell’imputato nella persona vista uscire dal villaggio turistico “Hotel Club Calanovella Mare”, recando con sé quanto sottratto in occasione dell’azione furtiva perpetrata in danno degli occupanti di due camere della menzionata struttura alberghiera.
Identificazione resa possibile sulla base delle dichiarazioni di una testimone oculare, COGNOME NOME, che, “insospettita dal contegno dell’uomo colto mentre usciva dal villaggio turistico con un computer e un sacco nero, aveva allertato il custode COGNOME NOME e segnato il numero di targa mentre l’odierno imputato si era allontanato precipitosamente a bordo di un’autovettura modello Smart targata TARGA_VEICOLO“.
La COGNOME nell’immediatezza dei fatti aveva fornito una puntuale descrizione, provvedendo poi a individuarlo nel fascicolo fotografico, acquisito al fascicolo per il dibattimento con il consenso delle parti, mentre l’autovettura risultava intestata proprio al COGNOME.
La teste, inoltre, nel corso del dibattimento aveva ribadito il riconoscimento operato nella fase delle indagini preliminari, ragione per la quale, sul punto, il percorso argomentativo seguito dalla corte territoriale è del tutto conforme al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’individuazione, personale o fotografica, di un soggetto, compiuta nel corso delle indagini preliminari, costituisce una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, sicché la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale, e non dalle formalità di assunzione previste dall’art. 213, c.p.p. per la ricognizione personale, utili ai fini della efficacia dimostrativa secondo il libero apprezzamento
del giudice (cfr., ex plurimis, Sez.5, n. 23090 del 10/07/2020, Rv. 279437).
D’altro canto risultano del tutto generici i rilievi difensivi volti a contestare l’attendibilità del menzionato riconoscimento fotografico.
Manifestamente infondato e generico deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, in quanto il ricorrente non solo non indica quale decreto di citazione non sarebbe stato notificato al difensore, ma omette anche di considerare che, come si evince dalla lettura degli atti, consultabili in questa sede di legittimità, essendo stato dedotto un error in procedendo, l’AVV_NOTAIO era difensore solo del coimputato non appellante del COGNOME, che, dunque, non ha nessun interesse a far valere un’asserita violazione processuale non incidente sulla sua posizione.
Infondato appare il terzo motivo di ricorso.
Al riguardo si osserva che con gli originari motivi di ricorso non è stata svolta nessuna censura in punto di determinazione dell’entità del trattamento sanzionatorio, circostanza che determina, ai sensi dell’art. 585, co. 4, secondo periodo, c.p.p., l’inammissibilità dei motivi nuovi, apparendo indubbiamente tali i motivi riguardanti il trattamento sanzionatorio del tutto assenti, come si è detto, nel ricorso per cassazione presentato nell’interesse del COGNOME.
Eccezione a tale regola si individua nel caso in cui, per rimanere nel perimetro decisorio devoluto con l’indicata memoria del 3.1.2024, dovesse ritenersi che la pena inflitta al COGNOME sia una pena illegale, posto che, in tal caso, competerebbe a questa Corte rilevarne l’illegalità e porvi rimedio, in quanto il ricorso, pur essendo stato proposto per motivi non consentiti dalla legge, è idoneo, a differenza del ricorso tardivo, a instaurare un valido rapporto processuale (cfr., Sez. U, n. 47766 del 26/06/2015, Rv. 265106; Sez. 5, n. 13787 del 30/01/2020, Rv. 279201).
Se ciò è vero, come è vero, non può non rilevarsi come nel c:aso in esame la pena inflitta al COGNOME, non possa ritenersi illegalle, ma illegittima, dovendosi ritenere illegale, come affermato dalla Suprema Corte nella sua espressione più autorevole, la pena determinata
dall’applicazione di sanzione “ah origine” contraria all’assetto normativo vigente perché di specie diversa da quella di legge o irrogata in misura superiore al massimo edittale (cfr. Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, Rv. 283689).
La corte territoriale, infatti, ha irrogato nei confronti del COGNOME, la pena detentiva di anni tre mesi sei di reclusione, partendo da una pena base di anni tre mesi cinque di reclusione, aumentata di un mese di reclusione per la continuazione “interna” tra i due reati di furto in contestazione (che, per un mero errore espositivo, del tutto irrilevante, venivano indicati come contestati in due autonomi capi d’imputazione, contraddistinti da due autonome lettere), lasciando integra l’entità della pena pecuniaria applicata dal giudice di primo grado.
La suddetta pena detentiva, individuata come congrua in ragione della spiccata capacità criminale del COGNOME, emersa anche alla luce dei plurimi precedenti penali per reati analoghi esistenti a suo carico, che induceva il giudice di appello a confermare l’intervenuto riconoscimento della contestata recidiva, pur ritenuta dallo stesso giudice equivalente rispetto alle concesse circostanze attenuanti generiche, rientrava nella forbice edittale prevista dalla formulazione dell’art. 624 bis vigente all’epoca della consumazione dei furti per cui è processo (la reclusione da uno a sei anni), prima che l’art. 1, co. 6, lett. a), I. 23 giugno 2017, n. 103, modificasse la cornice edittale, prevedendo la reclusione da tre a sei anni e la multa da euro 927,00 a euro 1500,00.
Risulta, pertanto, del tutto indimostrato che il giudice di appello abbia inteso partire dal minimo edittale vigente all’epoca della commissione dei fatti, mentre è indiscutibile che egli abbia operato una non consentita reformatio in peius del trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di primo grado, che, pur arrivando alla pena finale dì anni cinque mesi uno di reclusione e di euro 600,00 di multa, era partito da una pena base di anni tre di reclusione.
Come è noto, infatti, nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono
alla sua determinazione, per cui il giudice di appello, anche quando esclude una circostanza aggravante e per l’effetto irroga una sanzione inferiore a quella applicata in precedenza, non può fissare la pena base in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado (cfr. Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005, Rv. 232066)
Tale errore, tuttavia, rientrando la pena concretamente irrogata nei limiti edittali vigenti al momento della commissione dei reati di cui si discute integra un’ipotesi di pena illegittima e non illegale, (cfr. Sez. U, n. 47182 del 31/03/2022, Rv. 283818), in quanto tale non rilevabile in questa sede.
6. Al rigettg i , segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’ari:. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese. Così deciso in Roma il 228.1.2024. COGNOME ‘j