Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 26357 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 2 Num. 26357 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/07/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME NOME nato a CATANIA il 02/05/1959 NOME COGNOME nato a CATANIA il 05/03/1970
avverso la sentenza del 21/05/2025 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, letto il provvedimento impugnato e i ricorsi degli Avvocati COGNOME NOME e NOMECOGNOME
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
ricorsi trattati de plano.
RITENUTO IN FATTO
1. NOME COGNOME COGNOME e COGNOME NOME, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia e con due separate impugnazioni, ricorrono per cassazione avverso la sentenza resa, ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., dalla Corte di appello di Catania il 21/05/2025 con cui, in parziale riforma della sentenza del Gup del Tribunale di Catania, è stata rideterminata la pena inflitta agli imputati in ordine ai reati loro ascritti.
Le difese, con motivi sovrapponibili, denunciano la violazione e l’inosservanza della legge penale in ordine alla continuazione, sul rilievo che la Corte d’appello, in relazione all’aumento di pena dovuto per il delitto di lesioni di cui al capo b), ha inflitto agli imputati, in aumento sulla pena base stabilita sul più grave delitto di tentata estorsione, oltre la reclusione anche la multa, non prevista quale sanzione stabilita dalla legge per quel reato. Lamentano, poi, anche il vizio di motivazione riguardo al “percorso logico conoscitivo che ha indotto il giudice del gravame ad apprezzare in un certo modo le prove disponibili e a trarne le conclusioni tradotte in sentenza”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
2. In tema di concordato in appello, la Corte di legittimità ha affermato che è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. perì. e, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa da quella prevista dalla legge (Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278170 – 01).
Nel caso in esame, non ricorre alcun profilo di illegalità della pena, in quanto la Corte d’appello, al pari del primo giudice, nell’avere inflitto in continuazione, sul reato più grave di tentata estorsione di cui al capo a), la pena della reclusione e della multa in ordine al delitto di lesioni gravissime di cui al capo b), ha fatto corretta applicazione del principio di diritto espresso in materia dalle S.U. Giglia (S.U., n. 40983 del 21/06/2018, Rv. 273751 – 01), a mente del quale «se il reato più grave è punito con pena congiunta e il reato satellite con pena detentiva, si
aumentano entrambe le pene previste per la violazione più grave» (cfr.
sub par.
6.1 pag. 12).
3. Quanto al vizio di motivazione denunciato, poi, questa Corte ha precisato che a seguito della reintroduzione del c.d. patteggiamento in appello ad opera
dell’art. 1, comma 56, della legge n. 103 del 2017, il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta formulata a norma del nuovo art. 599-bis cod. proc.
pen., non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen., né sull’insussistenza di cause di nullità
assoluta o di inutilizzabilità delle prove, in quanto, a causa dell’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di
appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia (Sez.
5, n. 15505 del 19/03/2018, COGNOME, Rv. 272853; Sez. 2, n. 30990 del 1/06/2018,
COGNOME, Rv. 272969).
4. All’inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento, nonché della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende,
così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 15 luglio 2025.