Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 28886 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 28886 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
COGNOME NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente sul ricorso proposto da:
lette le conclusioni rassegnate dal Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
Il giudice dell’esecuzione, ritenuta la propria competenza, non accolto la domanda, perchØ la pena esitata con sentenza irrevocabile in cognizione, pur se determinata anche in virtø di un passaggio illegittimo, in quanto violativo del divieto di reformatio in peius , non poteva considerarsi illegale, con conseguente inibizione alla sua modifica in sede esecutiva.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso il difensore di XXXXXXX chiedendone l’annullamento e affidando il mezzo a due motivi.
2.1. Con il primo motivo si denuncia il vizio della motivazione, in relazione al disposto degli artt. 666, 125, 597 cod. proc. pen., 111 Cost. e 7 CEDU, con riferimento alla riconduzione del vizio censurato nella categoria dell’illegittimità della pena, in contrasto con gli orientamenti ermeneutici pure richiamati.
2.2. Con il secondo motivo si prospetta l’erronea applicazione degli artt. 666 e 597 cod. proc. pen. e 7 CEDU per l’errata ricostruzione del concetto di illegalità della pena, elaborato in violazione dei principi fondamentali posti a tutela della libertà individuale.
Nella congiunta trattazione delle due doglianze, la difesa – posta l’avvenuta constatazione anche da parte del giudice dell’esecuzione della violazione del divieto di
– Relatore –
Sent. n. sez. 2078/2025
reformatio in peius nel corso del procedimento di cognizione – dissente dall’inquadramento esposto nell’ordinanza circa l’assenza di rimedi attribuito al condannato a pena determinata a seguito della suddetta violazione.
Al riguardo, si sottolinea l’evoluzione che ha contrassegnato l’elaborazione di legittimità in tema di pena illegale, essendosi pervenuti ad affermare che anche in presenza di ricorso per cassazione inammissibile per ragioni diverse dalla tardività Ł possibile rilevare ex officio il profilo patologico della pena illegale, in quanto contraria all’assetto normativo vigente.
Si aggiunge che, nella ricostruzione del concetto di pena illegale, Ł stato espressamente segnalato che la sua nozione Ł operativamente destinata a misurarsi con il divieto di reformatio in peius , che impedisce, in assenza dell’impugnazione del pubblico ministero, un intervento sulla pena inferiore al minimo previsto per legge.
Su tale argomento si cita l’orientamento ermeneutico che ha evidenziato come rientri tra i principi generali dell’ordinamento processuale quello per il quale l’esistenza del giudicato interno – vale a dire formatosi nel corso dello stesso giudizio – può essere rilevata di ufficio, in ogni stato e grado del processo.
Si fa notare che anche in sede convenzionale si Ł affermato che l’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., benchØ collocato nel codice di rito, va considerato una disposizione di diritto penale materiale, in quanto verte sulla severità della pena da infliggere quando l’appello Ł stato interposto dal solo imputato.
Posto quanto precede, il ricorrente avvalora la conclusione che anche l’irrogazione della pena avvenuta in violazione del divieto di reformatio in peius concreta un’ipotesi di pena illegale, rilevabile di ufficio anche in sede di legittimità: ma ciò non era avvenuto nel caso in esame giacchØ la Corte di cassazione (pronunciatasi nel 2015), imperando il precedente orientamento, nulla aveva rilevato sul tema.
In questa situazione, il giudice dell’esecuzione, secondo la difesa, ha omesso di intervenire sulla pena esitata dal suddetto giudizio ritenendola soltanto illegittima sulla scorta dell’erroneo riferimento a insegnamenti di legittimità che invece avrebbero dovuto condurlo alla conclusione che la pena irrogata in violazione dell’art. 597 cod. proc. pen. andava e va considerata illegale.
Il Procuratore generale ha prospettato la declaratoria di inammissibilità del ricorso osservando, sulla premessa della mancata deduzione di profilo di illegalità con il ricorso per cassazione avverso la sentenza considerata, che, in ogni caso, può dirsi illegale la pena che, per specie ovvero per quantità, non corrisponde a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice, così collocandosi al di fuori del sistema sanzionatorio delineato dal codice penale, ovvero qualora sia stata determinata mediante un procedimento commisurativo basato su una cornice edittale inapplicabile, perchØ dichiarata costituzionalmente illegittima o perchØ individuata in violazione del principio di irretroattività della legge penale piø sfavorevole: ipotesi estranee al caso in esame.
La difesa di NOME ha depositato una memoria di replica con cui ha contestato il concetto di pena illegale sotteso alla requisitoria del Procuratore generale e ha osservato che le relative argomentazioni contrastano con la ormai consolidata grammatica giurisprudenziale, secondo cui il divieto di reformatio inpeius della sentenza impugnata dal solo imputato non riguarda unicamente l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono a determinarla, mentre la sua rilevabilità anche in sede esecutiva discende dall’approdo, imposto dalla giurisprudenza convenzionale, secondo il quale l’istituto giuridico di cui all’art. 597 cod. proc. pen. può essere considerato una disposizione di diritto penale materiale, in quanto verte sulla severità della pena da infliggere quando l’appello Ł
stato interposto unicamente dall’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte ritiene che l’impugnazione non sia basata su argomentazioni fondate, per cui essa non può essere accolta.
E’ rilevante richiamare sinteticamente i passaggi essenziali della motivazione fornita dal giudice dell’esecuzione a ragione del rigetto.
In particolare, il Tribunale per i minorenni ha premesso che effettivamente la Corte di appello di Napoli, nella sentenza del 29 aprile 2014, pur avendo irrogato, all’esito di giudizio abbreviato, una pena complessivamente inferiore a quella determinata dal giudice di primo grado (anni nove di reclusione ed euro 56.000,00 di multa, in luogo di anni dieci di reclusione ed euro 60.000,00 di multa), era partita da una pena base piø elevata (anni dodici, mesi sei di reclusione ed euro 80.000,00 di multa, in luogo di anni dieci di reclusione ed euro 60.000,00 di multa).
Posto ciò, si Ł tuttavia osservato che questo profilo ha riguardato il carattere di illegittimità della pena, non la sua illegalità, sicchØ il corrispondente vizio di illegittimità avrebbe dovuto farsi valere con l’impugnazione e non può, invece, prendersi in considerazione successivamente, in sede esecutiva.
Sul tema, il giudice dell’esecuzione ha argomentato nel senso che la nozione di pena illegale non può estendersi fino al punto da includere profili incidenti sul regime applicativo della sanzione, a meno che il punto censurato non abbia comportato una pena estranea all’ordinamento per specie, genere o quantità: nel caso in esame, il rilevato errore di diritto si era, in ogni caso, inserito in un computo che aveva comportato l’applicazione di una pena illegittima, ma non illegale.
L’impostazione seguita dal giudice dell’esecuzione merita di essere condivisa: le, pure approfondite, argomentazioni svolte dal ricorrente non riescono ad attrarre nell’alveo dell’illegalità della pena quella applicata dal giudice della cognizione nel caso in esame.
3.1. In merito alla rilevabilità in sede esecutiva dell’omessa applicazione nel giudizio di cognizione di determinati principi giuridici influenti sulla concreta quantificazione della pena, il Collegio, nel solco della condivisa elaborazione di legittimità, premette che in sede di incidente di esecuzione l’indagine demandata al giudice inerisce in linea di massima al controllo dell’esistenza del titolo esecutivo e della legittimità della sua emissione, senza la possibilità di ordine generale di estendersi alla delibazione e alla valutazione delle questioni che sono state oggetto del giudizio di cognizione e delle altre che avrebbero dovuto essere dedotte nella sede cognitoria, anche mediante la necessaria denuncia dei corrispondenti vizi con i mezzi di impugnazione previsti dall’ordinamento (per tutte, Sez. 1, n. 16958 del 23/02/2018, COGNOME, Rv. 272604 – 01; Sez. 1, n. 5880 del 11/12/2013, dep. 2014, Amore, Rv. 258765 – 01; Sez. 1, n. 4554 del 26/11/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 242791 – 01).
Ciò impedisce di annettere rilievo in sede esecutiva alla deduzione di eventuali nullità verificatesi prima del passaggio in giudicato della sentenza (Sez. 1, n. 8776 del 28/01/2008, COGNOME, Rv. 239509 – 01, e soprattutto Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020, dep. 2021, Lovric, Rv. 280931 – 01, per il rilevante aspetto della non deducibilità con l’incidente di esecuzione delle stesse nullità assolute e insanabili derivanti, in giudizio celebrato in assenza, dall’omessa citazione dell’imputato e/o del suo difensore).
D’altro canto, Ł indiscusso che, in determinate ipotesi previste dalla legge (così in quelle regolate dagli artt. 669, 670, comma 3, 671, 672 e 673 cod. proc. pen.), il giudice dell’esecuzione possa operare gli approfondimenti incidentali necessari per definire le vicende insorte in sede esecutiva, con effetti sulla condanna e/o sulla pena, sulla scia e
nell’alveo degli accertamenti e delle valutazioni oggetto delle decisioni emesse in sede cognitoria.
3.2. In questo quadro si inserisce la giuridica deducibilità in sede esecutiva dell’illegalità della pena, già ritenuta derivante da palese errore giuridico o materiale da parte del giudice della cognizione, privo di argomentata valutazione, ove esso non sia rilevabile d’ufficio in sede di legittimità per tardività del ricorso (Sez. U, n.47766 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 265108 – 01), nel quadro del maturato principio di recessività della statuizione sortita dal giudicato ove essa abbia avuto ad oggetto una pena illegale (riferimenti specifici sono espressi da Sez. U, n. 46653 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 265111 – 01; Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, COGNOME Rv. 264857/58/59 – 01; Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, COGNOME, Rv. 264205/06/07 – 01; Sez. U n. 6240 del 27/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262327 – 01; Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260697 – 01; Sez. U, n. 18821 del 24/10/2013, dep. 2014, Ercolano, Rv. 258649 – 01): principio – da ritenersi ormai assodato – alla luce del quale la questione che rileva non Ł piø individuata dalla risposta, da reputarsi acquisita in senso affermativo, all’interrogativo se la regola dell’intangibilità del giudicato trovi deroghe, ma dalla verifica, volta per volta, se si sia determinata, nel caso esaminato, una lesione di un diritto o di una garanzia fondamentale della persona tale da giustificare una limitazione della sua intangibilità, pur formalmente prevista.
Tale assunto Ł sostenuto dall’argomento secondo cui il principio di legalità della pena informa di sØ tutto il sistema penale, opera non solo in sede cognitoria, Ł valido per ogni pena e, nella sua essenza, impedisce che una pena – che non trovi fondamento in una norma di legge, anche se inflitta con sentenza non piø soggetta a impugnazione – possa avere esecuzione, siccome essa Ł avulsa dalla legittima pretesa punitiva dello Stato.
Posta questa cornice, Ł da osservarsi che, in accordo con l’approdo confermato anche dalla recente elaborazione, la nozione di pena illegale non si ritiene estensibile in guisa da includere profili incidenti sul regime applicativo della sanzione, salvo che ciò non abbia comportato la determinazione di una pena estranea all’ordinamento per specie, genere o quantità.
3.3. In tale direzione, va precisato che si configura come pena illegale – non quella che risulti irrogata a seguito di una mera erronea applicazione dei criteri di determinazione del trattamento sanzionatorio, all’irrogazione della quale il sistema processuale consente e impone di reagire mediante l’impiego dei rimedi processuali costituiti dalle impugnazioni, bensì – quella che non risulti prevista dall’ordinamento, oppure che sia stata quantificata in misura superiore ai limiti previsti dalla legge o risulti piø grave per genere e specie di quella individuata dal legislatore.
L’illegalità della pena, dunque, si determina soltanto quando la sanzione eccede i valori – espressi sia qualitativamente (genere e specie), sia quantitativamente (minimo e massimo) – stabiliti dal legislatore in riferimento al tipo astratto nel quale viene sussunto il fatto storico costituente reato.
Può darsi che non risulti semplice in concreto individuare la cornice edittale pertinente al caso specifico, ma resta il fatto che soltanto la violazione di tale cornice, contrassegnante il perimetro del potere legale di determinazione della sanzione, integra la pena illegale.
Viceversa, le altre violazioni delle regole da applicarsi per la definizione della pena da irrogare si risolvono nell’erroneo esercizio del potere commisurativo e determinano l’inflizione di una pena illegittima, ma non illegale (si richiamano le limpide notazioni rese da Sez. U, n. 47182 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283818 – 01, la quale ne ha tratto il corollario secondo il quale, ove la pena concretamente irrogata rientri nei limiti edittali, l’erronea
applicazione da parte del giudice di merito della misura della diminuente, prevista per un reato contravvenzionale giudicato con rito abbreviato, integra un’ipotesi di pena illegittima. non già di pena illegale; muovendo dallo stesso presupposto Sez. U, n. 7578 del 17/12/2020, dep. 2021, Acquistapace, Rv. 280539 – 01, ha affermato il giudice di appello, investito dell’impugnazione del solo imputato che, giudicato con il rito abbreviato per reato contravvenzionale, lamenti l’illegittima riduzione della pena ai sensi dell’art. 442 cod. proc. pen. nella misura di un terzo anzichØ della metà, deve applicare detta diminuente nella misura di legge, pur quando la pena irrogata dal giudice di primo grado sia inferiore al minimo edittale e, dunque, di favore per l’imputato).
Nell’ambito così definito, il rilievo della pena illegale si concreta con spessore tale da rappresentare, nel quadro della necessaria salvaguardia dei corrispondenti valori costituzionali e convenzionali, la funzione di limite estremo di tutela della libertà personale esposta al rischio del arbitrio che travalichi i confini del potere sanzionatorio riconosciuto al giudice: a tale limite specifico va riferito – per essere bilanciato con esso – il principio di intangibilità del giudicato, che diviene recessivo lì dove emerga l’illegalità della pena inflitta.
Il rilievo suindicato, quindi, si impone se e in quanto si tratti di evitare le conseguenze determinate dall’irrogazione di una sanzione diversa per specie e/o quantità rispetto ai limiti edittali, in pregiudizio del valore costituzionale della legalità della pena, espresso dall’art. 1 cod. pen. e, soprattutto, dagli artt. 25 e 27 Cost., che resterebbero lesi se non si potesse porre rimedio, anche di ufficio, all’errore del giudice che abbia determinato l’irrogazione di una pena illegale.
3.4. Riepilogando i punti fondamentali dell’indicata prospettiva, Ł da ribadirsi che si definisce pena illegale quella che non Ł prevista, nel genere, nella specie o nella quantità, dall’ordinamento, giacchØ essa costituisce una pena che Ł l’esito di un oggettivo abuso del potere discrezionale attribuito al giudice, con la sua conseguente esondazione nel campo del potere riservato in via esclusiva al legislatore.
L’emersione dell’illegalità della pena, anche quando essa sia stata irrogata come tale ab origine , comporta l’effetto che l’esigenza della sua reductio alla legalità debba prevalere sul giudicato sostanziale, il suo rilievo legittimando, nei casi volta a volta individuati dall’elaborazione pratica, altrettante eccezioni alla regola dell’intangibilità del giudicato stesso.
Quando – ma soltanto quando – emerga, pur dopo la conclusione del giudizio di cognizione, l’avvenuta irrogazione della pena illegale, compete al giudice dell’esecuzione esercitare le sue funzioni, in senso finalizzato all’attuazione del principio costituzionale dell’adeguatezza della pena, nella prospettiva della sua umanizzazione e della rieducazione del condannato, ex art. 27, terzo comma, Cost., al fine della riconduzione a legalità della pena stessa in virtø dei penetranti strumenti di intervento di cui lo stesso giudice dell’esecuzione dispone, pervenendo, ove del caso, alla sostanziale modificazione della struttura e delle modalità della sanzione (in tale ottica si recepiscono le puntualizzazioni espresse, nell’ambito di piø ampia analisi, da Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283689 – 01).
Ampia Ł la casistica degli interventi riservati al giudice dell’esecuzione quando la pena, non interamente eseguita, risulti o, per sopravvenienze giuridiche, sia divenuta illegale, con conseguente necessità della sua rimodulazione o della sua elisione in executivis : così, fra gli altri casi, quando sia intervenuta la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, ma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio; quando sussistono gli estremi per la revoca della condanna avente ad oggetto
l’accertamento di un reato che, successivamente alla formazione del giudicato, sia stato abolito; quando la Corte EDU abbia accertato che nel processo sono state violate le regole del giusto processo e sussistano i presupposti affinchØ il giudice dell’esecuzione rimuova una situazione di illegalità convenzionale della pena; quando si evidenzia la necessità di rimuovere gli effetti dell’applicazione di una pena accessoria illegale, sempre che essa non derivi da un errore di valutazione del giudice della cognizione.
Comune a queste e ad altre ipotesi che ammettono l’intervento del giudice dell’esecuzione sulla pena stabilita dal giudice della cognizione Ł, però, l’emersione di una causa, originaria o sopravvenuta, di illegalità della pena stessa: con l’importante specificazione che l’illegalità, quando non possegga i connotati suindicati, non può identificarsi, come l’evoluzione ermeneutica Ł pervenuta a stabilire, nemmeno con il mero errore, piø o meno marcato, nella sua quantificazione (ciò Ł stato chiarito particolarmente nella già citata pronuncia di Sez. U, Savini, n. 47182 del 31/03/2022, cit., in motivazione, dove si Ł escluso che l’illegalità della pena possa essere determinata dallo stesso carattere macroscopico dell’errore, non potendo aggiungersi per tale verso un’ulteriore ipotesi a quelle della diversità per specie o quantità rispetto ai termini edittali).
Conseguente sviluppo dei principi richiamati Ł che, siccome, nella sua essenza, l’ambito della pena illegale Ł da riferirsi alla sanzione non prevista dall’ordinamento giuridico, oppure a quella eccedente, per specie o quantità, quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice concreta, non può ritenersi tale il risultato sanzionatorio determinato da quelle sentenze di condanna che abbiano irrogato pene che ex post – e per ragioni diverse da quelle suindicate – siano da considerarsi illegittime, ma che non siano state oggetto di impugnazione, ovvero siano state impugnate per ragioni diverse, senza che nemmeno siano state effettuate rilevazioni ufficiose afferenti a punti confluenti nel definito concetto di illegalità della pena.
L’intervento in sede esecutiva sul già definito trattamento sanzionatorio non può, pertanto, riguardare genericamente la pena, per come essa Ł stata calcolata, in relazione ai singoli passaggi, ma può effettuarsi soltanto quando in ordine alla stessa si sia verificato l’esito di illegalità della sanzione.
Nel senso così chiarito – che configura il concetto di illegalità della pena, ma ne segna anche il perimetro applicativo – può recepirsi l’assunto, già enunciato, secondo cui l’illegalità della pena non opera soltanto in sede di cognizione e riguarda sia le pene detentive, sia le pene pecuniarie, inibendo una pena che non trova fondamento in una norma di legge, pur se irrogata con una sentenza non piø soggetta a impugnazione ordinaria, perchØ si tratta di sanzione, avulsa dalla legale pretesa punitiva dello Stato, che non può essere attuata.
Da tale inquadramento discende, però, la conseguenza che non si profila possibile riconsiderare in sede esecutiva l’articolazione dosimetrica mediante la quale il giudice della cognizione, restando nell’ambito delle variabili ricomprese nella cornice edittale, abbia comunque determinato la pena applicando le norme sostanziali e formulando, in modo esplicito o implicito, le corrispondenti valutazioni, la relativa operazione costituendo parte della decisione che, ove erronea, deve essere sottoposta al vaglio del giudice dell’impugnazione con il corrispondente mezzo previsto dall’ordinamento.
A questa linea interpretativa si Ł attenuto il giudice dell’esecuzione.
5.1. Deve prendersi atto che XXXXXXX – con riguardo alla sentenza oggetto dell’istanza, quella emessa dalla Corte di appello di Napoli il 29 aprile 2014, dopo che i giudici di appello avevano inflitto all’imputato una pena finale (anni nove di reclusione ed euro 54.000,00) inferiore rispetto a quella (anni dieci di reclusione ed euro 60.000,00 di
multa) irrogata all’imputato con la decisione di primo grado, ma l’avevano fatto compiendo un calcolo commisurativo che aveva preso in considerazione la pena base, per il reato piø grave del complesso dei reati posto in continuazione, di addotta entità minore, ma in realtà di entità maggiore (anni dodici, mesi sei di reclusione ed euro 80.000,00 di multa) rispetto a quella (anni dieci di reclusione ed euro 60.000,00 di multa) da cui era partito il primo giudice – aveva impugnato la sentenza di secondo grado proponendo il corrispondente ricorso per cassazione.
L’impugnazione dell’imputato, tuttavia, era stata caratterizzata da censure inerenti esclusivamente al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ed era stata dichiarata inammissibile con la resa da Sez. 3, n. 38535 del 12/05/2015.
Pertanto, Ł assodato che, con la proposta impugnazione, l’imputato non aveva sollevato alcuna questione in merito alla violazione del divieto di reformatio in peius , nØ su tale versante si era registrato alcun rilievo giudiziale di natura ufficiosa.
Deve aggiungersi, per opportuna completezza, che, nel contesto del medesimo processo, la questione della violazione del divieto di reformatio in peius appariva, in via prospettica, non priva di giuridico fondamento (si ricorda il prevalente orientamento secondo cui viola il divieto di reformatio in peius il giudice di appello che, pur provvedendo alla rideterminazione della pena in termini complessivamente inferiori a quelli stabiliti dalla sentenza impugnata dal solo imputato, riconnette alla pena base un’entità sanzionatoria misura superiore rispetto a quanto disposto dal giudice di primo grado, giacchØ il suddetto divieto impugnata non riguarda unicamente l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione: Sez. 2, n. 22032 del 16/03/2023, COGNOME, Rv. 284738 – 01; Sez. 4, n. 18086 del 24/03/2015, COGNOME, Rv. 263449 – 01).
Sta di fatto, però, che il giudizio di legittimità seguito all’emissione della sentenza di appello e al ricorso per cassazione non ha contemplato nØ la deduzione, nØ la rilevazione ufficiosa della questione e, al suo esito, la decisione emessa in secondo grado ha conseguito l’irrevocabilità cristallizzando, con essa, la cosa giudicata.
5.2. Poste tali coordinate, la questione dedotta dal ricorrente – pur preso atto della prospettazione dell’avvenuta violazione del divieto di reformatio in peius (prospettazione in punto di principio condivisa dal giudice dell’esecuzione) e, nello stesso tempo, considerate anche le connotazioni del caso specifico – non si profila poter formare oggetto del procedimento esecutivo incardinato dopo la formazione del giudicato, afferente sia alla responsabilità di XXXXXXX che alla pena a lui inflitta per il reato continuato di cui si tratta.
La difesa propone di inquadrare la violazione del divieto di reformatio in peius alla stregua di un’infrazione della disciplina penale sostanziale e di attrarre la stessa nella sfera delle cause che determinano, non l’illegittimità, ma l’illegalità della pena, siccome essa secondo la proposta ermeneutica che sorregge la tesi in esame – rifluisce sui limiti di pena previsti dall’ordinamento come irrogabili.
Il Collegio non concorda con tale inquadramento esegetico e ritiene che la posizione assunta dal ricorrente non possa trovare, con riferimento al caso in esame, utile sostegno nell’orientamento (espresso da Sez. 1, n. 5517 del 30/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285801 – 03) a mente del quale la violazione del divieto di reformatio in peius da parte del giudice del rinvio, che, a seguito di annullamento della sentenza di condanna su ricorso proposto dal solo imputato, non si attiene al giudicato implicitamente formatosi sul capo della decisione non interessato dalla pronuncia di annullamento, può essere rilevata di ufficio dalla Corte di cassazione, in applicazione del principio enunciato all’art. 649, comma 2, cod. proc.
pen. (principio che rinviene, quanto alla rilevabilità ufficiosa del giudicato interno nella pronuncia di Sez. 5, n. 1356 del 04/12/1967, dep. 1968, COGNOME, Rv. 107279 – 01).
Non si sottovalutano le rilevanti implicazioni dei principi affermati dalla decisione ora citata, con specifico riferimento alla portata del giudicato interno, alla sua rilevabilità di ufficio e all’influenza del divieto di reformatio in peius sulla configurazione, in senso sostanziale, della sanzione in concreto irrogabile, anche in relazione alle indicazioni rivenienti su quest’ultimo aspetto dall’elaborazione della giurisprudenza convenzionale.
5.3. Devono però evidenziarsi le differenze fra il caso che qui si esamina e il caso a cui ha acceduto la decisione di legittimità a cui si Ł richiamato il ricorrente.
5.3.1. In primo luogo, la dedotta infrazione al divieto di riforma peggiorativa Ł avvenuta, nel procedimento che qui rileva, in grado di appello, non in sede di rinvio.
Naturalmente, si considera il dato normativo per cui, ai sensi dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., il divieto di cui si tratta afferisce primariamente alla disciplina dell’appello.
Piuttosto si evidenzia che la cosa giudicata si forma sui capi della sentenza, nel senso che la decisione acquista il carattere dell’irrevocabilità soltanto quando sono divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell’imputato rispetto a uno dei reati attribuitigli, e non sui punti di essa, che possono essere unicamente oggetto della preclusione correlata all’effetto devolutivo dell’impugnazione e al principio della disponibilità del processo nella fase delle impugnazioni.
In questa prospettiva, si specifica che, in caso di condanna, la mancata impugnazione della ritenuta responsabilità dell’imputato fa sorgere la preclusione su tale punto, ma non basta a far acquistare alla relativa statuizione l’autorità di cosa giudicata, quando per quello stesso capo l’impugnante abbia devoluto al giudice del grado ulteriore l’indagine riguardante la sussistenza di circostanze e la quantificazione della pena, con l’effetto che la res iudicata si forma solo quando tali punti siano stati definiti e le relative decisioni non siano censurate con ulteriori mezzi di gravame (Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, COGNOME, Rv. 216239 – 01).
Nel caso di giudizio di rinvio determinato da annullamento della sentenza di condanna su ricorso dell’imputato relativo alla sussistenza del reato ed alla sua responsabilità, la cognizione del giudice di rinvio Ł limitata dal giudicato, tale correttamente definito, formatosi sulla misura della pena, non interessato dall’annullamento, cosicchØ, in caso di conferma della condanna, per il combinato disposto degli artt. 597, comma 3, 609 e 627, comma 2, cod. proc. pen, la pena irrogata non può essere piø grave, per specie e quantità, di quella inflitta dal giudice di primo grado o, se inferiore, di quella rideterminata in grado di appello con la sentenza annullata.
Ciò, per evidenziare che, mentre per il giudizio di rinvio la questione del limite della pena afferisce al tema del giudicato in senso proprio, essa per il giudizio di appello incide sulla preclusione processuale che vincola il giudice del grado ulteriore a giudicare sul punto non impugnato da alcuna delle parti.
5.3.2. In connessione con tale rilievo, si evidenzia che, in senso piø generale, il caso affrontato dalla decisione invocata a sostegno della sua tesi dal ricorrente ha registrato la rilevazione ufficiosa, ex art. 609, comma 2, cod. proc. pen., del giudicato interno al procedimento riferito alla pena irrogata, dunque la rilevazione effettuata nel corso del procedimento stesso.
Invece, nella presente vicenda, si Ł di fronte a una pena inflitta in procedimento definito con sentenza di primo grado, riformata nella misura complessiva in melius dalla sentenza di secondo grado, pur con l’infrazione all’art. 597 cod. proc. pen. determinata dall’individuazione di una piø grave pena base, in ogni caso non oggetto nØ di
impugnazione, nØ di rilevazione ufficiosa della questione nel grado successivo.
5.3.3. Infine, come Ł risultato chiaro dalle notazioni che precedono, la pena irrogata a
XXXXXXX con la sentenza che ha conseguito l’irrevocabilità Ł risultata di entità minore rispetto a quella inflitta dal giudice di primo grado e, vieppiø rispetto a quella, pacificamente ricompresa, per genere, specie e quantità, nei limiti edittali del reato continuato configurato nelle decisioni di cognizione.
Anche sotto questo profilo, a ben vedere, si rimarca la differenza fra il caso qui in esame e quello oggetto della decisione di legittimità richiamata dalla difesa: in quel caso, infatti, il rilievo ufficioso del giudicato interno compiuto dalla Corte di cassazione ha avuto come effetto l’eliminazione della pena dell’ergastolo e l’irrogazione in sua vece della diversa – pena della reclusione (con gli effetti che in punto di legalità della pena la distinzione comporta).
5.4. Tutto ciò considerato, il Collegio deve pertanto ritenere che – essendo stata irrogata a XXXXXXX all’esito dell’ordinaria dialettica propria del giudizio di cognizione una pena per genere, specie e quantità ricompresa in modo indiscusso nei limiti edittali afferenti ai reati a lui ascritti e al reato continuato in quella sede applicato – la prospettata violazione del divieto di reformatio in peius in uno dei passaggi computativi della pena finale, costituito dalla fissazione della pena base relativa al reato piø grave da parte dei giudici di appello, ha certamente integrato il risultato anche della suindicata violazione di una norma processuale, a cui possono riconnettersi connotati di natura sostanziale (al pari degli altri determinatori dello sviluppo dosimetrico), per tale aspetto avendo introdotto un fattore illegittimo nel procedimento quantificativo della pena.
Tuttavia, questo elemento, non avendo determinato l’esondazione della sanzione finale dalla cornice edittale, non ha, in ogni caso, travalicato i limiti dell’illegittimità della sanzione per esorbitare nell’alveo della pena illegale: alveo su cui unicamente avrebbe potuto incidere il giudice dell’esecuzione.
Pertanto, il Tribunale per i minorenni, nell’ordinanza in verifica, ha correttamente contrapposto il richiamo, in coerenza con i limiti della sua competenza funzionale, delle regole che disciplinano la cosa giudicata e ha ritenuto la giuridica impossibilità di superare il giudicato mediante il riesame del suddetto punto in sede esecutiva.
Conclusivamente, la contestazione articolata dal ricorrente, che propone di ampliare il concetto di illegalità della pena idoneo a legittimare l’intervento in executivis alle ipotesi in cui, come quella in esame, si ritenga inflitta la sanzione penale in violazione dei parametri normativamente stabiliti, non Ł persuasiva, in quanto essa determina l’indebita erosione del giudicato scaturente dall’irrevocabilità della sentenza, ai sensi dell’art. 648 cod. proc. pen., per aspetti rientranti nell’ambito della valutazione dosimetrica propria del giudizio di cognizione, valutazione che, rispetto ad essi, si Ł ivi dispiegata, in modo esplicito o implicito, se si vuole erroneo per l’aspetto evidenziato, ma pervenendo pur sempre a un esito sanzionatorio ammesso, per genere, specie e quantità, dalla legge, quindi senza eccedere il limite legale della pena complessiva.
La complessiva doglianza mossa, nei due motivi unitariamente esposti, da XXXXXXX non infirma, dunque, la correttezza del discorso giustificativo che ha sorretto l’ordinanza impugnata, nØ vulnera in alcun modo l’ excursus logico con cui si Ł dipanata la relativa motivazione.
Deriva da queste considerazioni il rigetto dell’impugnazione, a cui non consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, inerendo anche alla usa posizione di soggetto minore di età il complesso della fattispecie esecutiva a cui ha
acceduto il provvedimento.
Secondo quanto stabilisce l’art. 52 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, deve disporsi (in conseguente considerazione del suddetto connotato della fattispecie esecutiva) che, in caso di diffusione del presente provvedimento, dovranno omettersi le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. IN CASO DI DIFFUSIONE DEL PRESENTE PROVVEDIMENTO OMETTERE LE GENERALITA’ E GLI ALTRI DATI IDENTIFICATIVI A NORMA DELL’ART. 52 D.LGS. 196/03 E SS.MM.
Così Ł deciso, 12/06/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME