Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 37507 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 37507 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Reggio Calabria il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 13/12/2023 della Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO per l’annullamento senza rinvio l’ordinanza impugnata e la rideterminazione della pena finale.
RITENUTO IN FATTO
NOME ha presentato istanza con la quale ha chiesto di rideterminare la pena inflitta con la sentenza n. 4/2001.
Nello specifico l’interessato ha rilevato che la pena finale sarebbe stata erroneamente calcolata in quanto è stata determinata applicando la riduzione per il rito abbreviato alla pena individuata per ciascun singolo delitto e poi, sol successivamente, le regole di cui agli artt. 72 e seguenti cod. pen. al cumulo materiale così ottenuto.
In una corretta prospettiva, invece, il giudice avrebbe dovuto, prima quantificare la pena complessiva, sommando la pena per ogni delitto senza
riduzione per il rito e, poi, applicare i criteri di cui agli artt. 72 e seguenti pen., nello specifico, quello di cui all’art. 78 cod. pen. e, quindi, solo alla f procedere alla riduzione di un terzo per il rito abbreviato sul cumulo materiale complessivamente determinato.
La Corte di assise di appello di Reggio Calabria, acquisite le sentenze di merito e quella di legittimità, con ordinanza del 13/12/2023, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza evidenziando che la questione, pure effettivamente fondata in astratto per il giudizio di cognizione per come indicato nella sentenza delle Sezioni Unite COGNOME, non sarebbe proponibile ora che la sentenza è divenuta esecutiva e ciò anche perché nel procedimento di esecuzione opera il diverso criterio per cui il giudice applica quanto previsto dagli art. 72 seguenti cod. pen. sulla pena complessiva che risulta dalla somma delle singole pene già ridotte di un terzo ex art. 438 e seguenti cod. proc. pen.
Sotto altro profilo, poi, il giudice dell’esecuzione ha rilevato che la richiest sarebbe comunque preclusa in questa sede in quanto l’errore si è verificato nel corso del giudizio di cognizione e le parti non hanno sollevato alcuna questione sul punto e questa non è stata affrontata d’ufficio dal giudice.
Avverso il provvedimento ha proposto ricorso il condannato, che a mezzo del difensore, ha dedotto la violazione di legge in relazione agli art. 442, cod. proc. pen. e 7 D.L n. 341 del 2000, con riferimento all’art. 78 cod. pen. in ordine a due distinti profili.
6.1. Illegittimità del meccanismo di formazione del cumulo. Nella prima parte del motivo la difesa rileva che la pena sarebbe stata calcolata in modo errato in quanto la costante e pacifica giurisprudenza di legittimità evidenzia come la riduzione di pena prevista per il rito abbreviato deve essere applicata solo alla fine, facendo cioè riferimento alla pena complessiva e non ai singoli delitti oggetto del medesimo processo. Per altro verso, poi, il ricorrente evidenzia che l’argomento fondato sulla distinzione tra le modalità di calcolo del cumulo previste per il giudizio di cognizione e quello di esecuzione indicato nell’ordina impugnata sarebbe inconferente. Nel caso di specie, infatti, l’errore si è determinato nel giudizio d cognizione e a questo si riferisce la questione e, quindi, i criteri da applicare sono quelli delle Sezioni Unite COGNOME e non quelli posti per la fase di esecuzione.
6.2. In ordine alla possibilità che la questione circa l’errore in cui è incorso il giudice della cognizione possa essere oggetto di incidente di esecuzione. Nella seconda parte del motivo di ricorso la difesa evidenzia che l’errore in cui è incorso il giudice della cognizione ha determinato e determina l’illegalità della pena in
esecuzione per cui il giudice di tale fase, correttamente applicati i principi anche enucleati dalle Sezioni Unite COGNOME e COGNOME, sarebbe competente a pronunciarsi sul punto e, conseguentemente, a rideterminare la pena.
In data 30 aprile 2024 è pervenuta in cancelleria la requisitoria scritta con la quale il AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO chiede che il ricorso sia accolto e che la Corte, annullata senza rinvio l’ordinanza impugnata, ridetermini la pena finale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
In un unico articolato motivo di ricorso la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione quanto alle considerazioni esposte nel provvedimento impugnato circa il criterio di calcolo della pena da applicare e in ordine al potere di intervento del giudice dell’esecuzione allorché il giudice della cognizione abbia inflitto una pena illegale.
Le doglianze sono infondate.
2.1. Il criterio di calcolo del cumulo materiale, nel caso in cui si debba tenere conto della riduzione del rito abbreviato, è diverso a seconda se questo deve essere effettuato nel corso del giudizio di cognizione o in sede di esecuzione.
Sul punto si è espressa in diverse occasioni la giurisprudenza di questa Corte e la distinzione, poi successivamente sempre confermata, è stata chiaramente delineata nella sentenza delle Sezioni Unite COGNOME che, chiamate a dirimere un possibile contrasto in ordine al criterio da applicare al giudizio d cognizione, ha risolto una volta per tutte la questione.
In sintesi, rinviando sul punto alla sentenza citata e a quelle cui pure ha fatto riferimento il giudice dell’esecuzione:
nel giudizio di cognizione «la riduzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato si applica dopo che la pena è stata determinata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene stabilite dagli artt. 71 ss. cod. pen., fra l quali vi è anche la disposizione limitativa del cumulo materiale, in forza della quale la pena della reclusione non può essere superiore ad anni trenta» (Sez. U, n. 45583 del 25/10/2007, COGNOME, Rv. 237692 – 01; Sez. 2, n. 37104 del 13/06/2023, COGNOME, Rv. 285414 – 02; Sez. 4, n. 827 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271751 – 01; Sez. 1, n. 40280 del 21/05/2013, COGNOME, Rv. 257325 – 01);
«in sede di esecuzione, ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione tra
più reati che hanno formato oggetto di giudizio abbreviato, la riduzione di pena conseguente alla scelta del rito opera necessariamente prima del criterio moderatore del cumulo materiale previsto dall’art. 78 cod. pen., in forza del quale la pena della reclusione non può essere superiore ad anni trenta» (Sez. U, n. 45583 del 25/10/2007, COGNOME, Rv. 237692 – 01; Sez. 1, n. 9522 del 14/05/2019, dep. 2020, Mabouka, Rv. 278494 – 01; Sez. 5, n. 43044 del 04/05/2015, COGNOME, Rv. 265867 – 01; Sez. 1, n. 733 del 02/12/2010, dep. 14/01/2011, Pullia, Rv. 249440 – 01; Sez. 1, n. 42316 del 11/11/2010, Cutaia, Rv. 249027 – 01).
La discrasia che esiste tra le regole da applicare nelle due fasi, come già evidenziato nella medesima sentenza delle Sezioni Unite, non determina alcuna disparità di trattamento.
Per l’esecuzione delle «pene concorrenti» si applica l’art. 663, comma 1 cod. proc. pen., che prevede che «quando la stessa persona è stata condannata con più sentenze o decreti penali per reati diversi, il pubblico ministero determina la pena da eseguirsi, in osservanza delle norme sul concorso di pene».
A fronte del diretto rinvio a quanto disposto dall’art. 80 cod. pen., quindi, in assenza di una specifica previsione derogatoria nelle disposizioni del decimo libro del codice di rito, la diminuente del rito speciale non può essere applicata nel procedimento di esecuzione di pene concorrenti inflitte al medesimo imputato in distinti e autonomi procedimenti e ciò -considerato il carattere eccezionale della potestà del giudice dell’esecuzione, tassativamente circoscritta ai soli casi previsti dalla legge in punto di rideternninazione della pena- risulta coerente con il sistema (Sez. U, n. 45583 del 25/10/2007, COGNOME, Rv. 237692 – 01)
La ratio legis dell’art. 442, comma 2 cod. proc. pen., d’altra parte, è diversa. Lo scopo della norma, infatti, è quello di garantire all’imputato, in ogni singolo processo, un vantaggio conseguente alla scelta strategica del rito alternativo in ordine a tutte le imputazioni contestate in quello (e solo in quello specifico processo e questo vantaggio viene assicurato in ciascuno dei processi celebrati con tale rito e conclusisi con la condanna, all’esito di ognuno dei quali si determina «la pena» applicando la relativa diminuente, che opera, pertanto, in modo identico nei confronti di tutti coloro che si trovano nel medesimo contesto processuale, ma non può, viceversa, per alcun profilo, essere duplicata in sede esecutiva, laddove si debba procedere al cumulo materiale o giuridico delle pene inflitte per più reati in distinti procedimenti, nei quali l’imputato ha di volta in ritenuto di attivare, o non, la scelta deflativa del rito speciale (sempre Sez. U, n 45583 del 25/10/2007, COGNOME, Rv. 237692 – 01; Sez. 1, n. 11108 del 24/02/2006, Guidotto, Rv. 233541 – 01).
In questi termini, quindi, la disparità di moduli applicativi nelle sequenze procedurali di determinazione della pena trova solida e razionale base
giustificativa, oltre che nell’oggettiva diversità – non di mero fatto bensì giuridi – delle situazioni processuali (processo unitario e cumulativo o pluralità di processi in tempi diversi, per più reati, contro la stessa persona; giudizio di cognizione o di esecuzione), anche e soprattutto nell’efficacia preclusiva derivante dal principio d’intangibilità del giudicato (ancora Sez. U, n. 45583 del 25/10/2007, COGNOME, Rv. 237692 – 01), tanto che si è affermato che «è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 442, comma secondo, cod. proc. pen., in relazione all’art. 3 Cost., nella parte in cui non consente l’applicazion della diminuente ivi prevista in sede di esecuzione, trattandosi di disparità di trattamento che trova ragion d’essere, oltre che nella diversità di posizione processuale, anche e soprattutto nel principio della intangibilità del giudicato» (Sez. 1, n. 9522 del 14/05/2019, dep. 2020, Mabouka, Rv. 278494 – 01; Sez. 1, n. 4937 del 11/10/1995, COGNOME, Rv. 203035 – 01).
2.2. La difesa critica l’affermazione del giudice dell’esecuzione nella parte in cui ha evidenziato che la richiesta della difesa di applicare il criterio contenut nel principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite COGNOME non poteva essere accolta in quanto la pronuncia citata “riguardava un ordinario giudizio di cognizione” e non la fase dell’esecuzione.
Il ricorrente rileva che nel caso di specie è incontroverso che la richiesta proposta al giudice si riferisce all’errore commesso dal giudice della cognizione che, diversamente da quanto previsto dalla più volte citate Sezioni Unite COGNOME, ha applicato la riduzione del rito abbreviato alle pene inflitte per ogni singolo reato il criterio di cui all’art. 78 cod. pen. alla sola pena finale.
Sul punto, pertanto, ribadisce la difesa, il giudice sarebbe incorso in un errore di diritto in quanto, diversamente da quanto indicato nel provvedimento, l’istanza proposta denunciava proprio l’errore commesso nel giudizio di cognizione e il fatto che in conseguenza di questo era stata inflitta una pena illegale per cui i giudice dell’esecuzione, in virtù di quanto previsto dalle Sezioni Unite COGNOME e successivamente dalle Sezioni Unite COGNOME, avrebbe avuto il potere, anzi il dovere, di superare la preclusione del giudicato e rideterminare la pena applicando il criterio previsto dalle Sezioni unite COGNOME.
2.3. Il giudice dell’esecuzione non è incorso in alcun errore di diritto e la soluzione adottata è corretta.
2.3.1. L’esecuzione è regolata dal libro decimo del codice di procedura penale.
Gli articoli da 655 a 664 cod. proc. pen. stabiliscono la disciplina che il pubblico ministero deve applicare per l’esecuzione delle pene.
La cognizione del giudice di esecuzione e i poteri di intervento a q attribuiti sono delineati dagli articoli 665 e seguenti cod. proc. pen.
Le disposizioni da questi previste sono tassative e devono essere lette e interpretate facendo riferimento al principio di intangibilità del giudicato.
Nello specifico si deve ribadire che il potere del giudice dell’esecuzione di rideterminare la pena ha carattere eccezionale ed è pertanto tassativamente circoscritto ai soli casi previsti dalla legge, che stabiliscono anche i limiti entro i quali questo può essere esercitato.
In sede di esecuzione, come già riconosciuto da risalente giurisprudenza di legittimità, d’altro canto, «è rilevabile l’applicazione di una pena illegittima n prevista dall’ordinamento giuridico o eccedente per specie o quantità il limite legale, dato che il principio di legalità della pena, enunciato dall’art. 1 cod. pen. e implicitamente dall’art. 25, secondo comma, cost. informa di sé tutto il sistema penale e non può ritenersi operante solo in sede di cognizione. Tale principio, che vale sia per le pene detentive sia per le pene pecuniarie, vieta che una pena che non trovi fondamento in una norma di legge anche se inflitta con sentenza non più soggetta ad impugnazione ordinaria, possa avere esecuzione, essendo avulsa da una pretesa punitiva dello stato» (così Sez. 5, n. 809 del 29/04/1985, COGNOME, Rv. 169333 – 01, richiamata in Sez. 1, n. 14677 del 20/01/2014, COGNOME, Rv. 259733 – 01 e già in precedenza Sez. 1, n. 1436 del 25/06/1982, COGNOME, Rv. 156173 – 01).
Come confermato e specificato successivamente da numerose pronunce e dalle Sezioni unite, infatti, il rilievo dell’illegalità della pena, anche ab origine, prevale sul giudicato sostanziale e costituisce un’eccezione alla regola dell’intangibilità del giudicato (da ultimo Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283689 – 01).
In una corretta prospettiva costituzionale e convenzionale al giudice dell’esecuzione è riconosciuto il ruolo di garante della pena in fase esecutiva, tanto che «la conformità della pena a legalità in fase esecutiva deve ritenersi costantemente sub iudice non potendosi tollerare che uno Stato democratico di diritto assista inerte all’esecuzione di pene non conformi alla CEDU e, quindi, alla Carta fondamentale. Nel bilanciamento tra il valore costituzionale della intangibilità del giudicato e il diritto fondamentale e inviolabile alla lib personale va data prevalenza a quest’ultimo, giacché il divieto di dare esecuzione ad una pena prevista da una norma dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale è esso stesso un principio di rango sovraordinato – sotto il profilo della gerarchia delle fonti – rispetto agli interessi sottesi all’intangibilità del giudicato» (Sez n. 42858 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260697 – 01 ribadita da Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283689 – 01; lettura questa condivisa anche da Corte cost. n. 68 del 2021).
Ciò in quanto pure ribadito che il sindacato del giudice dell’esecuzion non
investe questioni che riguardino la fase di cognizione (compresi i vizi procedurali denunciabili unicamente con i mezzi d’impugnazione, ordinari e straordinari) – «si deve prendere atto che, ferma la distinzione dei presupposti di operatività dei rimedi, il procedimento esecutivo conosce, come ricordato da Sez. U COGNOME, «un’articolata serie di funzioni finalizzate all’attuazione del principio costituziona dell’adeguatezza della pena nella prospettiva della sua umanizzazione e della rieducazione del condannato», secondo la nitida affermazione dell’art. 27, terzo comma, Cost., che si accompagna all’attribuzione al giudice di «penetranti strumenti d’intervento, che consentono sostanziali modificazioni del debito punitivo nella sua struttura e nelle concrete modalità del relativo adempimento» (testualmente Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283689 – 01; Sez. U, n. 26259 del 29/10/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266872 – 01; Sez. U, n. 47766 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 265109 – 01; Sez. U, n. 46653 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 265111 – 01; Sez. U., n. 37107 del 26/02/2015, COGNOME, Rv. 26485709; Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, COGNOME, Rv. 264207 – 01; Sez. U., n. 6240 del 27/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262327-01; Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260697 – 01; Sez. U, n. 18821 del 24/10/2013. dep. 2014, COGNOME, Rv. 258649 – 01; Sez. 5, n. 15493 del 23/02/2021, COGNOME, Rv. 281249 – 01; Sez. 3, n. 13651 del 20/02/2002, COGNOME, Rv. 221368 – 01).
2.3.2. La necessità di individuare il punto di equilibrio tra il principio inesigibilità del giudicato e l’esigenza di conformità della pena ai valor costituzionali e convenzionali impone di delineare il perimetro e i limiti d intervento del giudice dell’esecuzione nel caso in cui la pena sia stata erroneamente calcolata e inflitta.
Non tutti gli errori di calcolo, computo o quantificazione, infatti, hanno come conseguenza l’illegalità della pena in quanto tale nozione non include tutti i profil incidenti sul regime applicativo della sanzione (Sez. U, n. 47182 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283818 – 01)
Come da ultimo evidenziato, la nozione di pena illegale è calibrata sulla sua funzione di rappresentare l’altro polo del giudizio di bilanciamento da operare in relazione alle garanzie sottese al giudicato, ossia quale limite estremo di tutela della libertà personale esposta al rischio di un arbitrio che travalichi i limiti potere sanzionatorio riconosciuto al giudice (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886 – 01; Sez. U, n. 47182 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283818 – 01).
La pena, quindi, quando il risultato è la conseguenza di una errata applicazione dei criteri di determinazione del trattamento sanzionatorio, non è illegale e l’ordinamento reagisce approntando i rimedi processuali delle impugnazioni, (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv.
283886 – 01; Sez. U, n. 47182 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283818 – 01; Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283689 – 01).
In questi casi la pena -quando essa, cioè, sia frutto di un vizio nell’iter d determinazione della sua entità, alla quale sarebbe stato possibile giungere attraverso diversa modulazione dei vari passaggi intermedi, a partire dall’individuazione della pena base e fino agli aumenti o alle riduzioni per le singole circostanze concorrenti- è illegittima e ogni questione relativa alla commisurazione e determinazione della stessa è preclusa dall’inammissibilità dell’impugnazione e, per quanto rileva in questa sede, dalla formazione del giudicato (Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283689 – 01: «In sostanza, da un lato, va ribadito che il sindacato del giudice dell’esecuzione non investe questioni che riguardino la fase di cognizione, compresi i vizi procedurali denunciabili unicamente con i mezzi d’impugnazione: quelli ordinari, esperibili sino alla conclusione del processo di cognizione; quelli straordinari attivabili dopo l’irrevocabilità del provvedimento conclusivo del giudizio nei casi previsti dalla legge con l’effetto, se fondati e accolti, di determinare la riapertura del processo nella fase cognitiva (Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280931 – 01, punto 3.2. della motivazione)»).
A stretto rigore, quindi, si deve ribadire che la pena è illegale solo se risulta estranea al sistema penale per specie, genere o quantità, cioè quando non è prevista dall’ordinamento giuridico ovvero è superiore ai limiti previsti dalla legge o è più grave per genere e specie da quella individuata dal legislatore (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886 – 01: «”pena legale” è quella: – del genere e della specie predeterminati dal legislatore entro limiti ragionevoli; – comminata da una norma (sostanzialmente) penale, vigente al momento della commissione del fatto-reato, o, se sopravvenuta rispetto ad esso, più favorevole di quella anteriormente prevista; – determinata dal giudice, nel rispetto della cornice edittale, all’esito di un procedimento di individualizzazione che tenga conto del concreto disvalore del fatto e delle necessità di rieducazione del reo»; Sez. U, n. 47182 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283818 – 01; Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, COGNOME, Rv. 264207 -01).
L’illegalità della pena può essere sia originaria, quando l’errore è nella sentenza che l’ha inflitta, oppure può sopravvenire, allorché le norme vigenti quando questa è stata applicata vengono meno a seguito di una pronuncia di incostituzionalità (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886 – 01; Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, COGNOME, Rv. 264207 – 01; Sez. U, n. 18821 del 24/10/2013. dep. 2014, COGNOME, Rv. 258649 – 01; Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260697 – 01).
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Ai fini dell’illegalità della pena, invece, non ha alcun rilievo l’entità dell’err sia esso grossolano o macroscopico, commesso dal giudice nell’esercizio del potere di commisurazione della stessa (Sez. U, n. 47182 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283818 – 01).
In questo caso la pena, purché contenuta nei limiti edittali previsti dall’ordinamento, è “soltanto” illegittima e non può essere pertanto rettificata in sede esecutiva.
2.4. Nel caso di specie il giudice di esecuzione si è conformato ai principi in precedenza indicati.
Come evidenziato nel provvedimento impugnato, infatti, l’errore in cui sarebbe incorso il giudice della cognizione non applicando il criterio enucleato dalle Sezioni unite COGNOME si riferisce a uno dei passaggi seguiti per la quantificazione della pena finale per cui questa sarebbe al più illegittima e non illegale.
Ciò in quanto all’applicazione della riduzione di un terzo per il rito abbreviato ai singoli reati e prima del criterio di cui all’art. 78 cod. pen. non fatto seguito una determinazione della pena estranea al sistema, essendo comunque la misura complessiva della reclusione contenuta nel limite di trenta anni previsto dall’ordinamento (cfr. in tal senso anche Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886 – 01 laddove il riferimento alla disciplina prevista dagli artt. 71 e seguenti cod. pen. contenuto nel punto 14.2. deve intendersi alla pena complessiva e non all’eventuale errata applicazione dello stesso criterio ai passaggi intermedi).
2.5. A ben vedere, d’altro canto, non può neanche ritenersi che il giudice della cognizione sia incorso all’epoca in errore nella quantificazione della pena.
La sentenza delle Sezioni Unite COGNOME che contiene il principio di diritto che oggi si chiede di applicare in sede esecutiva, infatti, è stata pronunciata nell’anno 2007. Data che è successiva a quella in cui è stata determinata la pena oggi in esecuzione (la sentenza della Corte di assise di appello è dell’anno 2001) e a quella in cui la condanna è divenuta irrevocabile (la sentenza di questa Corte che ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso è del 2002).
2.6. Il riferimento contenuto nel ricorso alle sentenze delle Sezioni Unite COGNOME, Gallo e da ultimo a Sez. 5, n. 15493 del 23/02/2021, COGNOME, Rv. 281249 – 01 è inconferente.
Nel caso di specie, infatti, non vi è stata alcuna pronuncia della Corte costituzionale circa la legittimità o meno di norme cui il giudice della cognizione ha applicato nella determinazione della pena finale e, pertanto, non è configurabile un’ipotesi di c.d. illegalità sopravvenuta della pena analoga a quella a cui si riferiscono le pronunce citate dal ricorrente.
Né, d’altro canto, il fatto che le Sezioni unite COGNOME abbiano stabilito un
principio diverso da quello precedentemente applicato può aver alcun rilievo.
In esecuzione, giova ribadirlo, «il mutamento dell’orientamento giurisprudenziale, anche a seguito di una pronuncia delle Sezioni Unite, non consente la rideterminazione del trattamento sanzionatorio in senso più favorevole all’imputato, implicando tale operazione una modifica sostanziale del giudicato fuori dei casi previsti» (così Sez. 1, n. 20476 del 24/04/2014, Preziosi, Rv. 259919 – 01; successivamente Sez. 1, n. 11076 del 15/11/2016, dep. 2017, Bibo, Rv. 269759 – 01; Sez. 7, n. 10458 del 25/01/2019, COGNOME, Rv. 276294 – 01).
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 5/6/2024