Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44127 Anno 2024
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44127 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 31/10/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
NOME nato a LAMEZIA TERME il 04/01/1994
avverso l’ordinanza del 17/06/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Catanzaro, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha dichiarato inammissibile l’istanza presentata nell’interesse di NOME COGNOME soggetto condannato alla pena di anni tredici e mesi dieci di reclusione, per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309 e per i relativi reati fine, con sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 28/04/2021, passata in giudicato il 22/09/2022 – volta a ottenere la rideterminazione della pena individuata quale base del calcolo, per esser stata la stessa erroneamente parametrata al ruolo di organizzatore dell’accertata associazione ex art. 74 T.U. stup., laddove l’imputazione a carico del richiedente contemplava il mero ruolo di partecipe.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., in relazione all’art. 533 cod. proc. pen.
Il ricorrente, imputato quale mero partecipe dell’associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti, Ł stato poi condannato in primo grado nella veste di organizzatore del sodalizio stesso; non essendo stato interposto specifico gravame sul punto, la Corte di appello non ha rilevato la
illegalità della pena inflitta, mentre il successivo ricorso in Cassazione Ł stato dichiarato inammissibile. Contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice dell’esecuzione, la natura illegale della pena – derivante da un errore macroscopico, compiuto nell’ambito del procedimento di calcolo – Ł deducibile in sede esecutiva. Si realizza in tal caso, infatti, una pena illegale, che non corrisponde a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice, per specie o quantità.
3. Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Alla presente fattispecie Ł estraneo l’istituto della rilevabilità d’ufficio della pena illegale, sia perchØ, pur in tesi del ricorrente, non si configurerebbe alcuna illegalità, come delineata dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, sia perchØ – sempre in tesi del ricorrente – l’asserita, erronea applicazione del trattamento sanzionatorio non avrebbe potuto essere rilevata, se non mediante il ricorso all’ordinario rimedio processuale dell’impugnazione, al quale il ricorrente non ha ritenuto di dare luogo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł inammissibile.
Come già sintetizzato in parte narrativa, NOME COGNOME Ł stato condannato per violazione dell’art. 74 d.P.R. 309 del 1990; sostiene essersi però proceduto a un erroneo computo della pena, che sarebbe stata calcolata muovendo dalla pena edittale stabilita per il soggetto al quale venga attribuito il ruolo di organizzatore, laddove gli era stata ascritta, invece, la veste di mero partecipe al sodalizio. Tale errore, mai dedotto in sede di giudizio di cognizione, integrerebbe una ipotesi di pena illegale, in ordine alla quale viene ora domandata l’emenda in executivis .
2.1. Circa il richiamato concetto di pena illegale, occorre anzitutto fare riferimento al dictum di Sez. U, n. 47766 del 26/06/2015, COGNOME, rv. 265108, a mente della quale: ‹‹L’illegalità della pena, derivante da palese errore giuridico o materiale da parte del giudice della cognizione, privo di argomentata valutazione, ove non sia rilevabile d’ufficio in sede di legittimità per tardività del ricorso, Ł deducibile davanti al giudice dell’esecuzione, adito ai sensi dell’art. 666 cod. proc. pen.›› (si veda anche Sez. 1, n. 17793 del 01/03/2024, Interbartolo COGNOME, rv. 286394, la quale ha fissato la seguente regola ermeneutica: ‹‹L’illegalità della pena derivante da palese errore giuridico o materiale da parte del giudice della cognizione, privo di argomentata valutazione, Ł deducibile davanti al giudice dell’esecuzione, adito ai sensi dell’art. 666 cod. proc. pen., anche nel caso in cui la sentenza contenente l’erronea statuizione non sia stata impugnata››). In sostanza, laddove sia stata applicata una pena illegale, per errore nella determinazione o nel calcolo di essa e allorquando la determinazione della stessa non sia l’esito di una compiuta valutazione, bensì di un mero errore di natura giuridica o materiale, il giudice dell’esecuzione Ł legittimato a disporne la rettifica o la correzione, in ossequio ai principi contenuti nell’art. 25, comma secondo, Cost. e nell’art. 7 CEDU, in forza dei quali deve essere esclusa la possibilità che venga inflitta una pena di entità eccedente, rispetto a quella applicabile al momento in cui il reato Ł stato commesso.
Per riassumere:
in sede di esecuzione, non possono essere reiterate le valutazioni in tema di trattamento sanzionatorio, che sono proprie della cognizione;
tuttavia, se in tal sede Ł stato compiuto un errore, che non appaia come espressivo di una valutazione, ma che sia il frutto di un chiaro errore giuridico o materiale, questo Ł emendabile in sede esecutiva;
il potere in tal senso riservato al giudice dell’esecuzione non viene meno, in conseguenza della mancata impugnazione – nel corso del giudizio di cognizione – della pronuncia contenente l’errata determinazione della pena.
Muove quindi da un assunto inesatto, la Corte di appello, laddove reputa comunque precluso, sul punto specifico, ogni intervento in sede esecutiva.
2.2. Ciò chiarito, giova anche evidenziare come non sia a discorrersi, nella concreta fattispecie, di alcuna forma di illegalità della pena riportata dal Grande, posto che tale connotazione può ravvisarsi – secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità – solo allorquando venga non solo ignorata la esatta cornice sanzionatoria edittale, bensì risulti irrogata una pena eccedente il massimo previsto dalla corretta fattispecie (Sez. 4, n. 17221 del 02/04/2019, COGNOME, rv. 275714; Sez. 5, n.46122 del 13/06/2014, COGNOME, rv. 262108).
Nel caso di specie, in altri termini, si sarebbe potuto discorrere di pena illegale – almeno astrattamente – solo nel caso in cui fosse stata inflitta al ricorrente una pena superiore, rispetto al tetto massimo previsto, in relazione al soggetto partecipe di associazione ex art. 74 T.U. stup. (norma che, sotto il profilo sanzionatorio, Ł come noto determinata esclusivamente nel minimo, in anni dieci di reclusione, così potendosi teoricamente estendere fino ai ventiquattro anni di pena massima, stabiliti per la reclusione a norma dell’art. 23 cod. pen.).
2.3. A valle di tale problematica, non vi Ł chi non rilevi come il provvedimento impugnato contenga anche un esame, direttamente incentrato sul contenuto e sul merito, della specifica deduzione difensiva. Il Giudice dell’esecuzione, infatti, ha analizzato nel dettaglio la lettera stessa della contestazione mossa al Grande, nel processo culminato con l’emissione della sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 28/04/2021 sopra citata. Tale imputazione indica l’odierno ricorrente – unitamente ad altri coimputati – nella veste di promotori e organizzatori del sodalizio. Non manca l’esame analitico della condotta singolarmente ascritta al Grande, valutata alla stregua di un agire di tipo schiettamente organizzativo.
2.4. Il ricorso Ł viepiø inammissibile, atteso che non si confronta nemmeno con un ulteriore dato fondamentale, rappresentato dal fatto che – nel corso del giudizio di cognizione, inerente appunto alla posizione di Grande – la Suprema Corte ha preso in esame proprio la tematica del ruolo apicale e ha ritenuto il motivo nuovo (il riferimento Ł a Sez. 2, n. 46524 del 22/09/2022, Grande e altri, n.m., pag. 59). Il condannato, però, introduce nuovamente la questione inerente alla pretesa applicazione di una pena per fattispecie diversa, trascurando completamente di dedurre tale censura in termini puntuali, oltre che omettendo ogni riferimento alla portata della concreta condanna, che, appunto, Ł stata pronunciata per essersi ravvisato – a suo carico – un ruolo apicale nell’organizzazione criminale.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre che di una somma – che si stima equo fissare in euro tremila – in favore della Cassa delle ammende (non ravvisandosi elementi per ritenerlo esente da colpe, nella determinazione della causa di inammissibilità, conformemente a quanto indicato da Corte cost., sentenza n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 31/10/2024
Il Consigliere estensore