Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 37513 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 37513 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 09/04/2024 del GIP TRIBUNALE di COMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con decreto penale emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Como in data 12 dicembre 2022, NOME COGNOME veniva condannata alla pena di tre mesi di reclusione, sostituita con quella della multa di C 6.750,00, inflittale per il reato di danneggiamento aggravato dell’autovettura del marito; all’imputata veniva concessa la sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento dell’obbligo di eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato.
In seguito, il Pubblico ministero promuoveva incidente di esecuzione mirante ad ottenere la revoca del beneficio già concesso per accertato inadempimento degli obblighi di cui all’art. 165 cod. pen.
Nell’ambito dell’incidente di esecuzione, il difensore della COGNOME chiedeva il rigetto dell’istanza di revoca avanzata dal P.M. in virtù dell’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 649 cod. pen. (rapporto di coniugio tr imputata e persona offesa all’epoca del fatto).
Con l’ordinanza in epigrafe, il G.i.p. del Tribunale di Como, in funzione di giudice dell’esecuzione, respingeva l’istanza incidentale della difesa, osservando che il rapporto di coniugio doveva essere fatto valere dalla interessata in sede di opposizione al decreto penale, nella specie non proposta nonostante la regolare notifica del decreto stesso: l’istanza era, in definitiva, preclusa dalla intervenut formazione del giudicato.
Ha proposto ricorso per cassazione l’interessata, per il tramite del difensore, eccependo la violazione dell’art. 649 cod. pen. e l’illegittimità dell’a 670 cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 1 cod. pen., 25, comma 2, e 27, comma 3, Cost., in quanto non prevede che il giudice dell’esecuzione, nella valutazione del titolo esecutivo, proceda al preliminare scrutinio dell’illegalità del pena.
Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto manifestamente infondato in diritto.
In primo luogo, va sottolineato che l’eccezione relativa all’art. 670 cod. proc. pen. omette di considerare l’abbondante produzione giurisprudenziale di
legittimità, che ha più volte ribadito a quali condizioni il giudice dell’esecuzio possa rilevare l’illegalità della pena, superando il giudicato.
È stato, al riguardo, affermato che l’illegalità della pena può essere rilevata solo quando la sanzione inflitta non sia prevista dall’ordinamento giuridico ovvero quando, per specie e quantità, risulti eccedente il limite legale, ma non quando risulti errato il calcolo attraverso il quale essa è stata determinata – salvo che s frutto di errore macroscopico – trattandosi in questo caso di errore censurabile solo attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione della sentenza.
In buona sostanza, si è detto, la condanna a pena illegittima, contenuta in una sentenza non ritualmente impugnata, non può essere rettificata in sede esecutiva, salvo che: a) sia configurabile un’ipotesi di assoluta abnormità della sanzione; b) la pena sia frutto di un errore macroscopico non giustificabile e non di una argomentata, pur discutibile, valutazione; c) la sanzione sia oggetto di palese errore di calcolo, in grado di comportarne la sostanziale illegalità.
E ciò in quanto il principio di legalità della pena, enunciato dall’art. 1 cod pen. ed implicitamente dall’art. 25, secondo comma, Cost., informa di sé tutto il sistema penale e non può ritenersi operante solo in sede di cognizione (Sez. U, n. 47766 del 26/06/2015, COGNOME e altro, Rv. 265108 – 01).
Le stesse Sezioni Unite, intervenute, di recente, nuovamente sul tema della illegalità della pena, seppure in riferimento al giudizio di comparazione tra circostanze eterogenee concorrenti, hanno affermato che la pena determinata a seguito dell’erronea applicazione del suddetto giudizio è illegale soltanto nel caso in cui essa ecceda i limiti edittali generali previsti dagli artt. 23 e seguenti, nonc 65 e 71 e seguenti, cod. pen., oppure i limiti edittali previsti per le singo fattispecie di reato, a nulla rilevando il fatto che i passaggi intermedi che portano alla sua determinazione siano computati in violazione di legge (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886 – 01: fattispecie relativa a procedimento di applicazione della pena).
Facendo corretta applicazione di tali principi, il giudice dell’esecuzione ha escluso che, nella specie, si versasse in un caso di “illegalità” della pena, atteso che quella inflitta alla COGNOME con il decreto penale di condanna in premessa menzionato, siccome sostituita con pena pecuniaria, risultava del tutto conforme ai parametri normativi.
Diverso, tuttavia, è il tema agitato, nella sostanza, dalla ricorrente, che è, piuttosto, quello della “illegittimità” della condanna in sé, derivante dalla omessa applicazione, in sede di cognizione, della causa di non punibilità del rapporto di coniugio prevista dall’art. 649 cod. pen.
E allora, se così è, in un procedimento a contraddittorio eventuale e differito come quello che si conclude con decreto penale di condanna, l’unica trada
percorribile dalla interessata, proprio per far valere l’invocata causa di non punibilità – che avrebbe potuto-dovuto documentare con riferimento all’epoca del fatto – non era altro che quella d’interporre opposizione ai sensi dell’art. 461 cod. proc. pen.
Il mancato esperimento del mezzo in questione ha determinato, come esattamente rimarcato dal giudice a quo, la preclusione del giudicato, non potendosi, d’altro canto, neppure invocare la revoca della condanna, in difetto dei presupposti richiesti dall’art. 673 cod. proc. pen. e in una situazione di certo non omologabile a quella affrontata da Sez. U, Mraidi (n. 26259 del 29/10/2015, dep. 2016, Rv. 266872: in essa si affermò che al giudice dell’esecuzione era consentito revocare una sentenza di condanna pronunciata dopo l’entrata in vigore della legge che aveva abrogato la norma incriminatrice, allorché l’evenienza di abolitio criminis non fosse stata rilevata dal giudice della cognizione).
Dalla inammissibilità del ricorso discende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della proponente al pagamento delle spese processuali e al versamento della ulteriore somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso (Corte Cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 giugno 2024
Il Consigliere estensore
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