Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1026 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1026 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 05/09/1972
avverso l’ordinanza del 20/06/2024 del Tribunale di Asti visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l ‘ordinanza impu gnata, il Tribunale di Asti, quale giudice dell’esecuzione , ha rigettato la richiesta con la quale NOME COGNOME ha proposto istanza di applicazione dell’art. 114 cod. pen. e di revoca della pena illegale, relativa a quella di anni quattro mesi due di reclusione ed euro 21.000,00 di multa, irrogata con sentenza del Tribunale di Asti del 27 giugno 2016,
confermata dalla Corte di appello di Torino, divenuta definitiva il 14 dicembre 2022.
Propone tempestivo ricorso per cassazione l’ imputato, per il tramite del difensore, avv. NOME COGNOME denunciando due vizi, attraverso i motivi di seguito riassunti, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1.Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 114 cod. pen., art. 1 cod. pen., 25, comma 2, 27 Cost.
L’imputato è stato condannato, con sente nza definitiva, alla pena sopra indicata, perché ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, come autore diretto di tale fatto, per aver illegalmente trasportato, messo in vendita e ceduto sostanza stupefacente del tipo ketamina .
A seguito di giudizio di revisione, la Corte di appello di Milano ha reputato il fatto commesso a titolo di concorso.
Di qui la richiesta di riduzione della pena illegale, per effetto del richiesto riconoscimento dell ‘art. 114 cod. pen. al giudice dell’esecuzione visto il ruolo marginale riconosciuto all’imputato nell’espletato giudizio di revisione.
Il Giudice dell’ esecuzione ha reputato che, nel caso specifico, non si versa in ipotesi di pena illegale, ritenendo che quella irrogata è stata calibrata in limiti ragionevoli, trattandosi di pena, per specie e genere, predeterminata dal legislatore.
Il ricorrente evidenzia, invece, che la contestazione attiene alla legalità della pena non in sé, ma per effetto del riconosciuto concorso di persone nel reato commesso, quindi con altri, con la particolare condotta di non aver impedito la commissione della condotta illecita da parte dei dipendenti della RAGIONE_SOCIALE, stante anche la circostanza che, al momento del fatto, COGNOME si trovava all’estero.
Si tratta, dunque, per il ricorrente, di pena divenuta illegale per effetto del giudizio di revisione svolto, tale non da condur re all’assoluzione del condannato ma da determinare l’applicazione dell’art. 114 cod. pen., con riduzione della pena, nel rispetto dei principi di cui agli artt. 3, 25 e 27 Cost.
Si sostiene che il principio di legalità della pena opera anche in sede esec utiva e che è vietata l’esecuzione di una pena non legale anche se irrogata con sentenza non più soggetta ad impugnazione.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 114 cod. pen. e vizio di motivazione.
Ai sens i dell’art. 114 , comma primo, cod. pen., il giudice se ritiene che l’opera prestata da taluna delle persone in concorso a norma degli artt. 110 e 113 cod. pen. ha avuto minima importanza, nella preparazione o esecuzione del reato, può ridurre la pena.
Ciò quando viene riconosciuto che l’apporto del correo ha assunto un’efficienza causale morale o materiale del tutto marginale e trascurabile, tale da porte essere estraneo all’iter criminoso senza conseguenze su questo.
A fronte delle nuove prove valutate i n sede di revisione, l’apporto dell’imputato è risultato del tutto marginale, non avendo contribuito alla stipula della compravendita, trovandosi all’estero, non avendo conosciuto preventivamente gli accordi assunti da altri e, anzi, avendo appreso della compravendita quando questa era già stipulata, tramite i collaboratori della società che all’epoca amministrava.
Di qui la richiesta di riconoscimento della minima importanza della partecipazione e, quindi, di riduzione della pena irrogata.
Nel giudizio di revisione, comunque, la responsabilità di COGNOME, anche se a titolo di concorso, è state individuata nell’avere mandato, mentre era in vacanza, un sms al coimputato al quale confermava che l’ ordine era stato evaso dalla società RAGIONE_SOCIALE e di non essersi adoperato per evitale la spedizione.
Di qui l’assenza di un ruolo attivo nella commissione del reato, quindi , la minima importanza della partecipazione nella preparazione o esecuzione d ell’illecito.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
La difesa, in data 22 ottobre 2024, ha fatto pervenire memoria con la quale, ulteriormente argomentando le questioni illustrate con il ricorso, ha concluso chiedendone l’accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va premesso che è stata rigettata, con provvedimento del Presidente del 21 ottobre 2024, la richiesta di trattazione del ricorso in camera di consiglio partecipata presentata dal difensore avv. NOME COGNOME in data 21 ottobre 2024, trattandosi di ricorso per il quale la legge non prevede la trattazione nelle forme previste dall’art. 127 cod. proc. pen. per il quale, quindi, non è possibile chiedere la discussione orale ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen.
Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Si osserva che la circostanza attenuante che si invoca, come effetto diretto dell’espletato giudizio relativo a istanza di revisione (domanda peraltro rigettata), non discende, automaticamente dalla considerazione, svolta dal
ricorrente, secondo la quale la condotta è risultata, per effetto dell’espletato giudizio di revisione del giudicato, commessa anche con il concorso di altri soggetti.
Si rileva, inoltre, che la circostanza attenuante, secondo la prospettazione del ricorrente per la quale la condotta, comunque, aveva visto la compartecipazione di altri soggetti, poteva essere chiesta, con tale premessa, anche in sede di cognizione e, su tale punto, il ricorrente non espone alcun argomento specifico, ne illustra le ragioni per la quale questa non è stata invocata in sede di conclusioni, in primo grado o nel giudizio di appello.
In ogni caso, il Collegio osserva, con argomento con carattere dirimente, che la pena non diviene, automaticamente, illegale a fronte del mancato riconoscimento -per ipotesi dovuto -della circostanza attenuante di cui all’ art. 114 cod. pen., trattandosi di vizio deducibile con gli ordinari mezzi di impugnazione.
Invero, è noto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel suo massimo consesso (Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283689 – 01 ) spetta alla Corte di cassazione, in attuazione degli artt. 3, 13, 25 e 27 Cost. il potere, esercitabile anche in presenza di ricorso inammissibile, di rilevare l’illegalità della pena determinata dall’applicazione di sanzione ab origine contraria all’assetto normativo vigente perché di specie diversa da quella di legge o irrogata in misura superiore al massimo edittale. (fattispecie relativa ad irrogazione della pena detentiva per il reato di cui all’art. 582 cod. pen., in luogo delle sanzioni previste, per i reati di competenza del giudice di pace, dall’art. 52, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274).
In ogni caso, la pena può dirsi illegale, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, nella sua composizione più autorevole (cfr. Sez. U, n. 40986 del 19/07/2018, R, e Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, COGNOME, entrambe in motivazione) solo quando, per specie ovvero per quantità, non corrisponde a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice, così collocandosi al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal codice penale, ovvero qualora, comunque, sia stata determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione basato su una cornice edittale inapplicabile, perché dichiarata costituzionalmente illegittima o perché individuata in violazione del principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole.
Ancora, deve rilevarsi, per quanto riguarda le circostanze del reato, che averle riconosciute o negate in esecuzione, se non muta il quadro normativo (in particolare per declaratoria di illegittimità costituzionale della norma di riferimento), può integrare pena illegale solo ove quella in concreto irrogata, per specie e quantità, non rientri nei previsti limiti edittali per il reato contestato.
Invero, questo Corte ha ripetutamente affermato che la pena può dirsi illegale soltanto quando la sanzione irrogata non sia prevista dall’ordinamento giuridico ovvero quando, per specie e quantità, risulti eccedente il limite legale ma non quando risulti errato il calcolo attraverso il quale essa è stata determinata -salvo che non sia frutto di errore macroscopico -trattandosi di errore censurabile solo attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione della sentenza (cfr. Sez. 1, n. 38712 del 23/01/2013, Villirillo, Rv. 256879 -01 fattispecie in cui si è affermato che non può essere rilevata, in sede esecutiva, l’illegittimità di una pena determinata sull’erroneo presupposto che l’imputato fosse recidivo, rientrando quella in concreto irrogata, per specie e quantità, nei limiti della pena edittalmente prevista per il reato contestato; conf. n. 4869 del 2000, Rv. 216746 -01; n. 26117 del 2012, Rv. 253562 -01).
Ancora, questa Corte ha affermato il condivisibile principio secondo il quale (cfr. Sez. 2, n. 10208 del 16/02/2024, COGNOME, Rv. 286093 -01) l’omessa riduzione della pena, ex art. 65 cod. pen., per effetto del mancato bilanciamento delle attenuanti generiche con una circostanza aggravante che, a seguito di modifica normativa, sia divenuta elemento costitutivo del reato (nella specie, l’esposizione a pubblica fede nel reato di danneggiamento) comporta violazione di legge, ma non l’applicazione di una pena illegale, escludendo che il giudica possa emendare d’ufficio l’errore.
Tale indirizzo appare in linea con la pronuncia di questa Corte nella sua massima espressione (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886 -01) secondo la quale la pena determinata a seguito dell’erronea applicazione del giudizio di comparazione tra circostanze eterogenee concorrenti, è illegale soltanto nel caso in cui essa ecceda i limiti edittali generali previsti dagli artt. 23 e seguenti, nonché 65 e 71 e seguenti, cod. pen., oppure i limiti edittali previsti per le singole fattispecie di reato, a nulla rilevando il fatto che i passaggi intermedi che portano alla sua determinazione siano computati in violazione di legge.
Tali essendo i canoni interpretativi cui il Collegio intende uniformarsi, si osserva che le condizioni richiamate, non ricorrono riel caso in esame, connotato dall’applicazione, in sede di cognizione, di una pena che, per specie e quantità, rientra, comunque, nei limiti di quella edittalmente prevista per il reato contestato, come stabilita dalla norma incriminatrice, nel testo vigente al momento di consumazione dell’illecito.
1.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
L’ordinanza censurata svolge motivazione esauriente e ineccepibile (cfr. p. 2 e ss.), escludendo che, nel caso al vaglio, la pena irrogata con la sentenza del 27 giugno 2016 del Tribunale di Asti, possa ritenersi illegale nel senso sin qui specificato, trattandosi di sanzione indicata come contenuta in limiti ragionevoli,
di genere e specie conforme a quella predeterminata dal legislatore, sulla base della normativa vigente al momento della commissione del reato.
Non trascura, p eraltro, il Giudice dell’esecuzione di valutare, pur alla stregua dell’esito del giudizio di revisione ex art. 630 cod. proc. pen. e in base alla lettura dell’ordinanza della Corte di appello di Milano che ha respinto l’istanza proposta dal difensore, il ruolo rivestito nella commissione del reato dal condannato, specificando, anzi, che la Corte territoriale ha riconosciuto all ‘Attard un ruolo attivo dal punto di vista decisionale, reputato, a parere del Giudice dell’esecuzione, non tale da assumere efficacia causale così lieve, rispetto all’evento, in grado di risultare trascurabile nell’economia generale del reato e quindi, da legittimare il riconoscimento dell’invocata circostanza attenuante .
Segue alla pronuncia, la condanna alle spese processuali, nonché al pagamento dell’ulteriore somma indicata in dispositivo, in favore della Cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni previste dalla sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, importo che si ritiene di determinare equitativamente, tenuto conto dei motivi devoluti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 6 novembre 2024