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Pena illegale: la Cassazione fa chiarezza

Un individuo, condannato per stalking e violenza sessuale, si è visto estinguere il reato di stalking in seguito a remissione di querela. La Corte d’Appello, nel ricalcolare la pena per la sola violenza sessuale, ha irrogato una sanzione inferiore al minimo di legge, nel tentativo di rispettare il divieto di peggioramento della pena in appello (reformatio in peius). La Cassazione ha rigettato il successivo ricorso dell’imputato, che chiedeva un’ulteriore riduzione, definendo la sanzione già applicata come “pena illegale” in quanto al di sotto del minimo edittale. La Corte ha stabilito che, pur in presenza del divieto di reformatio in peius, la pena non può mai scendere sotto la soglia minima prevista dalla legge per quel reato.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena Illegale e Divieto di Reformatio in Peius: La Cassazione Traccia i Confini

La determinazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale, un crocevia in cui si incontrano principi di legalità, proporzionalità e garanzie difensive. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 9176/2024) offre un’analisi approfondita su un tema complesso: il conflitto tra il divieto di peggiorare la condanna dell’imputato in appello (la cosiddetta reformatio in peius) e l’obbligo di applicare una pena conforme ai limiti di legge, evitando così una pena illegale. Il caso esaminato riguarda la ricalibrazione di una condanna dopo che uno dei reati contestati è venuto meno.

I Fatti del Processo: Dal Doppio Reato alla Pena Unica

La condanna iniziale e l’appello

In primo grado, un imputato era stato ritenuto responsabile di due gravi reati in continuazione tra loro: stalking (art. 612-bis c.p.) e violenza sessuale (art. 609-bis c.p.). Il Tribunale aveva individuato nello stalking il reato più grave e, partendo da una pena base per questo, aveva applicato un aumento per la violenza sessuale, arrivando a una condanna complessiva di un anno e otto mesi di reclusione.

La vicenda processuale ha subito una svolta decisiva quando, nelle fasi successive del giudizio, la persona offesa ha rimesso la querela per il reato di stalking. Tale atto ha comportato l’estinzione del reato.

L’annullamento in Cassazione e il giudizio di rinvio

La Corte di Cassazione, in una precedente pronuncia, aveva preso atto dell’estinzione del reato di stalking e aveva annullato la sentenza d’appello, rinviando gli atti a una nuova sezione della Corte territoriale. Il compito del giudice del rinvio era quello di ricalcolare la pena per l’unico reato rimasto: la violenza sessuale.

La Corte d’Appello, in sede di rinvio, ha determinato la nuova pena in un anno e sette mesi di reclusione. Questa quantificazione, apparentemente lineare, nascondeva una profonda complessità giuridica.

Il Ricorso in Cassazione: Il cuore della questione sulla pena illegale

L’imputato ha presentato un nuovo ricorso in Cassazione, lamentando che la pena di un anno e sette mesi fosse eccessiva e violasse il divieto di reformatio in peius.

La tesi del ricorrente: violazione del divieto di peggioramento

Secondo la difesa, la pena base originaria per il reato più grave (stalking) era stata fissata in un anno e quattro mesi. Poiché solo l’imputato aveva impugnato la sentenza, la nuova pena per la sola violenza sessuale non avrebbe potuto superare quella soglia. Irrogare una pena di un anno e sette mesi rappresentava, a suo avviso, un ingiusto peggioramento della sua posizione processuale.

L’analisi della Corte sulla pena illegale: un errore a favore dell’imputato

La Cassazione, nell’analizzare il ricorso, ha svelato una serie di errori commessi nei gradi di merito, tutti, paradossalmente, a favore dell’imputato. Il punto centrale è che la pena minima prevista dalla legge per il reato di violenza sessuale (nella sua forma attenuata, come riconosciuto nel processo) era di un anno e otto mesi di reclusione.

La Corte d’Appello, nel determinare la pena in un anno e sette mesi, aveva consapevolmente applicato una pena illegale perché inferiore al minimo edittale. Lo aveva fatto nel tentativo di bilanciare il principio di legalità con il divieto di reformatio in peius.

Il conflitto tra minimo edittale e ‘reformatio in peius’

Di fronte all’alternativa tra irrogare una pena legale (un anno e otto mesi), che però avrebbe potuto apparire come un peggioramento rispetto alla pena base del reato estinto, e una pena più bassa ma illegale, la Corte d’Appello aveva scelto la seconda via. Tuttavia, secondo la Cassazione, questa scelta è stata un errore.

Le Motivazioni della Sentenza

La Suprema Corte ha chiarito che il divieto di reformatio in peius non può mai giustificare l’applicazione di una pena illegale, ovvero una sanzione che scenda al di sotto del minimo stabilito dal legislatore. Il rispetto dei limiti edittali è un cardine del principio di legalità della pena (art. 25 Cost.) che non può essere derogato.

Il giudice del rinvio avrebbe dovuto applicare la pena minima legale per la violenza sessuale, cioè un anno e otto mesi. Questa pena, essendo uguale a quella complessiva inflitta in precedenza per due reati, non avrebbe comunque violato il divieto di peggioramento.

L’imputato, quindi, si è trovato a contestare una pena (un anno e sette mesi) che era già illegittimamente favorevole, chiedendone un’ulteriore riduzione che l’avrebbe resa “ancora più illegale”. La Corte ha sottolineato di non poter correggere l’errore a sfavore dell’imputato, data l’assenza di un ricorso del Pubblico Ministero. Tuttavia, non poteva nemmeno accogliere la richiesta di un’ulteriore, e ancor più palese, violazione di legge.

Le Conclusioni della Cassazione

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, affermando un principio di diritto cruciale: nel giudizio di rinvio, a seguito dell’annullamento della condanna per il reato più grave, il giudice deve rideterminare la pena per il reato residuo. Nel farlo, non potrà mai irrogare una pena inferiore al minimo edittale previsto per tale reato, poiché ciò si configurerebbe come una pena illegale. Il divieto di reformatio in peius protegge l’imputato da un aggravamento della pena complessiva, ma non può legittimare una deroga ai limiti sanzionatori fissati dalla legge.

Cosa succede alla pena se uno dei reati in continuazione viene estinto in appello?
Se il reato più grave, per cui era stata calcolata la pena base, viene estinto, il giudice deve ricalcolare la pena per il reato residuo. Questa nuova pena non può superare la pena complessiva precedente a causa del divieto di reformatio in peius.

Un giudice può infliggere una pena inferiore al minimo previsto dalla legge?
No, la sentenza chiarisce che infliggere una pena inferiore al minimo edittale stabilito dalla legge costituisce una “pena illegale”. Anche per rispettare il divieto di peggioramento, la pena non può mai scendere sotto il limite minimo legale per il reato.

Se un giudice commette un errore e applica una pena illegale ma più favorevole all’imputato, la Cassazione può correggerla?
La Corte di Cassazione può correggere una pena illegale solo se l’errore è avvenuto a danno dell’imputato. Se la pena illegale è più favorevole (come in questo caso, essendo inferiore al minimo) e il Pubblico Ministero non ha presentato ricorso, la Corte non può peggiorare la situazione dell’imputato e quindi non può rettificare l’errore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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