Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7750 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7750 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Nuoro il 18/06/1969
avverso la sentenza del 18/06/2024 del GIP del Tribunale di Nuoro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta depositata dal Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 18 giugno 2024 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Nuoro ha applicato a NOME COGNOME la pena di anni due, mesi 8 di reclusione ed euro 9.000,00 di multa, in ordine al delitto di cui agli artt. 73, comma 4 e 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, per aver detenuto n. 2500 di piante di cannabis, dalle quale erano ricavabili 90,868 Kg di principio attivo, con l’aggravante dell’ingente quantitativo e con la recidiva, ritenute equivalenti alle concesse circostanze attenuanti generiche.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’avv.to NOME COGNOME affidandosi ad un unico motivo con il quale lamenta violazione di legge,
erronea applicazione della legge penale ed illegalità della pena, nella parte in cui il giudice non ha applicato la pena sostitutiva.
2.1 Si premette che il giudice, a fronte della istanza avanzata in via principale di applicazione di pena con sostituzione della pena detentiva in una sanzione sostitutiva, ha rigettato la richiesta di sostituzione ed applicato al ricorrente pena concordata tra le parti di anni due e mesi otto di reclusione ed euro 9.000 di multa, così accogliendo la richiesta subordinata, sull’assunto che il reato, rientrando tra quelli di cui all’art. 4-bis ord. pen., è ostativo ai sensi dell’art. 59 lett. d), legge n. 689 del 1981, alla sostituzione della pena detentiva breve.
2.2 Deduce il difensore che la sentenza merita censura in quanto l’art. 59, lett. d), legge n. 689 del 1981 deve essere interpretato nel senso che il rinvio operato da tale disposizione all’art. 4-bis legge n. 354 del 1975 non ricomprende anche il comma 1-ter e quindi la fattispecie ivi prevista di cui agli artt. 73, 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, trattandosi di una interpretazione che è incompatibile con il principio di proporzionalità della pena, che costituisce oggi un limite di rango costituzionale all’esercizio della discrezionalità del legislatore.
Nel richiamare le pronunce della Consulta (si citano Corte cost. n. 86 del 2024, n. 56 del 2021) e della Corte di giustizia dell’unione europea si ribadisce il principio del primato del diritto dell’Unione e l’obbligo per le autorità nazionali di disapplicar la normativa nazionale laddove essa sia contraria al requisito di proporzionalità delle sanzioni. Si rappresenta che l’art. 4-bis ord. pen. detta una disciplina differenziata per le diverse fattispecie considerate e che il comma 1-ter del citato testo (ossia l’unica disposizione che contempla il reato ascritto al ricorrente) prevede a sua volta una procedura semplificata per l’accesso alla misura alternativa alla detenzione, e rientra nella cd. “fascia debole” e che, analizzando la normativa in termini di effettività, l’ingresso in carcere del condannato per un reato rientrante nelle ipotesi della disposizione da ultimo indicata si riduce ad un vero e proprio automatismo sanzionatorio, in quanto al giudice della cognizione viene precluso, in maniera automatica, di valutare la sussistenza o meno di collegamenti con la criminalità organizzata che, laddove esclusi, eviterebbero il passaggio nella struttura carceraria.
Alla luce della eccezionalità dell’intera normativa dell’ostatività ed i considerazione della sproporzione della sanzione e del suo sostanziale automatismo, si chiede di annullare senza rinvio la sentenza impugnata, privilegiando un’interpretazione diversa da quella adottata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Nuoro e di ritenere che il richiamo operato dall’art. 59 legge n. 689 del 1981 all’art. 4-bis ord. pen. non si riferisca alla fattispecie di cui agli artt. 73 e 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990.
2.3 In subordine, si chiede a questa Corte di sollevare questione di legittimità costituzionale in relazione all’art. 59, lett. d), legge n. 689 del 1981, per contrast con gli artt. 3, 276, 11 Cost. e 49 CDFUE, nella parte in cui esso osta all’applicazione della pena sostitutiva del condannato il reato di cui all’art. 93 e 80 comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, limitando irragionevolmente il principio della finalità rieducativa del trattamento sanzionatorio.
2.4 In caso di mancato accoglimento, viene formulata, in via ulteriormente gradata, istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, a cui andrebbe sottoposta la seguente questione: «Il principio di proporzionalità, come delineato dall’art. 49 della CDFUE osta all’applicazione di una normativa nazionale quale l’art. 59, lett. d), legge n. 689 del 1981 che impone la valutazione della pericolosità sociale del condannato solo dopo l’inizio dell’esecuzione della pena detentiva, benchè il giudice della cognizione disponga delle facoltà, conferite dall’art. 545-bis cod. proc. pen., per effettuare una valutazione preventiva analoga?».
Con requisitoria scritta il Sost. Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, rappresentando che la pena in concreto applicata è quella richiesta dallo stesso imputato, con il consenso del pubblico ministero e sarebbe pertanto illogico ritenere che essa sia sproporzionata solo per vedersi applicare una sanzione sostitutiva. Si evidenzia che la lettura data dal giudice è fedele alla lettera dell legge e si conclude affermando che non vi è spazio per una interpretazione adeguatrice contro la lettera delle norme, poiché la scelta di escludere la applicabilità delle sanzioni sostitutive in determinati casi (spaccio o produzione di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente) è una scelta di politica criminale ragionevole e fondata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto al di fuori dei casi previsti dal legislatore.
1.1 Va premesso che il disposto di cui all’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (introdotto dalla legge n. 103 del 2017) ha delimitato il novero dei motivi deducibili con il ricorso per cassazione avverso una sentenza di patteggiamento a quelli attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazion tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto all’illegalità della pena o della misura di sicurezza e che tale disposizione viene interpretata nel senso che, laddove la pena oggetto di accordo risulti illegale, è possibile proporre ricorso per cassazione, mentre se essa è illegittima, il ricorso sarà inammissibile, fermo restando, in applicazione dei principi espressi da Sez U,
COGNOME che avverso la sentenza che applichi una pena che non sia stata oggetto di accordo, è sempre proponibile ricorso per cassazione, deducendo i vizi di cui all’art. 606 cod. proc. pen.
1.2 Nel caso di specie la pena applicata al prevenuto è stata oggetto di accordo tra le parti, richiesto in via subordinata, ragione per cui si è fuori dall’ambito operatività di cui all’art. 606 cod. proc. pen. e ciò impone di verificare se il ricor presentato nell’interesse di NOME COGNOME rientri in uno dei casi consentiti dall’art. 448, comma 2-bis cod. proc. pen., ed in particolare se il vizio denunciato, come dedotto dalla parte, riguardi una pena illegale.
1.3 Nei casi di sentenza di patteggiamento, le Sezioni Unite si sono pronunciate più volte pronunciate sulla pena illegale, sia direttamente (da ultimo, Sez. U, n. 5352 del 28/09/2023, dep. 2024, P., Rv. 285851-01; Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886-01; Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, dep. 2020, COGNOME Rv. 279348-03, 279348-05; Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015 Cc., COGNOME Rv. 264206-01, 264207-01; Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, COGNOME Rv. 264857-01 e 264859-01; Sez. U., n. 35738 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247841-01) sia indirettamente, in alcuni passaggi motivazionali (Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, COGNOME, Rv 283689-01; Sez. U, n. 47182 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283818-01).
In tali decisioni, come in tutte le varie pronunce delle Sezioni Unite che hanno riguardato il tema della illegalità della pena (oltre a quelle indicate, Sez. U, n. 7578 del 17/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280539-01; Sez. U, 19 luglio 2018, COGNOME Sez. U, n. 47766 del 26/06/2015, Butera, Rv. 265109-01; Sez. U, n. 46653 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 265111 Sez. U, n. 18821 del 24/10/2013 – dep. 2014, Ercolano, Rv. 258651; Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260696; Sez. U., n. 5466 del 28/01/2004, Gallo, Rv 226715-01), la questione di fondo attiene appunto alla definizione di “pena illegale”, nozione, questa, che ancora appare difficilmente enucleabile, proprio per le molteplici fattispecie che possono venire in rilievo.
La premessa è che «il principio di legalità della pena informa di sé tutto il sistema penale, vale sia per le pene detentive che per le pene pecuniarie, e comporta che pena legale sia soltanto quella prevista dall’ordinamento giuridico e non eccedente, per genere, specie o quantità, il limite legale; esso opera sia in fase di cognizione che di esecuzione, e vieta l’esecuzione di una pena (anche se inflitta con sentenza non più soggetta ad impugnazione ordinaria) che non trovi fondamento in una norma di legge, perché avulsa da una pretesa punitiva dello Stato» (in questo senso, Sez. U, COGNOME).
In altri termini, secondo il diritto vivente, “pena legale” è soltanto quell “positiva”, ovvero prevista dall’ordinamento giuridico, e quindi quella non
eccedente, per specie e quantità, i limiti previsti dalla legge; per converso, è pena illegale “ab origine” quella che non corrisponde, per specie, ovvero per quantità, sia in difetto sia in eccesso, a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice (Sez. U, n. 5352 del 28/09/2023, dep. 2024, P., Rv. 285851-01, che richiama Sez. U, COGNOME e Sez. U, COGNOME) ed è pena illegale “sopravvenuta”, quella che sia stata determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione basato su una norma successivamente dichiarata illegittima, con conseguente reviviscenza, o comunque con conseguente applicabilità, di una cornice edittale il favorevole (Sez. U, n. 5352 del 28/09/2023, dep. 2024, P., Rv. 285851-01 che richiama Sez. U, Jazouli).
1.4 Ritiene questa Corte che nel caso di specie non si versi in nessuna delle ipotesi che la giurisprudenza di legittimità ha individuato come pena illegale, posto che la sanzione applicata rientra tra quelle previste dall’ordinamento giuridico e non eccede per specie e quantità i limiti previsti dalla legge.
1.5 Né la pena applicata può ritenersi illegale, come sembra prospettare il difensore, per il fatto di aver recepito un accordo formulato in via subordinata, all’esito del rigetto, che qui si censura, della richiesta avanzata in via principale d sostituzione della pena detentiva con una pena detentiva breve.
Questo collegio condivide i principi affermati da questa Corte, in tema di pene sostitutive di pene detentive brevi, secondo cui le prescrizioni previste dall’art. 56ter legge 24 novembre 1981, n. 689 – introdotto dall’art. 71 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 – per la semilibertà sostitutiva, la detenzione domiciliare sostitutiva e il lavoro di pubblica utilità sostitutivo non sono “pene accessorie” la cui applicazione dipende dalla discrezionale valutazione del giudice, ma costituiscono contenuto necessario e predeterminato della pena sostitutiva, da applicare obbligatoriamente anche in caso di patteggiamento (Sez. 6, n. 30768 del 16/05/2023, F., Rv. 284967-01); di talchè la richiesta dell’imputato di applicazione di una pena sostitutiva deve essere congiunta e non alternativa a quella di applicazione della pena, sichhè grava sul giudice l’obbligo di controllarne l’ammissibilità e di rigettare la richiesta stessa nel caso in cui la sostituzione no sia applicabile, senza possibilità di scindere i termini del patto intervenuto tra le parti, che ha natura unitaria in vista della applicazione della pena concordata (Sez. 2, n. 31488 del 12/07/2023, Terlizzi, Rv. 284961-01).
Ne deriva, in applicazione di tali principi, che la richiesta formulata in via principale dall’imputato, avente ad oggetto la mera applicazione di una pena sostitutiva, non individuata nel genere, oltre che priva di un qualunque accordo in ordine ai tempi e alle modalità di esecuzione della stessa, deve ritenersi essa stessa inammissibile, prima ancora ed a prescindere dalla applicabilità o meno della pena sostitutiva ai reati di cui all’art. 4bis legge n. 354 del 1975, così come
inammissibile è, per le ragioni sopra esposte, il ricorso proposto innanzi a questa Corte.
L’inammissibilità del ricorso, in quanto proposto al di fuori dei casi in cui i legislatore consente di impugnare la sentenza di patteggiamento, non venendo in rilievo nel caso di specie una pena illegale, assorbe tutti gli ulteriori motivi doglianza.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere per il ricorrente del pagamento delle spese del procedimento nonché, tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
Il collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall’art. comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista all’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopraindicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 22/01/2025.