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Pena illegale e patteggiamento: il caso del RdC

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di patteggiamento per il reato di omessa comunicazione di variazioni reddituali ai fini del Reddito di Cittadinanza. La Corte ha stabilito che la pena di 4 mesi applicata dal Tribunale era una pena illegale, in quanto calcolata partendo da una base inferiore al minimo edittale di un anno previsto dalla legge. Anche con la massima riduzione per il rito, la pena non può scendere sotto i limiti legali.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena Illegale nel Patteggiamento: La Cassazione Annulla una Sentenza sul Reddito di Cittadinanza

Con la sentenza n. 46765/2024, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale del diritto penale: neppure nell’ambito del patteggiamento è possibile applicare una pena illegale, ovvero una sanzione inferiore al minimo stabilito dalla legge. Questa pronuncia offre un’importante lezione sulla rigidità dei limiti edittali e sulla loro inderogabilità, anche in presenza di un accordo tra le parti. Il caso specifico riguardava un’omessa comunicazione di variazioni reddituali ai fini del Reddito di Cittadinanza.

I Fatti del Caso

Un individuo era stato imputato per il reato previsto dall’art. 7, comma 2, del D.L. n. 4/2019, per non aver comunicato di aver iniziato un’attività lavorativa a tempo determinato mentre percepiva il Reddito di Cittadinanza. In primo grado, presso il Tribunale di Lucca, l’imputato aveva concordato con la pubblica accusa una pena (patteggiamento) di 4 mesi di reclusione. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Firenze ha però impugnato tale sentenza, ritenendo la pena applicata manifestamente illegale.

Il Ricorso del Procuratore e il concetto di pena illegale

Il cuore del ricorso si basava su un semplice calcolo matematico e su un principio giuridico non derogabile. La norma incriminatrice contestata prevede una pena minima di 1 anno di reclusione. Il patteggiamento, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., consente una riduzione della pena “fino ad un terzo”.

Il Procuratore ha evidenziato che una pena finale di 4 mesi, anche ipotizzando la massima riduzione possibile (un terzo), presuppone una pena base di partenza non superiore a 6 mesi. Infatti, 6 mesi meno un terzo (2 mesi) fa esattamente 4 mesi. Una pena base di 6 mesi è nettamente inferiore al minimo edittale di 1 anno (12 mesi) previsto per quel reato. Di conseguenza, la sanzione concordata e applicata era una pena illegale perché calcolata partendo da un quantum inferiore a quello che la legge impone come soglia minima.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto pienamente il ricorso del Procuratore generale, annullando senza rinvio la sentenza del Tribunale di Lucca e disponendo la trasmissione degli atti allo stesso Tribunale, in diversa composizione, per un nuovo giudizio. I giudici di legittimità hanno confermato che la pena applicata era palesemente illegale e che tale vizio può essere fatto valere anche contro una sentenza di patteggiamento.

Le Motivazioni della Corte

La Cassazione ha innanzitutto ribadito che il giudice, anche quando ratifica un accordo tra le parti, è tenuto a verificare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto e la congruità della pena. Questa congruità deve essere valutata all’interno dei limiti edittali fissati dal legislatore. Applicare una pena che parta da una base inferiore al minimo edittale costituisce un errore di diritto che rende la pena stessa illegale.

Un altro punto interessante affrontato dalla Corte riguarda la successione di leggi nel tempo. La norma sul Reddito di Cittadinanza è stata abrogata a partire dal 1° gennaio 2024. In linea di principio, secondo l’art. 2 del codice penale (lex mitior), l’abrogazione dovrebbe favorire l’imputato. Tuttavia, la stessa legge abrogatrice (L. n. 197/2022) ha specificato che le sanzioni penali previste continuano ad applicarsi per i fatti commessi fino alla data di soppressione del beneficio. La Corte ha ritenuto questa deroga pienamente legittima e ragionevole, in quanto volta a garantire la tutela penale fino all’esaurimento del precedente istituto di sostegno economico.

Le Conclusioni

La sentenza in commento rafforza il principio della legalità della pena, un caposaldo del nostro ordinamento. Anche in un istituto premiale come il patteggiamento, l’accordo tra accusa e difesa non può superare i confini invalicabili posti dalla legge. Il giudice ha il dovere di respingere qualsiasi accordo che preveda una pena illegale, come quella inferiore al minimo edittale. Questa decisione serve da monito per garantire che la quantificazione della sanzione penale rimanga sempre ancorata ai parametri normativi, assicurando certezza del diritto e uniformità di trattamento.

È possibile applicare con il patteggiamento una pena inferiore al minimo previsto dalla legge per un reato?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che la pena concordata nel patteggiamento, sebbene ridotta, deve essere calcolata partendo da una pena-base che rientri nei limiti edittali (minimo e massimo) previsti dalla legge. Una pena che parte da una base inferiore al minimo è considerata una pena illegale e la sentenza deve essere annullata.

Cosa succede se un giudice approva un patteggiamento con una pena illegale?
La sentenza può essere impugnata dal Pubblico Ministero. Se la Corte di Cassazione accerta l’illegalità della pena, annulla la sentenza e rinvia gli atti al giudice di primo grado affinché proceda a un nuovo giudizio, applicando una pena conforme alla legge.

L’abrogazione della legge sul Reddito di Cittadinanza ha cancellato i reati commessi in precedenza?
No. La Corte ha specificato che la legge che ha abrogato il Reddito di Cittadinanza ha espressamente previsto che le sanzioni penali continuino ad applicarsi per i fatti commessi prima della sua entrata in vigore. Si tratta di una deroga legittima al principio della retroattività della legge più favorevole (lex mitior).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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