Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 27095 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 27095 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 11/05/2023 della Corte d’appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo: di annullare la sentenza relativamente al reato di cui all’art. 612 cod. pen., limitatamente all’omesso bilanciamento tra circostanze concorrenti ed alla conseguente determinazione dell’aumento di pena in continuazione, rinviando a nuovo giudizio sul punto alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione; di dichiarare irrevocabile l’affermazione di responsabilità; di dichiarare nel resto il ricorso inammissibile; udito l’AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Roma confermava la condanna in primo grado di NOME COGNOME per i delitti di lesioni volontarie aggravate (artt. 582; 585, comma 2, n. 2 cod. pen.) (capo b), di minaccia aggravata (art. 612, comma 2, cod. pen.) (capo c) e di calunnia (art. 368 cod. pen.) (capo d) ai danni di NOME COGNOME.
Avverso la sentenza in epigrafe ha presentato ricorso, per il tramite dell’avvocato NOME COGNOME, NOME COGNOME, articolando i seguenti quattro motivi.
2.1. Vizio di motivazione per contrasto con le risultanze processuali in ordine all’accertamento della responsabilità per il delitto di calunnia (capo d).
La Corte di appello ha condiviso le osservazioni del Tribunale ritenendo l’imputato inattendibile ed asserendo che la descrizione di fatti da lui fornita non trovava riscontro in atti, dal momento che i presenti all’aggressione non avevano menzionato alcun diverbio relativo ad un ciclomotore e, tantomeno, lesioni al naso con fuoriuscita di sangue da parte di COGNOME.
Tuttavia, dalle risultanze processuali è emerso come nessuno dei testi avesse assistito ai momenti che precedettero la colluttazione e che la stessa persona offesa aveva riferito che il COGNOME lo insultava mentre si avvicinava (quasi a confermare che avesse un motivo di risentimento nei suoi confronti), come del resto suggerisce il particolare, riferito non solo dal COGNOME ma anche dai presenti, che il COGNOME sembrava stesse cercando qualcuno.
Inoltre, le lesioni riportate dall’imputato, attestate da un certificato di pront soccorso di cui non è mai stata messa in dubbio l’autenticità e la veridicità, erano compatibili con la dinamica dell’evento, per come ricostruita dal ricorrente.
Né rileva, come affermato dai Giudici dell’appello, che il COGNOME si fosse recato presso l’ospedale tre giorni dopo e non nell’immediatezza dei fatti: vieppiù se si considera che il COGNOME era già stato operato pochi mesi prima alla faccia e che, pertanto, assolutamente comprensibili ne erano le paure, confermate dalla prognosi finale di 25 (e non 15) giorni.
Per giustificare tale referto, d’altronde, i Giudici hanno ipotizzato un altro contatto violento, che molto probabilmente il COGNOME avrebbe avuto tra il 26 e il 30 maggio, a fronte dell’attività pugilistica praticata, sebbene di tale contatto mancasse riscontro nel processo, essendo stato piuttosto desunto da «voci del quartiere».
Considerato il tempo strettissimo in cui si verificarono i fatti, dunque, ben il COGNOME potrebbe essere scappato appena rialzatosi da terra, senza che i presenti
notassero – per le circostanza di tempo – le condizioni in cui versava: a nulla rilevando nemmeno le informazioni dell’operante che aveva intercettato il COGNOME a distanza di un’ora dai fatti, trattandosi di arco temporale più che sufficiente a consentire al ricorrente, che abitava proprio lì dove tutto era accaduto, di pulirsi, cambiarsi e di uscire di nuovo.
A ciò si aggiunga che sia l’imputato sia la persona offesa avevano deciso di sporgere querela l’uno nei confronti dell’altra soltanto dopo essere venuti a conoscenza del procedimento a proprio carico per gli stessi fatti, ma che i Giudici hanno giustificato tale scelta in relazione al COGNOME e, irragionevolmente, non al COGNOME.
In sintesi, la ricostruzione della vicenda offerta dalla persona offesa e dagli altri testimoni non esclude quella dell’imputato, potendo le due versioni coesistere.
2.2. Errata applicazione della legge penale con riguardo alla pena irrogata per i reati di lesioni (capo b) e minacce (capo c) e alla continuazione tra detti reati.
La Corte di appello confermava la pronuncia di primo grado anche quanto al trattamento sanzionatorio, limitandosi a ritenere la pena irrogata adeguata all’intensità del dolo dell’imputato e alla sua personalità, incline alla violenza.
Stante l’applicazione delle attenuanti generiche e la riconosciuta equivalenza tra queste e le aggravanti contestate, inclusa la recidiva, si sarebbero dovute applicare le pene previste per le fattispecie base di entrambi i delitti (lesioni e minacce).
Infatti, il Tribunale aveva scelto come pena base per il reato più grave (le lesioni) la misura minima di sei mesi prevista dall’art. 582 cod. pen., come modificato dalla I. 23/03/2016, n. 41, a decorrere da marzo 2016.
A titolo di continuazione con la minaccia, la Corte ha applicato invece la pena di tre mesi di reclusione, nonostante l’art. 612, comma 1, cod. pen. punisca il reato di minaccia semplice con la pena pecuniaria che, anche operando la conversione, porterebbe comunque ad un aumento eccessivo, ma che comunque, nel rispetto di Sez. U, n. 40983 del 21/06/2018, Giglia, Rv. 273751, non avrebbe dovuto mutare genere (la conversione della pena pecuniaria in detentiva determinando anche l’effetto di precludere l’accesso a misure alternative).
Tale decisione non era, oltretutto, motivata.
2.3. Omessa motivazione quanto all’aumento di pena per il reato di minaccia, in continuazione con le lesioni.
La lacuna motivazionale della sentenza di primo grado non è stata colmata in appello, se non attraverso la riferita formula di stile.
Eppure, non soltanto l’aumento di pena operato del giudice è stato superiore al minimo edittale previsto dal legislatore per il reato satellite, ma la pena base individuata per il reato più grave è pari al minimo edittale stabilito per le lesioni
senza che i Giudici abbiano esplicitato il percorso logico seguito, così da consentirne un effettivo controllo conformemente a quanto disposto dall’insegnamento a Sezioni Unite di questa Corte.
2.4. Errata applicazione della legge penale e vizio di motivazione in punto di riconoscimento del vincolo di continuazione tra tutti e tre i reati contestati ai capi b), c) e d) dell’imputazione.
Se è vero che il COGNOME aveva il preciso intento di calunniare il COGNOME, poco rileva che l’idea sia stata concepita solo successivamente alle lesioni e alle minacce perpetrate, non potendosi escludere – in considerazione dello spazio temporale limitato, del fatto che fossero state coinvolte le stesse parti e delle identiche ragioni sottese alle condotte del 26 e del 30 maggio 2016 – che anche la calunnia rientrasse nel medesimo disegno criminoso, con la conseguenza di applicare il regime sanzionatorio di cui all’art. 81 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è inammissibile, poiché sollecita una lettura alternativa delle risultanze probatorie, valutate dai Giudici di merito con motivazione completa, logica e non contraddittoria.
In particolare, premesso che il ricorrente aveva nella querela sostenuto di essere stato colpito dal COGNOME (e non viceversa), la Corte d’appello ha, per contro, rilevato come le dichiarazioni della persona offesa – la quale riferì di essere stata aggredita, senza motivo, dell’imputato, armato di vanga e di un punteruolo, e di essere stata minacciata di morte – avessero trovato pieno riscontro nelle deposizioni di due testimoni oculari, estranei e disinteressati, oltre che nel ritrovamento della vanga, sotto un’autovettura, parcheggiata nella stessa via dell’avvenuta aggressione, nonché del punteruolo, addosso all’imputato.
Incidentalmente, appare significativo che il ricorrente si sia soffermato sulla ritenuta insufficienza delle deposizioni, per contro valorizzate dai Giudici, articolando un ragionamento oltretutto per larga parte congetturale, senza replicare alcunché in merito alle argomentazioni della Corte d’appello sul ritrovamento delle due armi, sicché il motivo risulta, sotto tale profilo, anche aspecifico.
Anche il quarto motivo di ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
Per tradizionale e consolidato orientamento, la continuazione presuppone una contestualità logica e cronologica tra i diversi reati. Contestualità che, nel caso di
specie, non si ravvisa tra le lesioni e le minacce, da un lato, e la calunnia, dall’altro lato.
Con motivazione esente da vizi – in quanto completa e tutt’altro che contraddittoria – la Corte d’appello ha già affermato che la denuncia «veniva presentata successivamente alle minacce e alle lesioni, provocate alla COGNOME e poiché, verosimilmente, al momento dell’aggressione, il COGNOME non aveva neanche concepito l’idea di presentare una falsa denuncia – determinazione sorta solo successivamente, con l’obiettivo di allontanare da sé ogni responsabilità non può affermarsi la sussistenza di un preventivo programma criminoso, unificante le tre condotte criminose (lesioni, minacce e calunnia) che avesse determinato l’agire del COGNOME». E da ciò ha logicamente derivato la conseguenza che la continuazione, pur ravvisata tra le ipotesi di cui ai capi b) e c) non è, invece, ipotizzabile anche con riferimento al capo d).
3. Il secondo motivo di ricorso è, invece, fondato.
3.1. La Corte d’appello ha confermato la condanna in primo grado dell’imputato individuando, ai fini dell’art. 81 cod. pen., il reato più grave nell lesioni di cui al capo b) e irrogando per esso sei mesi di reclusione, aumentati di altri tre mesi a titolo di continuazione con le minacce aggravate dall’uso dell’arma (art. 612, comma 2, cod. pen.).
Sia il Tribunale, sia la Corte di appello hanno tuttavia trascurato di considerare come già in primo grado fosse stata dichiarata l’equivalenza tra circostanze aggravanti ed attenuanti, sicché la pena che i Giudici di merito avrebbero dovuto considerare ai fini della continuazione con le minacce non era quella dell’art. 612, comma 2, cod. pen., bensì quella dell’art. 612, comma 1, cod. pen., e cioè la pena pecuniaria.
Se è così, avrebbe dovuto operare – come rilevato dal ricorrente e ritenuto dal AVV_NOTAIO Generale – il principio di diritto espresso da questa Corte, nella sua più autorevole composizione, secondo cui, in tema di concorso di reati puniti con sanzioni eterogenee sia nel genere che nella specie per i quali sia riconosciuto il vincolo della continuazione, l’aumento di pena per il reato “satellite” va effettuato secondo il criterio della pena unica progressiva per “moltiplicazione”, rispettando tuttavia, per il principio di legalità della pena e del favor rei, il genere della pena prevista per il reato “satellite”, nel senso che l’aumento della pena detentiva del reato più grave dovrà essere ragguagliato a pena pecuniaria ai sensi dell’art. 135 cod. pen. (Sez. U, n. 40983 del 21/06/2018, Giglia, Rv. 273751), salvo poi la pena essere nuovamente convertita – nel caso che qui interessa – in pecuniaria.
3.2. Sul punto è il caso di aggiungere che a nulla rileva la mancata devoluzione del motivo in appello, vertendosi in materia di pena illegale (diversa per genere
da quella prevista dall’ordinamento), con la conseguenza che, secondo l’insegnamento di Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, Miraglia, 283689, spetta alla Corte di cassazione, in attuazione degli artt. 3, 13, 25 e 27 Cost. il potere, esercitabile anche in presenza di ricorso inammissibile, di rilevare l’illegalità della pena determinata dall’applicazione di sanzione “ab origine” contraria all’assetto normativo vigente perché di specie diversa da quella di legge o irrogata in misura superiore al massimo edittale (nel caso all’attenzione del Supremo consesso era stata irrogata la pena detentiva per il reato di cui all’art. 582 cod. pen., in luogo delle sanzioni previste, per i reati di competenza del giudice di pace, dall’art. 52, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274).
3.3. Per le ragioni esposte la sentenza deve essere, dunque, annullata con riguardo all’aumento della pena a titolo di continuazione con il reato di minaccia (capo c), affinché la Corte d’appello ridetermini la pena conformemente al principio di diritto poc’anzi ricordato.
4. Il terzo motivo di ricorso è assorbito.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’aumento a titolo di continuazione per il reato di cui al capo c) e rinvia per la rideterminazione della pena ad altra Sezione della Corte d’appello di Roma. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso ed irrevocabile l’accertamento di responsabilità per i reati di cui a capi a) e b).
Così deciso il 04/06/2024