Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 44527 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 44527 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: Procuratore generale presso la Corte di appello di Brescia nel procedimento a carico di: NOME COGNOME nato in Nigeria, il 01/02/1986 avverso la sentenza del 07/05/2024 del Tribunale di Bergamo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha richiesto l’annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza con trasmissione degli atti al Tribunale di Bergamo.
RITENUTO IN FATTO
Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Brescia ricorre avverso la sentenza del Tribunale di Bergamo che ha applicato nei confronti di NOME COGNOME su conforme richiesta delle parti, la pena di mesi dieci di reclusione ed euro 1.600,00 di multa in ordine ai contestati delitti di resistenza a pubblico ufficiale (capo a), illecita detenzione finalizzata allo spaccio di 22,90 grammi lordi di sostanza stupefacente del tipo hashish (capo b) e di aver contravvenuto, ex art.
2 e 76, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011, al provvedimento emesso dal Questore di Bergamo con cui gli era stato intimato il divieto di rientrare in Bergamo per anni tre; fatti commessi il 6 maggio 2024.
Il Procuratore generale ricorrente deduce l’illegalità della pena ex art. 448, comma 2 -bis, cod. proc. pen. nella parte in cui è stata applicata per il ritenuto più grave delitto di resistenza a pubblico ufficiale una pena detentiva congiunta a quella pecuniaria, non prevista dalla citata ipotesi di reato; operato poi l’aumento su entrambe le pene (detentiva e pecuniaria) attraverso l’aumento per il capo 2 relativo al delitto di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 (mesi tre di reclusione ed euro 200 di multa) e per il capo 3, relativo al reato di cui agli artt:. artt. 2 e 76, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 (un mese di reclusione ed euro 100 di multa), il Giudice è pervenuto ad una pena di un anno, mesi quattro di reclusione ed euro 2.400,00 di multa ed applicato, previa riduzione per il rito, la pena di mesi dieci di reclusione ed euro 1.600,00 di multa a fronte di una pena che non avrebbe potuto assestarsi, ex art. 444 cod. proc. pen., sotto quella di mesi dieci e giorni venti di reclusione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del Procuratore generale deve essere rigettato.
Il Procuratore ricorrente censura la parte della decisione che, recependo l’accordo delle parti ed applicando la pena ex art. 444 cod. proc. pen. in relazione ai delitti di resistenza a pubblico ufficiale, illecita detenzione di sostanza stupefacente ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 e contravvenzione ex artt. 2 e 76 d.lgs. n. 159 del 2011, avrebbe – in definitiva – applicato a NOME COGNOME una pena illegale, sia perché la pena sarebbe stata determinata prevedendo un aumento anche per quella pecuniaria non previsto dall’ipotesi di cui all’art. 337 cod. pen. che – si assume – sarebbe stato individuato come reato più grave, sia perché il Giudice avrebbe poi operato una diminuzione di pena superiore a quella prevista dall’art. 444 cod. proc. pen.
Deve, innanzitutto premettersi che sussiste ormai solido indirizzo ermeneutico (Sez. U, n. 47182 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283818 – 01, Sez. 2, n. 28306 del 25/06/2021, COGNOME, Rv. 281804) secondo cui «Qualora la pena concretamente irrogata rientri nei limiti edittali, l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della misura della diminuente, prevista per un reato contravvenzionale giudicato con rito abbreviato, integra un’ipotesi di pena
illegittima e non già di pena illegale». Le Sezioni Unite COGNOME hanno ribadito il principio di diritto secondo cui la pena è illegale, «non quando consegua ad una mera erronea applicazione dei criteri di determinazione del trattamento sanzionatorio, alla quale l’ordinamento reagisce approntando i rimedi processuali delle impugnazioni, ma solo quando non sia prevista dall’ordinamento giuridico ovvero sia superiore ai limiti previsti dalla legge o sia più grave per genere e specie di quella individuata dal legislatore»; pertanto, gli errori nell’applicazione delle diverse discipline che regolano la commisurazione della pena realizzano una pena illegale quando la stessa, per come complessivamente determinata, «è per genere, specie o per valore minimo o massimo diversa da quella che il legislatore ha previsto per il tipo (o sottotipo) astratto al quale viene ricondotto il fatto storic reato» (cfr. motivazione Sezioni Unite COGNOME, cit.).
Costituisce, infatti, ius receptum quello secondo cui non integra una ipotesi di illegalità della pena il vizio nell’iter di determinazione della sua entità, cui s sarebbe comunque pervenuti attraverso una diversa modulazione dei passaggi intermedi, a partire dall’individuazione della pena base e fino agli aumenti o alle riduzioni per le singole circostanze concorrenti (cfr., ad esempio, Sez. 6, n. 32243 del 15/07/2014, COGNOME, Rv. 260326-01; Sez. 6, n. 22136 del 19/02/2013, COGNOME, RV. 255729-01; Sez. 2, n. 20275 del 07/05/2013, Stagno, Rv. 255197-01).
Si è precisato, infatti, che anche quando alla quantificazione della pena il giudice sia pervenuto a seguito dell’erronea applicazione del giudizio di comparazione tra circostanze eterogenee concorrenti, la pena può dirsi illegale soltanto quando essa ecceda i limiti edittali generali previsti dagli artt. 23 e seguenti, nonché quelli di cui agli artt. 65 e 71 e seguenti, cod. pen., oppure i limiti edittali previsti per le singole fattispecie di reato, essedo irrilevante che passaggi intermedi che portano alla sua determinazione siano stati computati in violazione di legge (fattispecie relativa a procedimento di applicazione della pena, cfr., Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886 – 01, principio ribadito da Sez. U, n. 5352 del 28/09/2023, dep. 2024, P., Rv. 285851 -01).
4. Proprio con riferimento alla determinazione della pena ed eventuale sua illegalità in materia di patteggiannento (la cui impugnabilità è consentita, tra l’altro, in ipotesi di sua illegalità), sussiste conforme indirizzo interpretativo secondo cui, ai fini della verifica della congruità della sanzione, con riguardo all’aumento di pena per la continuazione, non vi è necessità di una esplicita motivazione in ordine all’aumento della pena posta a base del calcolo, ma è sufficiente la valutazione della pena finale, purché non illegale (Sez. 6, n. 7401 del 31/01/2013, Gjataj Rv, 254879 – 01), principio di diritto che rende palese come l’ordinamento si
disinteressi dei singoli aumenti di pena, disgiunti dall’entità dell’individuata pena finale.
Ed infatti, proprio in ipotesi di applicazione della pena su richiesta delle parti, può ritenersi ormai consolidato il principio di diritto a mente del quale la pena irrogata per il reato continuato che sia priva di indicazioni relative all’aumento per i reati meno gravi, non è illegale nel caso in cui comunque non superi né il limite interno, corrispondente al triplo della pena-base, né il limite esterno, previsti) dall’art. 81, comma·terzo, cod. pen., in base al quale la pena non può essere superiore a quella applicabile in base al cumulo materiale dei reati (Sez. 6, n. 40047 del 12/09/2022, Novaglio, Rv. 283943 – 01).
In ipotesi di reato continuato, pertanto, proprio come nel caso sottoposto a vaglio, l’illegalità della pena deve essere apprezzata prendendo quale parametro i limiti edittali previsti dall’art. 81 cod. pen.
Ciò premesso in ordine a cosa debba intendersi, specie nell’ambito del giudizio concluso con l’applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 444 e seguenti cod. proc. pen., “illegalità della pena”, ipotesi che consente di impugnare la decisione adottata all’esito di detto rito speciale, risulta innanzitutto erronea la premessa che è alla base del ricorso secondo cui il Tribunale avrebbe individuato quale reato più grave il delitto di cui all’art. 337 cod. pen. e poi quantificato la complessiva pena prevedendo, oltre a quella detentiva, anche quella pecuniaria non contemplata da detta fattispecie.
5.1. La circostanza, infatti, che il Tribunale sia partito dalla pena base di un anno di reclusione ed euro 2.100,00 di multa rende invece evidente come sia stato ritenuto più grave proprio il delitto di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990; tale evenienza è corroborata dal fatto che l’ipotesi lieve citata, in ragione dell’aumento di pena di cui al d.l. del 15 settembre 2023 n. 123, già in vigore all’epoca del commesso reato (il 6 maggio 2024), che ha aumentato a cinque anni di reclusione la pena massima edittale in precedenza individuata in anni quattro’ è fattispecie più grave rispetto all’art. 337 cod. pen. che, a parità di mena detentiva, non contempla quella pecuniaria.
La compatibilità e corrispondenza tra la pena attualmente prevista dall’art. 73, comma 5, d.P.R. cit. e quella ritenuta in sentenza come pena più grave implica che il riferimento al “capo 2” ivi riportato costituisca un mero errore materiale, in verità già contenuto nella richiesta di patteggiamento verbalizzata, da ritenersi però non determinante ai fini della dedotta illegalità della pena.
5.2. Infondato risulta, per quanto sopra evidenziato in ordine a cosa debba intendersi per “pena illegale”, il dedotto errore di calcolo del Tribunale che, pur dando atto della riduzione di un terzo per il rito prescelto, è pervenuto ad una
quantificazione della pena detentiva inferiore rispetto a quella che sarebbe stata all’esito di un corretto calcolo matematico.
Deve, allora, rilevarsi come la complessiva pena di dieci mesi di reclusione ed euro 1.600 di multa irrogata per le tre ipotesi contestate ai capi 1), 2) e 3), pena alla quale il Tribunale è pervenuto all’esito della riduzione di un terzo, non costituisca pena illegale, in quanto la pena finale risulta determinata nei limiti imposti dall’ad: 81 cod. pen..
Alla luce di quanto sopra evidenziato consegue il rigetto del ricorso del Procuratore generale.
P.Q.M.
Rigetto il ricorso.
Così deciso il 19/11/2024.