LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Pena illegale: Cassazione su ricorso EPPO inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore Europeo Delegato (EPPO) contro una sentenza di patteggiamento per contrabbando doganale. Il giudice di primo grado aveva erroneamente applicato solo una pena pecuniaria, bilanciando attenuanti e aggravanti. La Cassazione ha qualificato tale sanzione come una ‘pena illegale’ favorevole al reo. Tuttavia, in assenza di uno specifico motivo di gravame del PM sull’illegalità della pena, e dato che il ricorso EPPO si concentrava su una questione di costituzionalità ritenuta irrilevante e mal posta, la Corte ha confermato l’inammissibilità, non potendo intervenire d’ufficio per peggiorare la posizione dell’imputato (divieto di ‘reformatio in peius’).

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena illegale: quando la Cassazione non può correggere l’errore del giudice

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 30371 del 2024, offre un’importante lezione sul concetto di pena illegale e sui limiti del potere di correzione del giudice dell’impugnazione. Il caso, originato da un ricorso del Procuratore Europeo Delegato (EPPO), riguarda un reato di contrabbando doganale sanzionato in modo più mite rispetto a quanto previsto dalla legge. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati dalla Suprema Corte.

Il caso: contrabbando e applicazione della pena su richiesta

Il procedimento nasce a carico di un imprenditore e della sua società per reati di contrabbando doganale ed evasione dell’IVA all’importazione, relativi a ingenti quantitativi di concentrato di pomodoro. Le parti avevano concordato, tramite un ‘patteggiamento’, l’applicazione di una pena pecuniaria di 19.800 euro per l’imputato e una sanzione di 26.700 euro per la società.

Il Giudice dell’udienza preliminare (GUP) aveva accolto la richiesta, ritenendo le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante contestata. L’aggravante in questione era significativa: i diritti di confine evasi superavano i 100.000 euro, una soglia che, secondo la normativa, trasforma il reato e prevede l’applicazione di una pena detentiva (reclusione da tre a cinque anni) oltre alla multa.

L’intervento e il ricorso del Procuratore Europeo Delegato

Il Procuratore Europeo Delegato (EPPO) ha impugnato la sentenza, non contestando l’errore di calcolo della pena, bensì sollevando una questione di legittimità costituzionale. Secondo il ricorrente, la norma nazionale che permetteva di applicare la sola pena pecuniaria in certi casi di contrabbando sarebbe stata in contrasto con le direttive europee (Direttiva PIF) e con la legge delega nazionale, che impongono sanzioni penali effettive e dissuasive, inclusa la reclusione, per i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione Europea.

La decisione della Cassazione sulla pena illegale

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso del Procuratore Europeo inammissibile per una serie di ragioni procedurali e sostanziali. La Corte ha innanzitutto chiarito che il GUP aveva commesso un errore nell’applicare la pena. L’aggravante dei diritti evasi superiori a 100.000 euro non era una semplice circostanza da bilanciare con le attenuanti, ma un elemento che, per espressa previsione di legge (D.Lgs. n. 8/2016), trasforma il reato in una fattispecie autonoma, più grave, che non può essere depenalizzata tramite il giudizio di bilanciamento.

Di conseguenza, il giudice avrebbe dovuto applicare la pena prevista per questa fattispecie autonoma, che include la reclusione, e solo successivamente applicare la diminuzione per le attenuanti generiche. Applicando la sola pena pecuniaria, il GUP ha inflitto una pena illegale perché di specie diversa e quantitativamente inferiore a quella prevista dalla legge.

L’inammissibilità del ricorso e il divieto di ‘reformatio in peius’

Nonostante il riconoscimento della pena illegale, la Cassazione ha spiegato di non poterla correggere. La ragione risiede in un principio fondamentale del nostro ordinamento: il divieto di ‘reformatio in peius’. Un giudice non può peggiorare la posizione dell’imputato nel giudizio di impugnazione, a meno che non vi sia un ricorso specifico del pubblico ministero che lamenti proprio l’eccessiva mitezza della pena.

Nel caso di specie, il ricorso dell’EPPO non era finalizzato a denunciare l’illegalità della pena inflitta in favore del reo, ma a sollevare una questione di costituzionalità. Pertanto, mancando un motivo di gravame specifico su quel punto, la Corte non aveva il potere di intervenire d’ufficio per applicare la pena detentiva corretta, in quanto ciò avrebbe peggiorato la posizione dell’imputato.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su diversi pilastri. In primo luogo, la questione di costituzionalità sollevata dall’EPPO è stata ritenuta irrilevante per il caso di specie, che riguardava una fattispecie aggravata la cui natura penale non è mai stata messa in discussione. In secondo luogo, il ricorso dell’EPPO era viziato da un errore tecnico (‘aberratio ictus’), poiché indicava una norma errata come oggetto della censura di incostituzionalità. Infine, la richiesta mirava a ottenere un effetto ‘in malam partem’ (a sfavore dell’imputato) con efficacia retroattiva, in palese contrasto con i principi costituzionali.

La Corte ha quindi ribadito che, sebbene la pena applicata fosse illegale ‘ab origine’ perché favorevole all’imputato, essa può essere corretta solo in presenza di un’impugnazione del PM che verta specificamente su tale illegalità. Il ricorso dell’EPPO, focalizzato su altri aspetti, ha precluso alla Corte la possibilità di intervenire.

Le conclusioni

Questa sentenza sottolinea l’importanza della precisione tecnica nella formulazione dei motivi di ricorso. Anche di fronte a un errore evidente come l’applicazione di una pena illegale, i poteri del giudice dell’impugnazione sono limitati dai principi di garanzia per l’imputato, tra cui il divieto di ‘reformatio in peius’. La decisione conferma che l’illegalità di una pena favorevole al reo non può essere sanata d’ufficio in Cassazione; è necessaria un’iniziativa mirata e correttamente argomentata da parte dell’organo di accusa.

Perché la pena applicata dal primo giudice è stata definita ‘illegale’?
La pena è stata definita illegale perché il giudice ha applicato la sola sanzione pecuniaria (multa) a un reato che, a causa di un’aggravante specifica (diritti evasi superiori a 100.000 euro), era stato trasformato dalla legge in una fattispecie autonoma di reato che prevede obbligatoriamente sia la pena detentiva (reclusione) sia quella pecuniaria. La pena inflitta era quindi di una specie diversa e inferiore a quella prevista dalla norma.

Se la pena era illegale, perché la Corte di Cassazione non l’ha corretta?
La Corte di Cassazione non ha corretto la pena perché vigeva il principio del divieto di ‘reformatio in peius’, secondo cui la posizione dell’imputato non può essere peggiorata in appello se non c’è un ricorso specifico del pubblico ministero su quel punto. Poiché la pena illegale era più favorevole all’imputato e il ricorso del Procuratore Europeo non contestava specificamente questo aspetto, la Corte non poteva intervenire d’ufficio per applicare la pena più grave corretta.

Quali sono i motivi per cui il ricorso del Procuratore Europeo è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per un duplice ordine di ragioni: 1) la questione di costituzionalità sollevata è stata ritenuta irrilevante per il giudizio e proceduralmente errata (‘aberratio ictus’, in quanto indicava una norma sbagliata); 2) chiedeva un intervento con effetti peggiorativi (‘in malam partem’) e retroattivi, non consentiti dai principi costituzionali. Inoltre, il ricorso non aveva specificamente dedotto il profilo dell’illegalità della pena favorevole al reo, precludendo l’intervento della Corte su quel punto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati