Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30371 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30371 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE EPPO nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a NOCERA SUPERIORE il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 30/11/2023 del GIP TRIBUNALE di NOCERA INFERIORE udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG AVV_NOTAIO COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta la memoria del difensore, AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’irrilevanza della questione di costituzionalità sollevata dal Procuratore Europeo Delegato.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 30 novembre 2023, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Nocera Inferiore applicava ex art. 444, cod. proc. pen. nei confronti di NOME COGNOME la pena, condizionalmente sospesa, di euro 19.800 di multa, con il concorso di attenuanti generiche equivalenti all’aggravante contestata e ritenuta la continuazione tra i reati ascritti, nonché alla RAGIONE_SOCIALE, la sanzione pecuniaria di euro 26.700,00, riconosciuta la riduzione ex art. 12, comma 2, lett. a), d. Igs. n. 231 del 2001, per i reati di contrabbando doganale, consumato e tentato, ed evasione dell’IVA all’importazione riguardanti ingenti quantità di concentrato di pomodoro proveniente dalla Cina e dell’America, contestati come commessi secondo le modalità esecutive e spazio – temporali meglio descritte nelle imputazioni.
Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il Procuratore Europeo Delegato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un unico motivo, di seguito sommariamente indicato.
2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 282, d.P.R. n. 43 del 1973, con richiesta di sollevare questione di costituzionalità dell’art. 4, d. Igs. n. 75 del 2020, per contrasto con gli artt. 11, 117 e Cost.
In sintesi, il Procuratore Europeo Delegato, premesso di aver concordato con la difesa del COGNOME la pena di euro 19.800,00 di multa per i reati di contrabbando doganale e di evasione dell’IVA all’importazione, tentati e consumati, si duole per avere il Giudice dell’udienza preliminare rigettato la richiesta di sollevare questione di costituzionalità dell’art. 282, d.P.R. n. 43 del 1973 per difetto di rilevanza ne giudizio in quanto avente ad oggetto esclusivamente fattispecie di reato aggravate dall’essere i diritti di confine dovuti superiori ad euro 100.000,00, fattispecie la cu rilevanza penale non è mai stata messa in discussione dalle modifiche normative intervenute con riferimento al predetto d.P.R., sicché, pur non potendosi ritenere la questione non manifestamente infondata, la stessa difetterebbe di rilevanza, non spiegando l’eventuale accoglimento un’efficacia diretta nel giudizio, definibile anche a prescindere dalla risoluzione della questione.
Tanto premesso, il Procuratore Europeo Delegato ritiene che il Tribunale abbia errato nel rigettare la questione in quanto la pena irrogata sarebbe quella di cui si invoca l’incostituzionalità, atteso l’intervenuto riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti di cui all’art. 295, d.P.R.
n. 43 del 1973, con conseguente applicazione della sola pena pecuniaria della multa e non quella della reclusione. Illustrata quindi l’evoluzione normativa che ha condotto all’attuale legislazione vigente (D.Igs. 15 gennaio 2016, n. 8; direttiva UE 2017/1371 del 5 luglio 2017; Regolamento UE 2017/1939 del 12 ottobre 2017; Legge 4 ottobre 2019, n. 117; D. Igs. 14 luglio 2020, n. 75), sostiene in sintesi il ricorrente – al netto dell’erroneo riferimento normativo operato (art. 4, D.Igs. n. 9 del 2020), da intendersi riferito non all’art. 1, comma 4, D.Igs. n. 8 del 2016, come modificato dall’ art. 4, comma 1, D.Igs. 14 luglio 2020, n. 75, ma all’art. 282, d.p.r. n. 43 del 1973 -, che la disposizione si porrebbe in contrasto con la direttiva U.E. sulla protezione degli interessi finanziari dell’Unione Europea nonché con la legge delega che ne ha previsto il recepimento, con particolare riferimento alla sanzione penale da irrogarsi. Poiché, infatti, il Legislatore europeo avrebbe previsto che le fattispecie individuate dalla direttiva, consistente in violazioni a parti dai 10.000 euro, fossero sanzionate penalmente e con la pena massima della reclusione, consentendo, a giudizio del ricorrente, la previsione di una pena pecuniaria ma solo in via alternativa comunque alla detentiva, la sanzione penale irrogata della sola multa violerebbe la normativa sovranazionale e la legge delega emessa dal Parlamento.
La questione di costituzionalità sarebbe rilevante in quanto la norma di cui si è fatta applicazione, l’art. 282 d.P.R. n. 43 del 1973, prevede la pena della multa a seguito di quanto disposto dall’art. 4, D.Igs. n. 75 del 2020, anziché quella della reclusione. La questione, inoltre, sarebbe non manifestamente infondata, sia per violazione degli artt. 11 e 117, comma 1, Cost. che in contrasto con l’art. 76, Cost. in quanto i principi e criteri direttivi della legge delega n. 119 del 2019, avrebbero imposto l’applicazione della pena detentiva, quantomeno alternativa alla pena pecuniaria.
Il Procuratore generale presso questa Corte, con requisitoria scritta del 19 marzo 2024 ha chiesto il rigetto del ricorso e della questione di costituzionalità ad esso collegata.
In data 30 aprile 2024, l’AVV_NOTAIO, nell’interesse del proprio assistito, ha fatto pervenire memoria con conclusioni scritte, insistendo per l’irrilevanza della questione di costituzionalità sollevata dal Procuratore Europeo Delegato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il Collegio concorda infatti con le conclusioni del Procuratore Generale presso questa Corte che ha condiviso la valutazione del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Nocera Inferiore, laddove ha ritenuto la questione di costituzionalità non rilevante nel giudizio in corso.
Ed invero, va premesso che l’art. 1, comma 1, del d.lgs. 15/01/2016, n. 8, ha previsto che non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda. Il comma 2 della medesima norma ha stabilito che “la disposizione del comma 1 si applica anche ai reati in esso previsti che, nelle ipotesi aggravate, sono puniti con la pena detentiva, sola, alternativa o congiunta a quella pecuniaria. In tal caso, le ipotesi aggravate sono da ritenersi fattispecie autonome di reato”. Non si pone, dunque, alcuna questione di depenalizzazione, atteso che, per espressa previsione normativa, le “ipotesi aggravate” sono state “elevate” a fattispecie autonome di reato (in tal senso anche la giurisprudenza costante di questa Corte: Sez. 3, n. 32868 del 6/07/2022, Rv. 283645 – 01; Sez. 3, n. 4000 del 5/11/2020, dep. 2021, Rv. 281300 – 01; Sez. 4, n. 10156 del 20/10/2020, dep. 2021, non nnassinnata; Sez. 3, n. 15436 del 24/11/2017, dep. 2018, Rv. 272777 – 01; Sez. 4, n. 42285 del 10/05/2017, Rv. 270883 – 01).
3. Va poi ricordato che il comma 4 dell’art. 1, d.lgs. 15/01/2016, n. 8, come modificato dall’art. 4, comma 1, d.lgs. 14 luglio 2020, n. 75, ha statuito che “la disposizione del comma 1 non si applica ai reati di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché ai reati di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, quando l’ammontare dei diritti di confine dovuti è superiore a euro diecimila”.
Il comma 4 del d.lgs. n. 8 del 2016 ha, dunque, escluso l’applicazione soltanto del comma 1 dello stesso d.lgs. – cioè della norma che ha depenalizzato i reati salzrzt=ii per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda ai reati di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, nei soli casi in cui “l’ammontare dei diritti di confine dovuti è superiore a euro diecimila” – ma, come correttamente evidenziato dal PG nella sua requisitoria scritta, non ha impedito l’applicazione del comma 2 della stessa disposizione. Poiché, però, come anticipato, per espressa previsione normativa, i reati circostanziati sono stati trasformati in fattispecie autonome di reato, ciò comporta, evidentemente, che la
trasformazione ope legis della fattispecie circostanziata in reato autonomo impedisce che l’eventuale giudizio di bilanciamento delle circostanze aggravanti con quelle attenuanti possa determinare la condizione necessaria per la depenalizzazione. Le circostanze, invece, operano sulla pena prevista per la fattispecie autonoma di reato circostanziato.
Tanto premesso, nel caso di specie, il procedimento ha ad oggetto soltanto fattispecie di reato aggravate dall’essere i diritti di confine dovuti superior ad euro 100.000 ai sensi dell’art. 295, comma 2, lettera d-bis) del d.P.R. n. 43 del 1973.
Si tratta di fattispecie di cui non è stata messa in discussione dalle modifiche intervenute la rilevanza penale, come correttamente ha evidenziato il Giudice dell’udienza preliminare nell’ordinanza di rigetto della questione di costituzionalità prospettata dal Procuratore Europeo Delegato. Deve ritenersi, pertanto, conformemente a quanto argomentato dal giudice di merito, che la questione di costituzionalità non presenti il requisito della rilevanza in quanto l’eventuale accoglimento di essa non spiegherebbe un’efficacia diretta nel giudizio a quo, che può essere definito anche a prescindere dalla risoluzione della questione.
Il Giudice dell’udienza preliminare, tuttavia, dopo aver ritenuto che la ricorrenza dell’aggravante di aver commesso il fatto per un ammontare dei diritti di confine superiore ad euro 100.000 fondasse il ricorrere della fattispecie aggravata punita, oltre che con la multa, con la reclusione da tre a cinque anni, ha giudicato corretto il riconoscimento delle attenuanti generiche “con giudizio di equivalenza rispetto alla contestata aggravante”, concludendo che tale riconoscimento “implica …l’applicazione della sola pena pecuniaria senza, ovviamente, che venga meno la qualificazione del fatto come delitto”.
Il giudice non ha dunque considerato che, per effetto del riconoscimento dell’aggravante, il reato circostanziato, ai sensi dell’art. 1, comma 4, del d.lgs. n 8 del 2016, è stato trasformato dalla legge in una fattispecie autonoma, con la conseguenza di escludere il giudizio di bilanciamento tra l’aggravante, ormai elemento costitutivo del reato autonomo, e le attenuanti.
Egli, come correttamente evidenzia il PG, avrebbe dovuto applicare la diminuzione della pena per il riconoscimento delle attenuanti generiche sulla pena prevista per la fattispecie autonoma di reato, considerando anche la pena detentiva.
6. La pena pecuniaria applicata è dunque qualificabile come “illegale” perché “non corrisponde, per specie ovvero per quantità (sia in difetto che in eccesso), a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice”, così collocandosi al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal Codice penale (cfr., in sintesi, Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, COGNOME, non mass. sul punto).
L’ambito dell’illegalità della pena, infatti, si riferisce anche ai classici casi illegalità ab origine, costituiti, ad esempio, dalla determinazione in concreto di una pena diversa, per specie, da quella che la legge stabilisce per quel certo reato, ovvero inferiore o superiore, per quantità, ai relativi limiti edittali (Sez. U, n. 8 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886 – 01).
Tuttavia, il giudice dell’impugnazione, nondimeno, in mancanza di uno specifico motivo di gravame da parte del pubblico ministero, non può modificare la sentenza che abbia inflitto una pena illegale di maggior favore per il reo (Sez. 4, n. 9176 del 31/01/2024, Rv. 285873 – 01; Sez. 3, n. 30286 del 09/03/2022, Rv. 283650 – 02; Sez. 2, n. 30198 del 10/09/2020, Rv. 279905 – 01; Sez. 3, n. 34139 del 07/06/2018, Xhixha, Rv. 27367701). Anche nel giudizio di legittimità, l’illegalità ab origine della pena, inflitta in senso favorevole all’imputato, può essere corretta dalla Corte di cassazione solo in presenza di specifico motivo di gravame da parte del pubblico ministero, essendo limitato il potere di intervento d’ufficio, a soli casi nei quali l’errore sia avvenuto in danno dell’imputato essendo anche in detta sede non superabile il limite del divieto della reformatio in peius enunciato espressamente per il giudizio di appello, ma espressione di un principio generale, valevole anche per il giudizio di cassazione (Sez. 3, n. 30286 del 09/03/2022, Rv. 283650 – 02; Sez. 2, n. 22494 del 25/05/2021, Rv. 281453 – 01; Sez. 5, n. 44897 del 30/09/2015, Galiza Lima, Rv. 265529; Sez. 5, n. 771 del 15/02/2000, P.M. in proc. Bosco, Rv. 215727).
7. Nel caso di specie, il Procuratore Europeo Delegato ricorrente, seppur al fine di illustrare la rilevanza della questione di costituzionalità prospettata abbia dedotto la questione dell’illegalità della pena (rilevando che la pena irrogata in concreto è stata individuata previa concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti), non ha espressamente enunciato e argomentato specifici rilievi critici rispetto al giudizio di bilanciamento delle circ stanze, senza dunque dedurre espressamente il preciso aspetto dell’illegalità della pena dapprima rilevato. Ciò che, dunque, preclude la possibilità per questa Corte di intervenire ex officio.
8. La questione di costituzionalità prospettata è, infine,Inammissibile per un duplice ordine di ragioni.’.
Da un lato, perché denuncia l’incostituzionalità della norma censurata errando nell’individuazione delle relative coordinate (come sopra esplicitato). Sul punto, è pacifico nella giurisprudenza della Corte costituzionale che l’inesatta o erronea identificazione della norma oggetto di censura, altrimenti definita come “aberratio ictus”, comporta l’inammissibilità della dedotta questione di costituzionalità (Corte cost., sentenza n. 26/2015 §§ 5 e 7 del “considerato in diritto”; Corte cost., sentenza b. 85/2015, § 3 del “considerato in diritto”; Corte cost., ordinanza n. 187/2015; Corte cost., sentenza n. 49/2015, § 4 del “considerato in diritto”; Corte cost., n. 157/2015, § 4 del “considerato in diritto”).
Dall’altro, perché chiede a questa Corte di sollevare una questione di costituzionalità con effetti in malam partem che mai potrebbe avere effetti retroattivi (Corte cost., sentenza n. 32 del 2020; Corte cost., sentenza n. 278 del 2020).
Il ricorso dev’essere, conclusivamente, dichiarato inammissibile, non conseguendo alcuna statuizione accessoria di condanna, essendo stata proposta l’impugnazione dalla parte pubblica (Sez. U, n. 15 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216705 – 01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso, il 14 maggio 2024