Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 4583 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 4583 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/01/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
R.G.N. 35149/2024
SANDRA RECCHIONE
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Casolaro NOME nato a Casoria il 04/02/1959
avverso la sentenza del 29/04/2024 della Corte di appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alla determinazione della pena pecuniaria e dichiararsi nel resto inammissibile il ricorso;
ricorso trattato in forma cartolare ai sensi dell’art. 611, comma 1bis , cod. proc. pen.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 29/04/2024 la Corte di appello di Firenze confermava la sentenza del Tribunale di Pisa in data 19/07/2017, che aveva condannato NOME COGNOME per il reato di estorsione aggravata.
L’imputato, a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 393 e 629 cod. pen., nonchØ travisamento della prova, illogicità e contraddittorietà della motivazione. Rileva che un approccio formalistico e sganciato dalla dimensione complessiva del fatto ha impedito alla Corte territoriale di giungere alla qualificazione giuridica del reato nei termini di cui all’art. 393 cod. pen.; che, invero, da un lato, i giudici di appello hanno ritenuto che la titolarità del diritto di credito fatto valere dall’odierno ricorrente non spettasse a NOME COGNOME, ma al curatore fallimentare della società RAGIONE_SOCIALE (società amministrata dal Poli, ma poi fallita) e, dall’altro, hanno ritenuto sussistente l’elemento materiale del reato di estorsione, pur in assenza di comportamenti violenti e minacciosi e tenuto conto del reciproco atteggiamento conflittuale tra le parti; che, sotto il primo profilo, in relazione alla sussistenza dell’elemento psicologico dell’estorsione, Ł stato apoditticamente ritenuto che il Poli e, dunque, l’odierno ricorrente fossero consapevoli che della riferibilità del rapporto contrattuale alla società; che, sotto il secondo
profilo, la Corte territoriale erra laddove afferma che il COGNOME abbia agito perseguendo una ulteriore propria finalità illecita, avendo trattenuto per sØ la somma di cinquecento euro consegnata da NOME COGNOME, atteso che o l’imputato concorre con il Poli nel reato in contestazione oppure in via autonoma ha commesso un fatto distinto rispetto all’estorsione ascrittagli.
2.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 62 n. 4 cod. pen. e alla circostanza del fatto di lieve entità introdotta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 120 del 2023, nonchŁ illogicità e contraddittorietà della motivazione. Osserva, con riferimento alla circostanza attenuante del danno patrimoniale di particolare tenuità che la vicenda che qui occupa, in particolare il profitto miserrimo ricavato, presenta tutte le caratteristiche per il suo riconoscimento; che, con riferimento alla circostanza attenuante introdotta dalla Corte costituzionale, la sentenza impugnata ha omesso ogni analisi, nonostante sussistessero tutti i presupposti applicativi della diminuente, tenuto conto dell’esiguità dell’utilità pretesa, dell’occasionalità della condotta, dell’assenza di violenza e della minima lesione della sfera di libertà fisica e morale della persona offesa.
2.3. Con il terzo motivo si duole della violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., in relazione alla illegalità della pena pecuniaria irrogata. Evidenzia che all’epoca della commissione dei fatti in contestazione (2010) per l’estorsione aggravata era prevista la pena pecuniaria da euro 1.032,00 ad euro 3.098,00 e che la sentenza di primo grado, pur avendo ritenuto di irrogare la pena nel minimo edittale, aveva poi comminato quella detentiva correttamente, mentre la pena pecuniaria era stata irrogata tenuto conto delle modifiche introdotte dalla legge 27/01/2012 n. 3, che la avevano aumentata ad euro 5.000,00 nel minimo editale e ad euro 15.000,00 nel massimo; che l’illegalità della pena può essere rilevata di ufficio, anche a fronte di un ricorso inammissibile.
2.4. In data 14/01/2025 Ł pervenuta articolata memoria di replica alle conclusioni scritte del Procuratore generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł fondato nei limiti che seguono.
1.1. Il primo motivo Ł inammissibile per ragioni diverse.
In relazione al profilo della astratta tutelabilità in sede giudiziale della pretesa restitutoria avanzata da NOME COGNOME Ł aspecifico, atteso che solo apparentemente si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato, che in proposito ha bene evidenziato come la somma versata dal Poli al PierigŁ, di cui era stata poi richiesta la restituzione con modalità minacciose, fosse un corrispettivo versato in esecuzione di un contratto di cui era parte la società RAGIONE_SOCIALE come il Poli, quale persona fisica, non avesse alcun interesse ad acquisire il capannone oggetto del preliminare di vendita per il quale era stato corrisposto l’acconto, atteso che in quell’immobile era destinato all’esercizio dell’attività di impresa della RAGIONE_SOCIALE come il COGNOME – in ragione della carica ricoperta di legale rappresentante della predetta società – avesse potuto agevolmente constatare in prima persona che la dichiarazione di fallimento aveva determinato nei suoi confronti lo spossessamento di tutti i beni e rapporti giuridici a lui facenti capo nella qualità di amministratore; come, dunque, il Poli fosse ben consapevole della riferibilità del rapporto contrattuale alla società fallita e della circostanza per cui unico legittimato ad agire eventualmente in giudizio era il curatore fallimentare.
Come reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, Ł inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 6, n. 23014 del 29/4/2021, B., Rv. 281521 – 01; Sez. 3, n. 50750 del 15/6/2016, COGNOME, Rv. 268385 – 01; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv.
253849 – 01; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, COGNOME, Rv. 236945 – 01).
In relazione al profilo della sussistenza della condotta estorsiva, inoltre, il motivo non Ł consentito, atteso che Ł costituito da mere doglianze di fatto, tutte finalizzate a prefigurare una rivalutazione alternativa delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimità. Invero, il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non può, quindi, estendersi all’esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa.
Dunque, il dissentire dalla ricostruzione compiuta dai giudici di merito ed il voler sostituire ad essa una propria versione dei fatti, costituisce una mera censura di fatto sul profilo specifico dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, anche se celata sotto le vesti di pretesi vizi di motivazione o di violazione di legge penale, in realtà non configurabili nel caso in esame, posto che il giudice di secondo grado ha fondato la propria decisione su di un esaustivo percorso argomentativo, contraddistinto da intrinseca coerenza logica, avendo evidenziato come nell’incontro del 20/12/2010 il PierigŁ fosse stato pesantemente minacciato e costretto a versare la somma di cinquecento euro, quale acconto sulla maggior somma pretesa, ciò desumendo dalle risultanze della registrazione dell’incontro effettuata dalla persona offesa.
Quanto al perseguimento dell’ulteriore finalità illecita, propria del Casolaro, i giudici di merito hanno valorizzato la ricezione della somma di cinquecento euro da parte del PierigŁ, che si aggiunge a tutti gli altri elementi sopra evidenziati, che già da soli escludono la possibilità di poter sussumere la condotta criminosa tenuta dal ricorrente nella fattispecie di cui all’art. 393 cod. pen. Anche con riferimento a tale profilo il ricorso non si misura con la motivazione della sentenza impugnata, limitandosi a denunciare apoditticamente un manifesto errore di percezione della prova e non considerando che la Corte territoriale ha messo in risalto come l’esborso della somma di denaro da parte della persona offesa, trattenuta dal COGNOME, fosse stato sollecitato in ragione dell’interesse che soggetti di origine campana, rappresentati dall’imputato, avevano al recupero di quanto prestato al Poli.
1.2. Il secondo motivo Ł per un verso manifestamente infondato, per altro verso non consentito.
1.2.1. Quanto alla circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen., ne Ł stata esclusa l’applicabilità in considerazione dell’entità dell’importo estorto dalla persona offesa, pari a complessivi seicento euro, non ritenuto di speciale tenuità (si legge in motivazione che si tratta di «somma non certo irrisoria e superiore al limite entro il quale si può ritenere applicabile la circostanza attenuante»). Orbene, rileva il Collegio che danno patrimoniale modesto, lieve o comunque non grave non equivale a danno di speciale tenuità, che deve essere di valore economico pressochØ irrilevante: invero, per la sussistenza dell’attenuante di cui al n. 4 dell’art. 62 cod. pen., la legge richiede che il danno sia specialmente tenue e, cioŁ, non solo lieve, ma di minima rilevanza economica, di talchŁ un danno non grave o di modesta rilevanza, mentre può costituire un utile elemento ai fini della quantificazione della pena o della concessione delle circostanze attenuanti generiche, non riveste quel carattere di speciale tenuità richiesto dall’art. 62 n. 4 cod. pen.
1.2.2. Quanto alla circostanza del fatto di lieve entità, introdotta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 120 del 2023, il Collegio intende dare continuità all’orientamento secondo il quale non Ł deducibile con ricorso per cassazione l’omessa motivazione del giudice di appello in ordine al denegato riconoscimento di tale diminuente ove la questione, già proponibile in quella sede, non sia stata prospettata nel secondo grado di giudizio con motivi aggiunti ovvero in sede di formulazione delle conclusioni (Sez. 2, n. 754 del 24/10/2024, dep. 2025, COGNOME, n.m.; Sez. 2, n. 19543 del
27/03/2024, G., Rv. 286536 – 01). Va, in proposito, evidenziato che l’art. 597, comma 5, cod. proc. pen attribuisce al giudice di appello, a prescindere da una specifica richiesta dell’interessato, la facoltà di applicare d’ufficio anche una o piø circostanze attenuanti; che tale potere officioso costituisce, tuttavia, una eccezionale deroga al principio devolutivo ed Ł espressione della fisiologica valutazione di puro merito che compete al giudice di appello in presenza di elementi di fatto che ne consentano ragionevolmente il riconoscimento; che lo «stretto nesso tra ufficiosità, eccezionalità e discrezionalità del potere attribuito al giudice di appello esclude che il suo mancato esercizio possa configurare un vizio deducibile in cassazione»; che, dunque, la «non decisione» in appello su un beneficio che può essere riconosciuto anche d’ufficio – di cui la parte avrebbe comunque potuto sollecitarne l’esercizio – non Ł denunciabile come vizio di motivazione per mancanza e, neppure, come violazione di norma processuale stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, tale non essendo l’art. 597, comma 5, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno, Rv. 275376 – 01, in motivazione, con riferimento al profilo della sospensione condizionale della pena).
Siffatta impostazione non Ł in contrasto con i plurimi arresti che hanno affermato che nel giudizio di cassazione Ł rilevabile d’ufficio, anche in caso di inammissibilità del ricorso, la nullità sopravvenuta della sentenza impugnata nel punto relativo alla determinazione del trattamento sanzionatorio in conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma attinente alla determinazione della pena (da ultimo: Sez. 2, n. 39988 del 12/09/2024, Bejzak, n.m.; Sez. 2, n. 19938 del 15/5/2024, COGNOME Rv. 286432 – 01; Sez. 2, n. 4365 del 15/12/2023, dep. 2024, C., Rv. 285862 – 01, la quale, in applicazione di tale principio, ha annullato con rinvio la sentenza impugnata, rimettendo al giudice di merito la quantificazione della pena, proprio in ragione della sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 629 cod. pen. a opera della sentenza della Corte costituzionale n. 120 del 2023). Invero, tali decisioni sono intervenute in fattispecie nelle quali – diversamente da quella che si sta scrutinando – il giudizio di appello era stato celebrato prima della pronuncia della Corte costituzionale, di talchŁ mai la questione avrebbe potuto essere sollevata nel giudizio di secondo grado.
1.3. Coglie, invece, nel segno il terzo motivo.
Sul punto, si osserva che la pena pecuniaria prevista dall’art. 629, comma secondo, cod. pen. ratione temporis , considerato che il reato Ł stato commesso mediante condotte poste in essere dal 21/07/2010 al 20/12/2010, era quella della multa da euro 1.032,00 ad euro 3.098,00. Orbene, la sentenza di primo grado, pur avendo ritenuto di irrogare la pena nel minimo edittale, aveva poi comminato quella detentiva correttamente (fissandola in anni sei di reclusione), mentre la pena pecuniaria era stata irrogata nella misura di euro 5.000,00, dunque, secondo le modifiche introdotte dalla legge 27/01/2012 n. 3, che la avevano aumentata ad euro 5.000,00 nel minimo editale e ad euro 15.000,00 nel massimo. Trattasi di pena illegale, in quanto determinata in misura superiore ai limiti edittali vigenti al momento della commissione del fatto, una pena dunque che si colloca al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal codice penale, perchØ diversa per quantità da quella positivamente prevista.
Rileva il Collegio che la giurisprudenza di legittimità ha piø volte avuto cura di precisare, anche nella sua piø autorevole composizione (Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283689 – 01), che l’illegalità della pena può essere rilevata di ufficio, anche a fronte di un ricorso inammissibile (Sez. 5, n. 13787 del 30/01/2020, COGNOME, Rv. 279201 – 01; Sez. 4, n. 17221 del 02/04/2019, COGNOME, Rv. 275714 – 01; Sez. 2, n. 7188 del 11/10/2018, dep. 2019, NOMECOGNOME Rv. 276320 – 01). Nel caso di specie, disponendo di tutti gli elementi per rideterminarla, posto che il Tribunale ha inteso irrogare la sanzione nel minimo edittale, la pena pecuniaria va fissata nella misura di euro 1.032,00 di multa.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla pena pecuniaria, che determina in euro 1.032 di multa. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così Ł deciso, 29/01/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME