Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 35840 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 35840 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 11/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Catania il giorno DATA_NASCITA rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO – di fiducia avverso la sentenza in data 21/9/2023 della Corte di Appello di Catania
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale del procedimento;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta con la quale il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME, ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla pena pecuniaria inflitta con rinvio alla Corte di appello di Catania per un nuovo giudizio e dichiararsi inammissibile il ricorso nel resto;
letta la memoria difensiva datata 30/7/2024 nell’interesse del ricorrente ed a firma dell’AVV_NOTAIO.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 21 settembre 2023 la Corte di Appello di Catania, per la parte che in questa sede interessa, ha confermato la sentenza in data 15 novembre 2017 del Tribunale della medesima città con la quale, all’est° di giudizio abbreviato, era stata affermata la penale responsabilità di NOME COGNOME in relazione al reato di cui all’art. 648, comma 2, cod. pen. (ricettazione di due buste contenenti monili in oro di provenienza furtiva) accertato in Catania il 28 gennaio 2016.
Ricorre per cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell’imputato, deducendo:
2.1. Inosservanza degli artt. 2, comma 4 e 648, comma 2, cod. pen. (quest’ultimo nella formulazione risalente al momento del fatto contestato) in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.
Osserva, al riguardo, la difesa del ricorrente che il reato in contestazione risulta commesso il 28 gennaio 2016 e che a quella data l’art. 648 cod. pen. era composto da soli tre commi il secondo dei quali indicava il massimo della pena pecuniaria comminabile «… sino ad euro 516».
La Corte di appello non avrebbe però tenuto conto della successione della legge penale nel tempo ed avrebbe dovuto applicare la norma più favorevole vigente all’epoca dei fatti, limitandosi per contro ad affermare che non sarebbe stato superato il massimo edittale per la pena pecuniaria «avendo il primo giudice inflitto quella di 400,00 euro di multa (ridotta per il rito, muovendo da eur 600,00) a fronte di una forbice edittale in realtà compresa, per l’art. 648, comma 4, cod. pen. tra un minimo non specificato e quindi non inferiore ad euro 50,00 (ex art. 24 cod. pen.) e un massimo fino ad euro 1.000,00» in tal modo applicando una disposizione di legge introdotta solo nel 2021.
2.2. Erronea applicazione dell’art. 648 cod. pen. e, in subordine, inosservanza dell’art. 712 cod. pen., nonché illogicità della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.
Rileva, al riguardo, parte ricorrente l’insussistenza del dolo specifico richiesto per la configurabilità del reato di cui all’art. 648 cod. pen. non essend stata provata l’esistenza di collegamenti tra il fatto di reato presupposto (il fur ed il suo autore) e l’imputato.
In via subordinata, prosegue la difesa del ricorrente, la condotta contestata avrebbe dovuto essere ricondotta nell’alveo della fattispecie di cui all’art. 712 cod. pen.
Con memoria datata 30 luglio 2024 la difesa del ricorrente ha ribadito le argomentazioni contenute nel primo motivo di ricorso e, con riferimento al secondo
motivo di ricorso, ha rilevato come il mero possesso da parte dell’imputato dei monili di cui all’imputazione non costituisce elemento indiziario tale da dimostrare la consapevolezza dell’origine delittuosa dei beni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è fondato.
All’epoca dei fatti contestati (2016) la violazione dell’art. 648, comma 2 (oggi comma 4), cod. pen. era punita sotto il profitto della pena pecuniaria con la multa “sino ad euro 516”.
Il Tribunale, ritenendo la ricorrenza dell’ipotesi attenuata di cui al comma 2 dell’art. 648 cod. pen., ha inflitto al COGNOME (oltre alla pena detentiva) la mult euro 400,00 già ridotta per il rito abbreviato, quindi determinata in origine in eur 600,00.
In realtà, anche a voler applicare il massimo della sanzione pecuniaria, la stessa all’esito del procedimento non avrebbe potuto essere superiore ad euro 344,00 (euro 516 meno 1/3).
La Corte di appello è, a sua volta, caduta nel medesimo errore facendo riferimento ad un regime sanzionatorio, più sfavorevole all’imputato, entrato in vigore solo in epoca successiva all’accertamento del reato essendo i nuovi limiti edittali estati introdotti con il d.lvo. 8 novembre 2021, n. 195.
Ci si trova quindi in presenza dell’irrogazione di una pena illegale che impone l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Catania.
Manifestamente infondato e, per l’effetto inammissibile, è, invece, il secondo motivo di ricorso.
La Corte di appello risulta, infatti, essersi correttamente conformata al consolidato orientamento di questa Corte Suprema, a parere della quale (per tutte, Sez. 2 n. 29198 del 25/5/2010, Fontanella, Rv. 248265), ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede; in tal modo, non si richiede all’imputato di provare la provenienza del possesso delle cose, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso delle cose medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova per le parti e per i poter officiosi del giudice, e che comunque possano essere valutati da parte del giudice
di merito secondo i comuni principi del libero convincimento (in tal senso, Se n. 35535 del 12/7/2007, COGNOME, Rv. 236914).
Analogamente la Corte di appello risulta avere adeguatamente motivato in ordine all’impossibilità di procedere alla richiesta derubricazione de contestato in quello di cui all’art. 712 cod. pen.
Poiché l’annullamento concerne esclusivamente il profilo sanzionator della sentenza impugnata deve essere dichiarata ex art. 624, comma 2, cod. pr pen. l’irrevocabilità dell’affermazione di responsabilità dell’imputato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla misura della multa, e rinvi nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Catania. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso ed irrevocabile l’affermazi responsabilità.
Così deciso il giorno 11 settembre 2024.