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Pena illegale: Cassazione annulla il patteggiamento

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di patteggiamento che subordinava l’applicazione della pena al risarcimento di un danno non quantificato. Tale condizione, non prevista dalla legge, rende la sanzione una pena illegale, motivo per cui il ricorso del Procuratore Generale è stato accolto, annullando la decisione del Tribunale senza rinvio.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena illegale: la Cassazione annulla il patteggiamento condizionato al risarcimento

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26764 del 2025, ha affrontato un caso cruciale riguardante i limiti del patteggiamento, stabilendo un principio fondamentale: l’applicazione della pena non può essere subordinata al risarcimento del danno. Questa decisione ribadisce la necessità di rispettare rigorosamente le forme e le tipologie di sanzioni previste dal nostro ordinamento, definendo come pena illegale qualsiasi statuizione che esuli da tali confini.

I fatti del processo

Il caso nasce dal ricorso del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Trento contro una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale locale. In base all’accordo tra le parti, il giudice aveva applicato la pena concordata, subordinandone però l’efficacia al “versamento della somma a risarcimento del danno entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza”.

Il Procuratore ha impugnato la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo che tale condizione rendesse la pena comminata illegale. Il nostro sistema giuridico, infatti, non prevede la possibilità di condizionare l’applicazione di una sanzione penale al risarcimento del danno, specialmente quando quest’ultimo non è stato nemmeno definito e quantificato nel suo ammontare.

La decisione della Corte di Cassazione: una pena illegale

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendolo ammissibile e fondato. I giudici hanno confermato che la condizione apposta dal Tribunale configura un’ipotesi di pena illegale, consentendo quindi il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.

L’impossibilità di correggere l’errore

Il ricorrente aveva anche ipotizzato che il giudice di primo grado potesse aver commesso un semplice refuso, intendendo in realtà subordinare non la pena, ma la concessione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno (beneficio previsto dall’art. 163 c.p.).

Tuttavia, la Cassazione ha escluso questa possibilità. Nella sentenza impugnata e negli atti del processo non vi era alcun riferimento alla sospensione condizionale della pena. Pertanto, non essendo chiaro il contenuto effettivo della volontà del giudice, non era possibile procedere a una mera correzione dell’errore materiale ai sensi dell’art. 130 c.p.p. La statuizione era talmente ambigua e anomala da non poter essere sanata.

Le motivazioni della Corte

La motivazione della Corte si fonda su un principio cardine del diritto penale: il principio di legalità della pena. Una sanzione può essere applicata solo se e come previsto dalla legge. Il giudice ha subordinato l’applicazione stessa della pena a una condizione – il risarcimento di un danno indefinito e non liquidato – che è “sconosciuta al sistema legale delle pene, per come risulta dal codice penale”.

Questo vizio non è una semplice irregolarità, ma incide sulla natura stessa della sanzione, rendendola intrinsecamente illegale. La Corte ha quindi ribadito che il patteggiamento, pur essendo un rito premiale basato sull’accordo delle parti, non può derogare ai principi fondamentali dell’ordinamento penale, tra cui la tipicità e legalità delle pene.

Le conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata. La decisione chiarisce che l’accordo tra le parti nel patteggiamento non può introdurre condizioni o modalità di esecuzione della pena non previste dalla legge. Subordinare la pena al risarcimento del danno crea una sanzione atipica e, pertanto, una pena illegale. Questa pronuncia rafforza le garanzie legali nel processo penale, assicurando che anche nei riti alternativi le sanzioni applicate siano sempre conformi ai modelli previsti dal legislatore.

È possibile subordinare l’applicazione di una pena concordata con il patteggiamento al risarcimento del danno?
No, la sentenza stabilisce che subordinare l’applicazione della pena al risarcimento di un danno, peraltro non definito né quantificato, costituisce una statuizione sconosciuta al sistema legale e rende la pena stessa illegale.

Perché la Corte non ha semplicemente corretto l’errore del giudice, ipotizzando che volesse riferirsi alla sospensione condizionale della pena?
La Corte ha ritenuto impossibile correggere l’errore perché dalla sentenza e dagli atti processuali non emergeva alcun riferimento al beneficio della sospensione condizionale. L’incertezza sul contenuto effettivo della decisione ha impedito una semplice correzione.

In quali casi è possibile ricorrere in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
La sentenza fa riferimento all’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., che consente il ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento, tra gli altri motivi, proprio quando è stata applicata una pena illegale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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