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Pena eccessiva: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso contro una condanna per spendita di monete false, in cui l’imputata lamentava una pena eccessiva. La Corte ha stabilito che la determinazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito. Poiché la sentenza impugnata era ben motivata, tenendo conto anche dei precedenti penali dell’imputata, e il ricorso era generico, è stato respinto con condanna al pagamento delle spese e di una somma alla Cassa delle ammende.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena Eccessiva: Quando la Cassazione Dichiara il Ricorso Inammissibile

La percezione di aver subito una pena eccessiva è una delle ragioni più comuni che spingono un imputato a impugnare una sentenza di condanna. Tuttavia, non è sufficiente lamentare genericamente l’entità della sanzione per ottenere una riforma in Cassazione. Una recente ordinanza della Suprema Corte ci offre un chiaro esempio dei requisiti necessari per un ricorso efficace e dei limiti all’intervento del giudice di legittimità sulla discrezionalità del giudice di merito.

Il Caso: Dalla Condanna per Monete False al Ricorso in Cassazione

Il caso analizzato riguarda una persona condannata in primo e secondo grado per il reato di spendita e introduzione nello Stato di monete falsificate, previsto dall’art. 455 del Codice Penale. La Corte di Appello di Roma aveva confermato la condanna.

Contro questa decisione, l’imputata ha proposto ricorso in Cassazione, basandolo su un unico motivo: l’eccessività della pena inflitta. Sostanzialmente, la difesa riteneva che la sanzione fosse sproporzionata rispetto alla gravità del fatto commesso.

La Discrezionalità del Giudice e il Rischio di una Pena Eccessiva

Il cuore della questione risiede nel principio della discrezionalità del giudice di merito. Secondo il nostro ordinamento (artt. 132 e 133 c.p.), spetta al giudice che valuta i fatti (Tribunale e Corte d’Appello) stabilire la misura esatta della pena, muovendosi all’interno dei limiti minimi e massimi previsti dalla legge per quel reato.

Questa valutazione deve tenere conto di una serie di fattori, come la gravità del danno, l’intensità del dolo o della colpa e la capacità a delinquere del reo. La Corte di Cassazione, invece, non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, ma può solo verificare che la decisione sia stata motivata in modo logico, coerente e senza violazioni di legge. Contestare una pena eccessiva significa quindi dimostrare un vizio nella motivazione della sentenza, non semplicemente un disaccordo con essa.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per due ragioni fondamentali, strettamente connesse tra loro: la manifesta infondatezza e la genericità del motivo.

Manifesta Infondatezza del Ricorso

I giudici hanno ritenuto il ricorso palesemente infondato perché la Corte d’Appello aveva adempiuto correttamente al suo obbligo di motivazione. Nella sentenza impugnata, si spiegava chiaramente l’impossibilità di ridurre ulteriormente la pena. In particolare, era stato sottolineato come all’imputata fossero già state concesse le attenuanti generiche, nonostante fosse gravata da numerosi e specifici precedenti penali. Questo dimostra che il giudice aveva già operato un bilanciamento a favore dell’imputata, rendendo la richiesta di un’ulteriore riduzione della pena ingiustificata.

Genericità del Motivo di Ricorso

In secondo luogo, il ricorso è stato considerato generico. La legge (art. 581, comma 1, lett. c, c.p.p.) richiede che i motivi di ricorso indichino specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che lo sostengono. Nel caso di specie, la difesa si era limitata a contestare l’entità della pena senza indicare quali elementi fossero stati trascurati o mal valutati dal giudice d’appello.

Questa genericità non consente alla Corte di Cassazione di esercitare il proprio controllo, poiché non vengono forniti gli strumenti per individuare i presunti errori logici o giuridici nella motivazione della sentenza. In assenza di censure specifiche, il ricorso si traduce in una mera richiesta di rivalutazione del merito, preclusa in sede di legittimità.

Le Conclusioni: Conseguenze Pratiche della Decisione

L’ordinanza si conclude con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Tale esito comporta non solo la conferma definitiva della condanna, ma anche l’obbligo per la ricorrente di pagare le spese processuali e di versare una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.

Questa decisione ribadisce un principio fondamentale: per contestare con successo una pena ritenuta eccessiva, non basta affermarlo. È indispensabile articolare una critica precisa e puntuale alla motivazione del giudice, evidenziando dove e perché essa sia illogica, contraddittoria o carente. In mancanza di ciò, il ricorso è destinato all’inammissibilità, con ulteriori conseguenze economiche per il condannato.

È possibile contestare in Cassazione una pena ritenuta eccessiva?
Sì, ma il ricorso non può limitarsi a una generica lamentela. Deve indicare in modo specifico le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che dimostrano un vizio logico o una violazione di legge nella motivazione con cui il giudice ha determinato la pena.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile in questo caso?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile per due motivi principali: era manifestamente infondato, poiché la Corte d’Appello aveva adeguatamente motivato la sua decisione sulla pena, e generico, perché non specificava gli elementi concreti su cui si basava la censura, violando i requisiti dell’art. 581 cod. proc. pen.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
Comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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