Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29840 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29840 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MESSINA il 05/07/1973
avverso la sentenza del 11/02/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
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RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha confermato la pronuncia di primo grado emessa il 7.10.2021 dal Tribunale di Reggio Calabria, con cui NOME COGNOME è stato condannato alla pena – sospesa – di quattro mesi di reclusione per il reato diffamazione ai danni di NOME COGNOME all’epoca Presidente della Corte d’Assise d’appel di Messina.
La diffamazione è contestata in relazione ad un post scritto sul profilo facebook pubblico dell’imputato, in cui si accusava falsamente la persona offesa di trovarsi in situazio incompatibilità ai sensi dell’art. 19 dell’ordinamento giudiziario, avendo il marito e magistrati nel medesimo distretto giudiziario, e di aver emesso provvedimenti in processi n quali il presunto marito sarebbe stato rappresentante della pubblica accusa.
Le affermazioni erano palesemente non veritiere, in quanto la vittima non era sposata co il sostituto procuratore generale indicato come suo coniuge nel post diffamatorio e, inoltre, non aveva figlie, ma solo figli maschi, nessuno dei quali era appartenente alla magistratura.
Ha proposto ricorso l’imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo due div motivi di censura.
2.1. La prima critica mossa alla sentenza impugnata eccepisce violazione di legge e nulli della sentenza in relazione all’art. 180, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
La Corte territoriale si sarebbe limitata a rispondere ai motivi d’appello pro dall’imputato nel suo atto di impugnazione personale e non anche a quelli contenuti nell’appe formulato invece dal suo difensore, di cui si riportano i tratti essenziali (la richiesta di as e di rideterminazione della pena, pur dopo la correzione dell’errore materiale da parte del giu di primo grado, che ha eliminato la sanzione pecuniaria erroneamente inflitta congiuntamente quella detentiva).
2.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia vizio di motivazione carente e comunque insufficiente con riguardo alla scelta di infliggere al ricorrente la pena detentiva piutt quella pecuniaria, alternativamente prevista dall’art. 595, terzo comma, cod. pen., nonostan il caso di specie non rientri tra quelli di eccezionale gravità che la Corte costituzionale meritevoli della più grave sanzione.
Il Sostituto Procuratore Generale della Corte di cassazione ha chiesto con requisito scritta l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio.
Il primo motivo muove da un equivoco e, complessivamente, deduce una ragione di ricorso che non ha basi solide.
La sentenza impugnata ha evocato genericamente l’appello dell’imputato, con un riferimento lessicale prodromico alla trattazione dei motivi, idoneo a comprendere sia l’atto di impugnazi personale proposto, che l’atto di appello del difensore del ricorrente, di cui la difesa lam totale non considerazione.
Ebbene, dal testo del provvedimento impugnato non può desumersi con certezza che la motivazione della Corte di appello sia stata costruita senza il confronto con l’atto di proveniente dal difensore, data la sovrapponibilità sostanziale dei motivi che entrambe impugnazioni dedicano a contestare la configurabilità del reato di diffamazione aggravata.
I giudici di secondo grado si sono dilungati sulla sussistenza degli elementi del rea diffamazione, che è stato ben delineato con riguardo al tenore offensivo della reputazione de espressioni pubblicate sul profilo “NOME COGNOME” del social network facebook ed alla loro non corrispondenza al vero, nonché con riferimento alla diffusività del mezzo usato per propagare parole denigratorie, tanto che esse sono state riprese da testate giornalistiche online.
In tal modo si è fornita risposta sia all’appello dell’imputato, sia a quello del suo di che, nel proprio atto di impugnazione, aveva proposto la questione, manifestamente infondata alla luce delle evidenze di prova emerse, della capacità di un piccolo “blog” di diffonde notizia.
Puntuale risulta, poi, ancorchè sintetica, la quota di motivazione dedicata dalla C territoriale a far comprendere come, nel caso di specie, difettino i presupposti per qual ipotizzabilità della scriminante del diritto di critica o del diritto di cronaca.
La Corte di merito, dunque, ha tenuto conto anche, per quel che è dato evincere, dell’appell della difesa dell’imputato, sicchè il primo motivo di ricorso, con cui si eccepisce la pretermi dell’esame dell’intero atto di impugnazione, è infondato.
Appare fondato, invece, il secondo motivo di ricorso, che, in qualche modo, completa l censura genericamente formulata nel primo motivo e dedicata a contestare un difetto di esame dell’atto di appello del difensore in quanto tale.
Ed infatti, non vi è dubbio che l’atto di impugnazione a firma dell’avvocato difen contemplasse anche una ragione di critica molto ampia, con cui si rappresentava l’illogicità d scelta sanzionatoria del Tribunale, che ha optato per una pena detentiva da infliggere ricorrente, piuttosto che, come possibile in virtù dell’alternatività dell’editto di cui cod. pen., per una pena soltanto pecuniaria.
A tale secondo motivo di appello la Corte territoriale non ha risposto affatto, nonostan specificità degli argomenti difensivi con i quali si contestava la scelta della pena detenti luce delle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza di legittimità, che il Collegio con che vanno in senso opposto.
Questa Sezione ha ritenuto che il ricorso alla pena detentiva come risposta sanzionatoria delitto di diffamazione, a mezzo stampa o non, sia consentito soltanto ove ricorrano circostan eccezionali (Sez. 5, n. 13993 del 17/02/2021, COGNOME, Rv. 281024 – 01).
Secondo un’interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente orientata della norma, invero, l’irrogazione di una pena detentiva, ancorché sospesa, per il del di diffamazione commesso, anche al di fuori di attività giornalistica, mediante mezzi comunica di rapida e duratura amplificazione (nella specie via Internet”), deve essere connessa alla gr lesione di diritti fondamentali, come nel caso di discorsi di odio o di istigazione alla viol
Ove non sia motivata la situazione eccezionale connessa alla grave lesione dei dirit fondamentali che l’ordinamento pone in bilanciamento con il diritto alla libera manifestazione pensiero ex art. 21 Costituzione, la determinazione della pena come detentiva non costituzionalmente giustificata, secondo un’ispirazione ermeneutica che proviene dal affermazioni anche della giurisprudenza del giudice delle leggi (cfr. ord. n. 131 del 2020 e n. 150 del 2021 Corte cost.) ed è stata traslata dalla giurisprduenza di legittimità diffamazione a mezzo stampa sino a qualsiasi forma di diffamazione.
Il reato di cui all’art. 595 cod. pen., infatti, è, tout court, al centro di un delicato e difficile equilibrio tra il diritto alla reputazione personale e il fondamentale diritto alla manifestazione del pensiero.
E’ vero che la giurisprudenza della Corte EDU, cui si richiamano le pronunce della Cort costituzionale e della Corte di cassazione, è stata elaborata con precipuo riferimento proporzione della pena detentiva nell’ambito dell’esercizio del diritto di cronaca e di giornalistica, per l’effetto dissuasivo (c.d. chilling effect) che può determinare sulla espressione della stampa in generale, considerato il “watch -dog” della democrazia.
Tuttavia, la giurisprudenza europea ha attribuito sistematicamente rilievo anche al risc di effetto dissuasivo rispetto alla libertà di manifestazione del pensiero critico anche in re all’esercizio del diritto di critica non connesso con la libertà di stampa (cfr., proprio per di critica diretta nei confronti degli organi giudiziari, Corte EDU, GC, Morice c. Francia, aprile 2015 e Corte EDU, L.P. e Carvalho c. Portogallo, del 8 ottobre 2019), che, sotto il pr della natura e della severità della sanzione che fa da contrappeso alla condotta di cr diffamatoria, si traduce in un monito a limitare la necessità della pena detentiva ai sol eccezionali.
Tali considerazioni valgono anche qualora si sia verificata una rapida e duratu amplificazione degli addebiti diffamatori determinata dai social networks, come nella fattisp in esame e in quella decisa dalla citata sentenza n. 13993 del 2021.
Per tali ragioni, il Collegio ritiene che l’irrogazione di una pena detentiva, ancorché sos per il reato di diffamazione connesso ai mezzi di comunicazione (nella specie, il social net facebook), anche se non commesso nell’ambito dell’attività prettamente giornalistica, possa essere compatibile con la libertà di espressione garantita dall’art. 10 CEDU soltanto in circost
eccezionali, qualora siano stati lesi gravemente altri diritti fondamentali, come, per esemp caso di discorsi di odio o di istigazione alla violenza.
Va rilevato che escludere la pena detentiva – riservandola soltanto ai c.d. discorsi d’o soltanto nelle ipotesi di diffamazione commessa nell’esercizio dell’attività giornal
rischierebbe di generare frizioni con il principio di uguaglianza (art. 3, comma 1, Cost.) e principio di ragionevolezza (art. 3, comma 2, Cost.), prevedendo un trattamento sanzionatori
sfavorevole (la pena detentiva) per fatti di solito connotati da minore gravità e/o diffus dunque complessiva offensività, rispetto a quelli commessi nell’esercizio dell’att
giornalistica.
Pertanto, è fondato il motivo di ricorso riferito alla censura di eccessiva gravosi trattamento sanzionatorio, con speciale riguardo alla necessità di motivare espressamente
puntualmente l’eccezionale gravità della condotta diffamatoria, sola caratteristica che la C
costituzionale ritiene capace di fondare la valutazione di meritevolezza della sanzione deten per il reato di diffamazione.
La Corte di cassazione ha chiarito anche come sia compito del giudice di merito accertare l ricorrenza dell’eccezionale gravità della condotta diffamatoria attributiva di un fatto deter – che implichi una istigazione alla violenza ovvero convogli messaggi d’odio -, cui soltan riconnette la possibilità di applicare una pena detentiva, secondo un’interpretazi costituzionalmente e convenzionalmente orientata (Sez. 5, n. 26509 del 09/07/2020, COGNOME, Rv. 279468).
Ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo esame sul punto alla Corte di Appello di Reggio Calabria, il rigetto del ricorso nel resto.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria. Rigetta nel resto il ricorso.