Pena Delitto Tentato: i Limiti del Ricorso secondo la Cassazione
L’ordinanza n. 8871/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sulla determinazione della pena delitto tentato e sui poteri del giudice d’appello. Quando un reato viene riqualificato da consumato a tentato, come deve essere ricalcolata la sanzione? E quali sono i limiti per contestare tale calcolo in sede di legittimità? La Suprema Corte traccia confini netti, riaffermando la centralità della discrezionalità del giudice di merito, se adeguatamente motivata.
Il Caso in Esame
I fatti processuali riguardano un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello. In secondo grado, il reato originariamente contestato come consumato era stato riqualificato nella sua forma tentata. Nonostante la riqualificazione, l’imputato ha deciso di ricorrere in Cassazione, lamentando due aspetti principali:
1. Una errata quantificazione della pena in relazione all’articolo 56 del codice penale (delitto tentato).
2. Il mancato riconoscimento dell’attenuante del danno di speciale tenuità, previsto dall’articolo 62, n. 4, del codice penale.
La difesa sosteneva, in sostanza, che la pena applicata fosse ancora eccessiva e che il danno causato fosse talmente lieve da giustificare un’ulteriore riduzione della sanzione.
Le Motivazioni: la Discrezionalità del Giudice sulla Pena Delitto Tentato
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo chiarimenti fondamentali su entrambi i punti sollevati. Per quanto riguarda il calcolo della pena delitto tentato, i giudici supremi hanno specificato un principio cruciale: il giudice d’appello, nel riqualificare il fatto, non è tenuto a operare una semplice riduzione matematica sulla pena stabilita in primo grado. Al contrario, deve procedere a una nuova e autonoma determinazione della pena (ex novo), muovendosi all’interno della diversa e più mite forbice edittale prevista per il tentativo. L’unico vincolo è che la pena finale risulti comunque inferiore a quella originaria.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente seguito questa procedura. Aveva individuato una pena all’interno della nuova cornice edittale e aveva ampiamente motivato la sua scelta, facendo riferimento ai criteri di valutazione della gravità del reato indicati nell’articolo 133 del codice penale. Questo esercizio di discrezionalità, se logicamente argomentato, sfugge al sindacato della Corte di Cassazione, il cui compito non è rivalutare il merito della decisione, ma verificare la sua correttezza giuridica e la coerenza della motivazione.
La Valutazione sull’Attenuante del Danno Lieve
Anche il secondo motivo di ricorso, relativo al mancato riconoscimento dell’attenuante del danno di speciale tenuità, è stato respinto. La Cassazione ha ribadito che la valutazione sulla gravità del pregiudizio subito dalla persona offesa è un tipico giudizio di fatto, riservato alla discrezionalità del giudice di merito.
Il sindacato di legittimità può intervenire solo se la motivazione a sostegno del diniego dell’attenuante è manifestamente illogica, contraddittoria o viziata da errori di diritto. Nel caso analizzato, i giudici di merito avevano fornito una giustificazione adeguata per la loro decisione, rendendo la doglianza inammissibile in Cassazione.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza consolida due principi importanti. In primo luogo, rafforza l’ampia discrezionalità dei giudici di merito nel determinare la sanzione penale, specialmente in casi complessi come la riqualificazione da reato consumato a tentato. Un ricorso in Cassazione sulla quantificazione della pena ha scarse probabilità di successo se il giudice di grado inferiore ha fornito una motivazione esauriente e logica.
In secondo luogo, si conferma la natura della Corte di Cassazione come giudice di legittimità, non di merito. Il suo ruolo non è quello di stabilire se una pena sia ‘giusta’ in astratto, ma di controllare che il percorso logico-giuridico seguito per arrivarci sia stato corretto. Pertanto, per gli operatori del diritto, diventa fondamentale concentrare le proprie argomentazioni difensive sulla coerenza e correttezza giuridica delle motivazioni delle sentenze, piuttosto che sulla mera entità della pena inflitta.
Se un reato viene riqualificato da consumato a tentato in appello, come si calcola la nuova pena?
Il giudice d’appello non deve semplicemente ridurre la pena originaria, ma deve determinarla da capo (ex novo), scegliendola all’interno della nuova e più bassa forbice edittale prevista per il delitto tentato. L’unico limite è che la nuova pena sia comunque inferiore a quella decisa in primo grado.
È possibile contestare in Cassazione la quantificazione della pena decisa da un giudice?
No, se il giudice ha esercitato correttamente il suo potere discrezionale e ha motivato la sua decisione in modo logico e sufficiente, facendo riferimento ai criteri legali (come quelli dell’art. 133 c.p.). La Cassazione non può riesaminare il merito di tale valutazione.
Si può fare ricorso in Cassazione per il mancato riconoscimento dell’attenuante del danno di lieve entità?
Generalmente no. La valutazione sull’entità del danno è una questione di fatto riservata al giudice di merito. Un ricorso è ammissibile solo se la motivazione della sentenza impugnata è palesemente illogica, contraddittoria o giuridicamente errata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8871 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8871 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/05/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
considerato che il primo motivo di ricorso, con il quale si contesta la quantificazione della pena in relazione all’art. 56 cod. pen., non è consentito ed è manifestamente infondato in quanto i giudici del merito hanno correttamente esercitato la discrezionalità attribuita, ampiamente esplicitando le ragioni del loro convincimento;
che, invero, in caso di riqualificazione della fattispecie in forma tentata, il giudice dell’appello non è tenuto ad operare la diminuzione sulla pena stabilita dal primo giudice per il corrispondente delitto consumato, dovendo determinare la stessa ex novo nell’ambito della diversa e minore forbice edittale prevista per il tentativo, ferma la necessità di applicare comunque una riduzione rispetto alla pena originaria (Sez. 6, n. 29545 del 07/10/2020, COGNOME, Rv. 279689);
che, nella specie, individuata la pena nell’ambito della cornice edittale della fattispecie tentata ed in misura inferiore a quella originaria, l’onere argomentativo è stato adeguatamente assolto attraverso il richiamo agli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. ritenuti decisivi o rilevanti (si vedano, particolare, pag. 4 e 5);
osservato che l’ulteriore motivo, inerente al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 4, cod. pen., non è consentito in quanto, trattandosi di esercizio della discrezionalità di merito, le statuizioni relative alla valutazione complessiva del pregiudizio subito dalla persona offesa sfuggono al sindacato di legittimità ove l’argomentazione posta a sostegno della decisione sulla non speciale tenuità del danno sia immune da vizi(Sez. 2, n. 28269 del 31/05/2023, COGNOME, Rv. 284868; Sez. 2, n. 50987 del 17/12/2015, Salamone, Rv. 265685), come avvenuto nel caso dispecie (si veda pag. 4);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 23 gennaio 2024.