Pena Concordata in Appello: L’Accordo Chiude la Porta a Futuri Ricorsi
L’istituto della pena concordata in appello, noto anche come ‘patteggiamento in appello’, rappresenta uno strumento processuale cruciale che consente di definire il giudizio in modo più rapido. Tuttavia, la sua scelta comporta conseguenze definitive, come evidenziato da una recente ordinanza della Corte di Cassazione. Il provvedimento chiarisce che, una volta raggiunto l’accordo sulla sanzione, non è più possibile impugnare singoli aspetti del calcolo della pena, come l’aumento per la continuazione tra reati.
I Fatti del Caso
La vicenda processuale ha origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. In quella sede, l’imputato aveva concordato la pena, rinunciando ai motivi di appello relativi alla sua responsabilità per i reati di spaccio di sostanze stupefacenti e ricettazione. Nonostante l’accordo, egli ha successivamente proposto ricorso per Cassazione, lamentando una presunta violazione di legge e un vizio di motivazione specificamente legati all’aumento di pena applicato per la continuazione tra i diversi reati contestati.
La Decisione della Corte sulla Pena Concordata in Appello
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno affermato un principio fondamentale: l’accordo sulla pena, una volta perfezionato, preclude la possibilità di sollevare doglianze che mettano in discussione la determinazione della sanzione patteggiata. Poiché il ricorso dell’imputato verteva proprio su un elemento del calcolo della pena (l’aumento per la continuazione), la Corte ha ritenuto tale lamentela non ammissibile, in quanto coperta dall’accordo precedentemente raggiunto.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su una logica processuale stringente. L’accordo sulla pena è un atto negoziale che implica l’accettazione completa della sanzione finale in cambio di una rinuncia a contestare ulteriormente la decisione. L’imputato, accettando la pena proposta, ha implicitamente accettato anche tutti i criteri di calcolo che hanno portato a quella determinazione, inclusa la valutazione sulla continuazione.
Consentire un’impugnazione successiva su questi aspetti svuoterebbe di significato l’istituto stesso della pena concordata, che mira proprio a una definizione tombale del processo per quanto riguarda l’entità della sanzione. La Corte ha quindi agito de plano, ossia senza udienza, ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis del codice di procedura penale, una procedura accelerata riservata ai ricorsi palesemente inammissibili.
Di conseguenza, in applicazione dell’art. 616 c.p.p., l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza rafforza un principio cardine del nostro sistema processuale: la scelta di concordare la pena è irrevocabile e totalizzante. Gli imputati e i loro difensori devono essere pienamente consapevoli che tale accordo comporta una rinuncia definitiva a contestare qualsiasi aspetto relativo alla quantificazione della pena. La decisione sottolinea l’importanza di una valutazione attenta e ponderata prima di accedere a tale istituto, poiché una volta siglato l’accordo, non vi è più spazio per ripensamenti o contestazioni parziali.
È possibile contestare l’aumento di pena per la continuazione dopo aver concordato la pena in appello?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’accettazione della pena concordata implica la rinuncia a contestare tutti gli elementi che hanno contribuito alla sua determinazione, incluso l’aumento per la continuazione.
Cosa accade se si presenta un ricorso in Cassazione su motivi preclusi dall’accordo sulla pena?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. In casi come questo, la Corte può procedere con rito accelerato ‘de plano’, decidendo sulla base dei soli atti scritti e senza fissare un’udienza.
Quali sono le conseguenze economiche della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, il ricorrente la cui impugnazione è dichiarata inammissibile viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11566 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11566 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SIRACUSA il 16/02/1998
avverso la sentenza del 04/03/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avvis2llJ1i udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RG 38267/24
Rilevato che NOME COGNOME ha concordato la pena in appello, rinunciando ai motivi sulla responsabilità per i reati degli art. 73, commi 1 e 4, .P.R. n. 309 del 1990 e 648 cod. pen.;
Rilevato che l’imputato lamenta la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimen all’aumento per la continuazione;
Rilevato che si tratta di un tipo di doglianza preclusa dopo che l’imputato ha concordato la pena;
Rilevato che il ricorso, da trattarsi de plano ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen. debba essere dichiarato inammissibile e rilevato che alla declaratoria dell’inammissibilit consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente