Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44233 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 44233 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti rispettivamente nell’interesse di: COGNOME NOME, nato in Romania il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nato a Torino il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 22/11/2023 della Corte di appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per la inammissibilità di entrambi i ricorsi; uditi i difensori dei ricorrenti, AVV_NOTAIO, anche in sostituzion dell’avvocato COGNOME, per NOME COGNOME, e NOME COGNOME, per COGNOME, che hanno illustrando i motivi di ricorso e quelli esposti con le successive memorie, chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, ricorrono avverso la sentenza indicata in epigrafe, che, intervenuta a seguito di annullamento con rinvio della sentenza emessa dalla Corte di appello di Torino il 24/09/2019, disposto con sentenza emessa dalla Sezione sesta di questa Corte, n. 15528 del 23/01/2021, ha rideterminato, secondo la qualificazione giuridica di mero partecipe all’associazione tematica di stupefacenti descritta al capo (L) declinata dalla Corte rescindente, la sanzione inflitta al COGNOME in anni 7 e mesi 8 di reclusione, ed ha irrogato al COGNOME la pena -concordata con il P.g., ai sensi dell’art. 599 bis cod. proc. pen.- di anni 8, mesi 10, giorni 20 di reclusione, previa rinunzia ai motivi principali di gravame, e bilanciamento in prevalenza delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche.
I motivi dedotti a sostegno della impugnazione trattano degli argomenti in appresso sinteticamente riportati, secondo quanto dispone l’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
2.1. NOME COGNOME, che ha definito il giudizio di appello con il rito concordatario di cui all’art. 599 bis cod. proc. pen., deduce illegalità della sanzione inflitta per il reato di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico d stupefacenti di ridotta efficacia (haschisch), invita la Corte a sollevare questione incidentale di legittimità costituzionale della forbice sanzionatoria prevista dal legislatore per la partecipazione associativa di settore, che non distingue, a differenza di quanto previsto dalla norma incriminatrice della condotta istantanea di detenzione e cessione, tra associazioni dedite al narcotraffico di droghe c.d. leggere e quelle dedicate al traffico di droghe ad elevato potenziale stupefacente;
2.2. NOME COGNOME deduce violazione e falsa applicazione della legge penale, vizio esiziale di motivazione, non avendo la Corte rescissoria riconosciuto la connessione essenziale, nei termini rilevanti ai fini di quanto dispone l’art. 624, comma 1, cod. proc. pen., tra la qualificazione data dalla Corte rescindente al fatto associativo (mero partecipe, comma 2 dell’art. 74 d.P.R. 309/90 e non organizzatore del sodalizio, secondo quanto previsto al comma 1 dello stesso articolo), la inammissibilità degli altri motivi di ricorso originari, l’esclusione de aggravante di cui al comma 4 del medesimo articolo (annullata per tutti gli altri associati) ed il bilanciamento tra circostanze di segno diverso.
2.3. I medesimi vizi sono denunziati dal ricorrente in riferimento anche alla inosservanza di quanto dispone il comma 5 dell’art. 627 cod. proc. pen., atteso di che il ricorrente deve potersi giovare in sede rescissoria dell’annullamento (relativo a circostanza oggettiva) disposto dalla Corte rescindente in accoglimento del motivo di ricorso giudicato ammissibile, perché proposto dagli altri ricorrenti
definiti dalla Corte “diligenti”, in quanto avevano proposto anche con l’atto di appello quello stesso motivo di doglianza. La Corte di cassazione, qualificato il fatto contestato nei termini di cui al comma 2 dell’art. 74 d.P.R. 309/90, aveva infatti dichiarato inammissibile nel resto il ricorso del COGNOME, che non aveva proposto, come invece altri ricorrenti, il motivo di appello in ordine alla natura armata dell’associazione, che la Corte di cassazione (sollecitata dai ricorsi degli altri coimputati) aveva accolto, annullando sul punto senza rinvio la sentenza della Corte di appello. In proposito, il ricorrente evidenzia che proprio in ragione della diversa qualificazione del livello di partecipazione associativa (da organizzatore vicino al COGNOME a mero esecutore di direttive altrui) risiedono le ragioni per ritenere che il COGNOME non fosse a conoscenza della dotazione di armi del sodalizio, né poteva esserne a conoscenza, non essendo stato riconosciuto organizzatore del sodalizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile, non ricorrendo ragioni di illegalità della pena concordata con la parte pubblica, secondo quanto dispone l’art. 599 bis del codice di rito.
1.1. La sentenza impugnata è stata emessa dalla Corte territoriale ai sensi dell’art. 599-bis, comma 1, cod. proc. pen., introdotto dalla legge n. 103 del 23 giugno 2017. Dispone la norma che la Corte di appello provvede in camera di consiglio anche quando le parti, nelle forme previste dall’articolo 589 dello stesso codice, ne fanno richiesta, dichiarando di concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, previa rinuncia agli altri eventuali motivi. Se i motivi dei quali viene chiesto l’accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il pubblico ministero, l’imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d’accordo.
In seguito alla reintroduzione del concordato in appello, dunque, deve ritenersi nuovamente applicabile il principio elaborato dalla giurisprudenza di legittimità nel vigore del similare istituto già previsto dell’art. 599, comma 4, cod. proc. pen. e successivamente abrogato dal decreto legge n. 92 del 2008 – secondo cui il giudice di appello, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, a causa dell’effetto devolutivo, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi d’impugnazione, limita la sua cognizione ai motivi non rinunciati e a quelli sui quali non è stato raggiunto l’accordo tra le parti; determinando, invero, la rinuncia ai motivi ed il concordato sulla pena (nei limiti della legalità della stessa) una preclusione
processuale che impedisce al giudice di prendere cognizione di quanto deve ritenersi non essergli devoluto (non solo in punto di affermazione di responsabilità).
Consegue che è inammissibile il ricorso per cassazione relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, alle quali l’interessato abbia rinunciato in funzione dell’accordo sulla pena in appello, in quanto il potere dispositivo riconosciuto alla parte dall’art. 599-bis cod. proc. pen., non solo limita la cognizione del giudice di secondo grado, ma ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene per la rinuncia all’impugnazione (Sez. 2, n. 50062 del 16/11/2023, Musella, Rv. 285619 – 01; Sez. 5, n. 29243, del 04/06/2018, Casero Rv. 273194-01; Sez. 4, n. 53565 del 27/09/2017, Ferro, Rv. 271258).
Nel caso in esame, la rinuncia ai motivi principali di appello e l’accordo sul quantum di sanzione “proposta” ha prodotto la preclusione processuale prevista dalla legge, con la conseguente inammissibilità del ricorso per cassazione avente ad oggetto l’entità della pena (non illegalmente calcolata) concordata.
A parte i casi in cui la pena sia stata determinata sulla base di parametri edittali successivamente dichiarati incostituzionali con effetti ex tunc (Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, COGNOME, P.v. 266080), nella nozione di pena illegale secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità rientra solo quella che si risolve in una pena diversa, per specie, da quella stabilita dalla legge ovvero quella quantificata in misura inferiore o superiore ai relativi limiti edittali per contro, non configura una ipotesi di pena illegale la sanzione che sia complessivamente legittima, ma determinata secondo un percorso argomentativo viziato, anche per difetto (v., ad es., Sez. 5, n. 1205 del 20/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280434; Sez. 5, n. 45360 del 04/10/2019, COGNOME, Rv. 277956; Sez. 2, n. 14307 del 14/3/2017, COGNOME, Rv. 269748; Sez. 5, n. 8639 del 20/1/2016, COGNOME, Rv. 266080; Sez. 6, n. 32243 del 15/7/2014, COGNOME, Rv. 260326).
Alcune recenti pronunce, in taluni casi particolari, hanno invero riconosciuto la illegalità della pena, pure concordata in sede di patteggiamento: ad esempio, quando il giudice compari le attenuanti e una sola delle aggravanti (Sez. 5, n. 9818 del 27/01/2021, COGNOME, Rv. 280626) ovvero non sottragga circostanze aggravanti “privilegiate” al giudizio di comparazione con attenuanti (Sez. 5, n. 7246 del 13/01/2021, Rv. 280475, COGNOME, Rv. 280475) o ancora non apporti alcun aumento per la continuazione tra i reati contestati (Sez. 4, n. 10688 del 05/03/2020, COGNOME, Rv. 278970); è fermo, però, il principio, secondo il quale gli eventuali errori di calcolo commessi nei singoli passaggi interni per la determinazione della sanzione concordata non rilevano, se il risultato finale non si traduce in una pena illegale (Sez. 5, n. 18304 del 23/01/2019, COGNOME, Rv.
255915; Sez. 5, n. 11251 del 04/12/2018, dep. 2019, Conti, Rv. 276036; Sez. 5, n. 51736 del 12/10/2016, COGNOME, Rv. 268850; Sez. 1, n. 29668 del 17/6/2014, COGNOME, Rv. 263217; Sez. 6, n. 44907 del 30/10/2013, Marchisella, Rv. 257151).
Ritiene, dunque, il Collegio che, in sede di concordato in appello, la nozione di pena illegale – alla luce dei principi in precedenza richiamati, compreso quello inerente alla diversa fisionomia dell’istituto rispetto a quello del patteggiamento debba essere interpretata in termini restrittivi: in questo senso si è già espressa questa Corte, statuendo la inammissibilità del ricorso per cassazione «finalizzato a censurare l’omessa ed espressa statuizione di declaratoria di estinzione per prescrizione di alcuni dei reati ascritti in continuazione, se ciò non abbia inciso sulla legalità della complessiva pena concordata, in quanto conforme alla volontà delle parti e non esorbitante i limiti edittali previsti per i reati in relazione ai q non è decorso il termine prescrizionale alla data della pronunzia impugnata» (Sez. 5, n. 4709 del 20/09/2019, dep. 2020, Ferrarini, Rv. 278142).
1.2. Quanto allo specifico tema devoluto, si è pure recentemente ribadito che la dedotta irragionevolezza del regime sanzionatorio previsto dalla legge non rende la norma costituzionalmente illegittima (Sez. 6, n. 11526 del 16/2/2022, Rv. 283049), con le conseguenti ricadute in termini di inammissibilità del ricorso che censuri il punto della irragionevolezza del regime sanzionatorio a seguito di pena concordata in appello.
1.3. Il motivo invita la Corte a sollevare questione incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 74, commi 1 e 2, del d.P.R. 309/1990, per contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione, attesa la indifferenza sanzionatoria rispetto all’oggetto tabellare del traffico di sostanze stupefacenti (droghe c.d. leggere o droghe c.d. pesanti), laddove sarebbe stato più opportuno differenziare le sanzioni a seconda dell’oggetto del traffico illecito svolto in forma associata, con un livello sanzionatorio più lieve nel caso in cui l’associazione avesse ad oggetto (come nella presente fattispecie processuale) stupefacenti indicati nelle tabelle 2 e 4 del citato d.P.R..
1.3. Sul punto dedotto devono registrarsi diversi recenti interventi di questa Corte (da ultimo, successivamente alla sentenza massimata poco sopra citata, Sez. 3, n. 23302 del 28/4/2023, Avduramani ed altri, n.m.), che hanno costantemente ritenuto, con motivazione che questo Collegio condivide, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dedotta.
1.3.1. Non appare irragionevole, infatti, né contrario ai principi declinati agli artt. 3 e 27 Cost. richiamati nel ricorso, che il legislatore abbia voluto sanzionare nei medesimi termini le associazioni finalizzate al traffico di stupefacenti, che riguardino droghe “leggere” o droghe “pesanti”, non ravvisandosi sul punto alcuna sostanziale differenza nell’ottica della difesa dell’ordine pubblico. In particolare,
diversamente da quanto avviene per le condotte di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990, individuali o a titolo di concorso, la fattispecie associativa ex art. 74 rappresenta – in ragione dei propri elementi costitutivi – un delitto contro l’ordine pubblico, che l’ordinamento sanziona di per sé ed indipendentemente dall’effettiva consumazione di una delle ipotesi di reato previste nell’art. 73, eventualmente contestate come reati-fine. Consegue che, nell’ottica del legislatore, rileva non tanto la consumazione di queste ultime, quanto il fatto che – proprio a tal fine sia stata costituita un’associazione, dotata di un numero minimo di soggetti e volta – con tendenziale stabilità – a realizzare una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti. Tale ratio incriminatrice giustifica il diverso trattamento sanzionatorio stabilito in ragione del ruolo ricoperto nel sodalizio (promotore, organizzatore, finanziatore, partecipe, ecc.), così come nell’associazione per delinquere di cui all’art. 416 cod. pen. E’ ancora la natura propria di reato contro l’ordine pubblico, poi, che spiega l’aggravamento della pena edittale nel caso di dieci o più associati, o di soggetti dediti all’uso di stupefacenti tra i partecipi, o d associazione dotata della disponibilità diretta di armi. Negli stessi termini, e quindi ancora con riferimento alla tutela dell’ordine pubblico, il comma 6 della norma rinvia alle pene del primo e secondo comma dell’art. 416 cod. pen. nel caso in cui l’associazione sia costituita per commettere i fatti descritti dall’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990; la finalizzazione del vincolo a compiere esclusivamente reati di lieve entità, con la conseguenza di un apparato organizzativo calibrato soltanto su tali minori condotte, legittima infatti un trattamento sanzionatorio meno severo, in quanto meno intenso risulta il pericolo per l’ordine pubblico. In questo contesto, dunque, non appare irragionevole la scelta del legislatore di individuare una cornice edittale che muta soltanto in ragione dei caratteri organizzativi della struttura, nell’ottica cioè della maggiore o minore potenzialità di offesa all’ordine pubblico, non anche della tipologia di sostanza trattata, “pesante” o “leggera”. La giurisprudenza di legittimità, peraltro, si è già più volte espressa proprio in questi termini, costituendo legittimo esercizio della discrezionalità legislativa la scelta di non differenziare le pene per l’associazione, riguardata nella sua essenza unitaria di fenomeno organizzativo per scopi criminali, a seconda della natura dello stupefacente che ne costituisce l’oggetto, quanto alle specifiche condotte di narcotraffico. Tale scelta, peraltro, non contrasta con il più mite trattamento sanzionatorio previsto dal comma 6 dello stesso art. 74 per le associazioni finalizzate alla commissione di fatti di “lieve entità”, poiché per esse è logicamente prospettabile una minor rilevanza criminale proprio sotto il profilo organizzativo, quale diretta implicazione delle circostanze delineate al comma 5 del precedente art. 73. (tra le più recenti non massimate, Sez. 4, n. 42247 del 28/10/2022, COGNOME; Sez. 3, n. 16977 del 22/3/2022, COGNOME). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.4. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME, come nutrito anche dalla memoria depositata il 18 ottobre u.s., è pertanto inammissibile, per la manifesta infondatezza del motivo dedotto in tema di illegalità della pena concordata.
1.5. Sul tema dedotto è recentemente tornata a pronunciarsi (inammissibilità della questione sollevata dal giudice comune) la Corte costituzionale, che con sentenza n. 138, pubblicata il 19 luglio 2024 a seguito della camera di consiglio del 9 maggio precedente ha argomentato la propria decisione facendo leva (punto sub 5 del considerato in diritto) sulla giuridica non percorribilità del rimedio proposto dal rimettente per colmare lo iato eccessivo tra le sanzioni comminate dal legislatore per le due differenti manifestazioni della partecipazione associativa. Nel caso in esame, argomenta la Corte, la soluzione non può, infatti, consistere nell’auspicato allineamento dei minimi edittali della fattispecie “ma/or” ai massimi della “minor”.
1.6. La sollecitazione della difesa (irragionevolezza intrinseca ed estrinseca del regime sanzionatorio non differenziato in caso di associazione dedicata al traffico di stupefacenti dalla ridotta efficacia stupefacente) non può pertanto essere accolta, sia per la manifesta infondatezza della questione proposta (nei termini poco sopra evidenziati), che per il difetto di rilevanza nell’ambito di un processo definito con applicazione di una pena concordata tra le parti nella misura.
Infondatezza altrettale caratterizza il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
2.1. Ed invero, il ricorrente non aveva devoluto, con i motivi di gravame a suo tempo versati alla Corte di appello di Torino, il punto della qualificazione circostanziale armata della associazione di settore. Tale scelta ha riverberato effetti in ordine alla ammissibilità del successivo motivo di ricorso, secondo quanto previsto dal comma 3 dell’art. 606 del codice di rito (Sez. 1, n. 9780 del 11/01/2017, Badalamenti, Rv. 269421 – 01). La Corte rescindente ha infatti annullato la sentenza di appello, senza rinvio, limitatamente alla riconosciuta qualità organizzativa della partecipazione associativa del ricorrente, qualificando la fattispecie ai sensi del comma 2 della medesima disposizione incriminatrice (art. 74 d.P.R. 309/90) e rinviando alla sede rescissoria solo la misura della sanzione da irrogare per un fatto irrevocabilmente accertato, anche nella sua dimensione circostanziale (armata). La peculiarità della fattispecie porta dunque ad escludere che la qualificazione circostanziale della partecipazione associativa riconosciuta fosse in rapporto di connessione essenziale con la parte della sentenza (ruolo organizzativo dell’associato) annullata. Del resto, proprio l’estrema vicinanza del
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COGNOME al riconosciuto vertice del sodalizio di settore (NOME COGNOME) aveva indotto il primo giudice a ritenere riferibile anche al COGNOME la consapevolezza di partecipare ad un sodalizio che aveva disponibilità diretta di armi e, sul punto, il motivo di appello non è stato proposto.
2.2. Né può, invero, ritenersi che il ricorrente “non diligente” possa giovarsi dell’effetto estensivo della impugnazione previsto per l’appellante (art. 587 cod. proc. pen.) e per il ricorrente diligente (art. 627, comma 5, cod. proc. pen.), trattandosi nella fattispecie di motivo “esclusivamente personale” non dedotto con l’atto di appello. Vero è che l’aggravante dell’essere l’associazione armata ha natura oggettiva, ma l’imputabilità della circostanza al singolo partecipe necessita dell’accertamento “singolare” del dolo o della colpa nel poter prevedere che tale carattere l’associazione abbia, in questi termini proprio le massime tratte dalla sentenza di questa Corte intervenuta nella fase rescindente (Sez. 6, n. 15528 del 12/01/2021, Borracino, Rv. 281212 – 02).
Alla luce dei principi che precedono, i ricorsi vanno dichiarati inammissibili.
3.1. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in euro tremila per ciascuno dei ricorrenti.
P.Q.M.
Dichiara ìnammissibili ì ricorsi e condanna ì ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14 novembre 2024.