Pena Concordata in Appello: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
L’istituto della pena concordata in appello, introdotto dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento fondamentale per la deflazione del carico giudiziario. Tuttavia, le scelte processuali delle parti comportano conseguenze non trascurabili. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio cardine: una volta raggiunto l’accordo sulla pena, non è più possibile impugnarne la misura. Analizziamo questa importante decisione.
I Fatti del Caso: Dall’Accordo al Ricorso
Il caso trae origine dalla condanna in primo grado di un imputato per il reato di evasione, previsto dall’art. 385 del codice penale. In sede di appello, la difesa dell’imputato e la pubblica accusa hanno raggiunto un accordo, chiedendo concordemente la riduzione della pena inflitta in primo grado. La Corte d’Appello, accogliendo la richiesta, ha rideterminato la sanzione in otto mesi di reclusione.
Sorprendentemente, nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato ha deciso di presentare ricorso per Cassazione, lamentando proprio una violazione di legge nella determinazione della pena che lui stesso aveva concordato.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. La decisione è stata presa de plano, ovvero senza le formalità di un’udienza pubblica, data la manifesta infondatezza del ricorso.
Le Motivazioni: la Logica dietro l’Inammissibilità della Pena Concordata in Appello
La Corte Suprema ha fondato la sua decisione su un orientamento giuridico consolidato e irremovibile. Il punto centrale della motivazione risiede nella natura stessa dell’accordo processuale. L’imputato non può contestare la misura di una pena che ha liberamente concordato con l’accusa. Questo accordo non è un atto superficiale, ma interviene in una fase avanzata del processo, ovvero dopo che la responsabilità penale è già stata accertata con una sentenza di primo grado e non è più oggetto di discussione da parte dell’appellante.
Di conseguenza, la richiesta concorde di rideterminazione della pena rappresenta una scelta strategica e consapevole, con la quale l’imputato rinuncia a contestare ulteriormente la sanzione in cambio di un trattamento più favorevole. Permettere un successivo ricorso su questo punto svuoterebbe di significato l’istituto stesso del concordato in appello, trasformandolo in un tentativo di ottenere un’ulteriore, indebita, riduzione della pena.
La Corte ha inoltre specificato che, data l’evidente inammissibilità, la declaratoria poteva avvenire con la procedura semplificata prevista dall’art. 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale, introdotta per accelerare la definizione dei ricorsi palesemente infondati.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione
Questa ordinanza rafforza la stabilità e l’efficacia degli accordi processuali. Le conclusioni che possiamo trarre sono chiare:
1. Carattere Vincolante dell’Accordo: La scelta di concordare la pena in appello è definitiva e preclude ogni successiva doglianza sulla sua misura.
2. Consapevolezza della Difesa: Gli avvocati e i loro assistiti devono essere pienamente consapevoli che l’accesso a questo rito premiale implica una rinuncia implicita al diritto di impugnare la quantificazione della pena.
3. Efficienza del Sistema: La decisione tutela l’esigenza di celerità del processo penale, impedendo ricorsi dilatori e pretestuosi che minerebbero la funzione deflattiva dell’articolo 599-bis c.p.p.
È possibile impugnare in Cassazione una pena che è stata concordata tra accusa e difesa in appello?
No. Secondo l’ordinanza, l’imputato non può rimettere in discussione la misura di una pena che ha liberamente concordato con la pubblica accusa e che è stata ritenuta congrua dal giudice d’appello.
Perché l’accordo sulla pena in appello preclude un successivo ricorso?
Perché l’accordo avviene dopo un pieno accertamento della responsabilità in primo grado e rappresenta una scelta processuale volontaria dell’imputato, che di fatto rinuncia a contestare ulteriormente la misura della sanzione.
Cosa significa che la Corte ha deciso ‘de plano’?
Significa che la Corte ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso senza la necessità di un’udienza formale, applicando una procedura semplificata (prevista dall’art. 610, comma 5-bis, c.p.p.) riservata ai casi di evidente inammissibilità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31161 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31161 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 11/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a MILANO il 27/08/1977
avverso la sentenza del 11/03/2025 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
N. 13002/25 Vertua
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Che l’imputato ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe, che ha parzialmente modificato la sentenza di primo grado di condanna per il reato di cui all’art. 385 cod. pen. riducendo la pena, su concorde richiest delle parti, a mesi otto di reclusione;
che il ricorrente denuncia violazione di legge in ordine alla determinazione della pena;
che è orientamento consolidato di questa Corte quello per cui l’imputato non può porre in discussione la misura della pena liberamente concordata con la pubblica accusa (comunque inferiore a quella inflitta dal giudice di primo grado) e ritenuta congrua dal giudice d’appello nel procedimento definito ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., nel qual peraltro l’accordo delle parti sulla pena avviene all’esito di un pie accertamento della responsabilità dell’imputato effettuato dal giudice di primo grado e non più oggetto di discussione da parte dell’appellante;
che alla relativa declaratoria d’inammissibilità la Corte provvede «senza formalità di procedura», ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., aggiunto dalla legge n. 103 del 2017, cioè de plano con trattazione camerale non partecipata;
che segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma equitativamente determinata in euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 11/07/2025