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Pena appropriazione indebita: Cassazione annulla pena

Una consulente professionale, condannata per aver sottratto ingenti somme a uno studio per cui lavorava, ha visto confermata la sua responsabilità dalla Corte di Cassazione. Tuttavia, la Corte ha annullato la condanna limitatamente alla sanzione. La decisione si fonda sulla sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittima la pena minima di due anni per l’appropriazione indebita, rendendo necessario un ricalcolo. La parola chiave è pena appropriazione indebita, la cui cornice edittale è stata modificata a favore del reo.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena Appropriazione Indebita: la Cassazione Annulla la Sanzione

La determinazione della pena per appropriazione indebita è al centro di una recente e significativa sentenza della Corte di Cassazione. Con la pronuncia in esame, i giudici supremi hanno confermato la responsabilità penale di una consulente per il reato di appropriazione indebita aggravata, ma hanno annullato la sentenza limitatamente alla pena inflitta. Questa decisione scaturisce direttamente da un intervento della Corte Costituzionale che ha modificato la cornice sanzionatoria del reato, imponendo ai giudici di merito un nuovo calcolo.

I Fatti del Processo

Il caso riguarda una consulente amministrativa e contabile impiegata presso un importante studio professionale. Secondo l’accusa, confermata nei primi due gradi di giudizio, la professionista si sarebbe appropriata nel tempo di una somma complessiva superiore a 100.000 euro, sottraendola dal conto corrente dello studio per cui lavorava. I giudici di merito avevano ritenuto pienamente provata la sua colpevolezza, condannandola a una pena detentiva e pecuniaria e al risarcimento del danno in favore dello studio, costituitosi parte civile. La difesa dell’imputata ha quindi proposto ricorso in Cassazione, basandolo su tre distinti motivi.

L’Analisi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha sollevato tre questioni principali:
1. Una violazione processuale: si contestava la legittimità della dichiarazione di assenza dell’imputata, sostenendo una mancata prova della sua effettiva conoscenza del processo.
2. Un’errata applicazione della legge penale: si lamentava che la Corte d’Appello non avesse tenuto conto della sentenza n. 46/2024 della Corte Costituzionale, che aveva dichiarato illegittimo il minimo edittale per il reato di appropriazione indebita.
3. Un vizio di motivazione: si criticava la ricostruzione dei fatti operata dai giudici, ritenendola fondata su congetture e non su prove solide.

La Corte di Cassazione ha rigettato il primo e il terzo motivo. Ha ritenuto infondato il vizio processuale, dato che l’imputata aveva nominato un difensore di fiducia ed eletto domicilio presso il suo studio, elementi sufficienti a dimostrare la conoscenza del procedimento. Ha dichiarato inammissibile il terzo motivo, ribadendo che la Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione, che nel caso di specie non presentava vizi evidenti.

L’Impatto della Consulta sulla Pena per Appropriazione Indebita

Il cuore della decisione risiede nell’accoglimento del secondo motivo. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 46 del 2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 646 del codice penale nella parte in cui prevedeva una pena minima di due anni di reclusione. La Consulta aveva ritenuto tale minimo sproporzionato e irragionevole, poiché equiparava condotte di gravità molto diversa e risultava più severo di quello previsto per reati simili come il furto o la truffa.

L’effetto di questa pronuncia è la “riespansione” della cornice edittale: il minimo di due anni è stato eliminato, e ora la pena detentiva per l’appropriazione indebita va semplicemente “fino a cinque anni”. Ciò restituisce al giudice un’ampia discrezionalità nel commisurare la pena al caso concreto.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha spiegato che una pena determinata sulla base di una cornice edittale successivamente dichiarata incostituzionale è, di fatto, una pena illegale. Poiché i giudici di merito avevano calcolato la sanzione partendo proprio dal minimo di due anni (poi aumentato per le aggravanti e la continuazione), quella pena non poteva più essere considerata valida.

Il principio affermato è chiaro: la modifica della cornice sanzionatoria da parte della Corte Costituzionale impone una nuova valutazione della congruità della pena. Non è sufficiente verificare che la pena inflitta rientri nel “nuovo” range; l’intero processo di commisurazione deve essere rifatto, perché i parametri di riferimento del giudice sono cambiati. Pertanto, la Corte ha annullato la sentenza solo su questo punto, rinviando il caso ad un’altra sezione della Corte d’Appello.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un punto fermo: la responsabilità penale dell’imputata è definitiva e non più discutibile. Tuttavia, la vicenda processuale non è conclusa. La Corte d’Appello dovrà ora procedere a una nuova quantificazione della pena, applicando la cornice edittale modificata dalla Consulta, senza il vincolo del minimo di due anni. Questa decisione riafferma con forza il principio di legalità e proporzionalità della pena, garantendo che la sanzione sia sempre adeguata alla gravità del fatto, secondo i parametri stabiliti da una legge conforme alla Costituzione.

A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 46/2024, qual è la pena per il reato di appropriazione indebita?
La sentenza ha dichiarato incostituzionale la pena minima di due anni di reclusione. Pertanto, la pena per l’appropriazione indebita è ora della reclusione “fino a cinque anni” e una multa, senza un minimo detentivo predeterminato. Questo conferisce al giudice una maggiore discrezionalità nel commisurare la pena alla gravità del singolo caso.

Se una persona viene condannata con una pena basata su una norma poi dichiarata incostituzionale, cosa succede?
Come stabilito in questo caso dalla Corte di Cassazione, se la sentenza non è ancora definitiva, essa deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio. Il processo viene rinviato a un giudice del merito, il quale deve ricalcolare la pena applicando la nuova e più favorevole cornice edittale derivante dalla pronuncia di incostituzionalità.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove fatta dai giudici di primo e secondo grado?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti o condurre una nuova valutazione delle prove. Il suo ruolo è quello di giudice di legittimità, il che significa che verifica solo la corretta applicazione delle norme di legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata. Un ricorso che mira a una diversa ricostruzione dei fatti viene dichiarato inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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