Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 3822 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 3822 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 15/04/1973
avverso la sentenza del 05/12/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che si è riportato alle conclusioni scritte chiedendo l’annullamento senza rinvio del provvedimento gravato, limitatamente alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici e il rigetto nel resto; udito l’avv. NOME COGNOME del foro di ROMA difensore di NOME COGNOME il quale insiste nei motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Roma, con sentenza del 5 dicembre 2023, depositata il 19 agosto 2024, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Tivoli che aveva condannato NOME COGNOME alla pena di anni di anni tre e mesi sei di reclusione oltre che alla sospensione della patente di guida per la durata di anni due, in relazione al reato di cui all’art. 589 bis cod. pen., ha riconosciuto all’imputato la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. e, per l’effetto, rideterminato la pena in anni due e mesi otto di reclusione, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Era stato contestato al COGNOME di avere, per colpa generica e per violazione degli artt. 140, 141 co. 1 e 3, 143-146 e 148 cod. strada, mentre si trovava alla guida della propria autovettura, effettuando manovra di sorpasso di un autobus in un tratto di strada in cui non era consentito e invadendo la corsia di marcia opposta, di avere cagionato la morte di NOME COGNOME in conseguenza del violento impatto contro l’auto da costui condotta nella propria direttrice di marcia.
La Corte territoriale richiamata la sentenza emessa dal Tribunale di Tivoli, utilizzando gli elementi acquisiti in conseguenza della scelta del rito abbreviato, ha rigettato le censure mosse dalla difesa relative alla dedotta nullità della consulenza del pubblico ministero in relazione alla quale sarebbe stato conferito incarico verbalmente e da remoto con sottoscrizione per via telematica; quella relativa alla chiesta esclusione dell’aggravante di cui al comma quinto n. 3 dell’art. 589 bis cod. pen nonché quella relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. I giudici di secondo grado hanno, invece, accolto la richiesta volta ad ottenere il riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. e rideterminato, per l’effetto, la pena nella misura sopra indicata.
Avverso la sentenza è stato proposto ricorso nell’interesse del Rodofili affidandolo a due motivi.
3.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al quantum della diminuzione di pena operata per effetto del riconoscimento della circostanza di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. La Corte territoriale non ha applicato la riduzione nella massima estensione sul presupposto che l’avvenuto risarcimento dei danni fosse integralmente riconducibile all’assicurazione obbligatoria, il che si porrebbe in contrasto con giurisprudenza di questa Corte, oltre che della Corte Costituzionale sul punto. I giudici di secondo grado, tra l’altro, avrebbero posto a
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fondamento della decisione assunta, elementi quali il grado della colpa, l’avvenuto decesso della vittima e il mancato interessamento diretto del COGNOME per garantire il risarcimento che, ad avviso della difesa, sarebbero irrilevanti ai fini della sussistenza della circostanza di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen.
2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione di legge in merito alla applicazione della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici, determinata dal primo giudice per la durata di cinque anni e confermata dalla Corte territoriale nonostante la misura della pena irrogata, pari ad anni due e mesi otto di reclusione fosse al di sotto del limite di tre anni fissato dall’art. 29 co. 1 cod. pen.
Il P.G., in persona del sostituto NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alla pena accessoria applicata all’imputato ed il rigetto nel resto.
All’udienza il P.G. si è riportato alle conclusioni scritte e l’avv. NOME COGNOME difensore dell’imputato, ha insistito nell’accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è inammissibile.
La Corte territoriale, accogliendo il motivo di gravame proposto, ha riconosciuto all’imputato la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. non mancando, tuttavia, di rilevare che il risarcimento non era avvenuto prima del giudizio e che non vi era prova di una qualsiasi forma di interessamento personale e diretto dell’imputato volto a conseguire l’obiettivo risarcitorio. Nell’applicare l riduzione di pena, per effetto della riconosciuta attenuante, con motivazione non manifestamente illogica e coerente con le emergenze acquisite, ha ritenuto, con valutazione discrezionale che in questa sede non è suscettibile di censura, di non applicarla nella massima estensione «considerando l’elevatissimo grado della colpa sicuramente cosciente e al limite del dolo eventuale … e l’entità del danno cagionato (decesso della vittima)».
Gli argomenti spesi dalla difesa e i richiami giurisprudenziali operati, spostano il fuoco della questione sulla natura oggettiva della circostanza attenuante in parola, come se da ciò derivasse il venir meno della possibilità per il giudice di graduare l’entità della pena da elidere per effetto dell’avvenuto riconoscimento.
Il riferimento operato dalla difesa alle sentenze della Corte Costituzionale (n. 138 del 1998) e delle Sezioni Unite di questa Corte di legittimità (n. 5941 del 22/01/2009 e prima ancora n. 145 del 29/101983) è mal posto.
Questa Corte di legittimità ha più volte spiegato che la circostanza attenuante del risarcimento del danno, per beneficiare della quale la riparazione deve essere integrale, è oggettiva quanto ai contenuti ma soggettiva quanto agli effetti (Sez. 1, n. 28554 del 09/06/2004, Rv. 228846 – 01)
Al netto della ritenuta natura oggettiva della circostanza in esame, rimane fermo l’art. 65 cod. pen. in forza del quale, in presenza di una circostanza attenuante, la pena della reclusione è diminuita «in misura non eccedente un terzo».
E’ stato ripetutamente affermato che la modulazione della sanzione da applicare, anche mediante una diversa “misura” delle riduzioni da operare, è funzionale al migliore adeguamento del trattamento sanzionatorio al reato e al suo autore. Da ciò discende che il giudice dovrà motivare dando conto dell’utilizzo dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 2 n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243, Sez. 3 n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288 -01).
Sono, dunque, inammissibili le censure che mirino ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di un mero arbitrio o di un ragionamento illogico e siano sorretti da sufficiente motivazione (Sez. 5 n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142)
La Corte territoriale ha congruamente motivato, ponendo in evidenza il grado della colpa e la mancanza di un impegno diretto da parte dell’imputato volto a garantire il risarcimento del danno che, peraltro, sarebbe dovuto avvenire prima del giudizio (si veda in tal senso, Sez. 4, n. 12121 del 14/12/2022 dep. 2023).
Detta motivazione, ad avviso di questo Collegio, rientra compiutamente nel giudizio di adeguatezza della pena, ai sensi dell’art. 133 cod. pen..
2. E’ fondato il secondo motivo di ricorso.
La Corte territoriale, nel rideterminare la pena finale a seguito dell’accoglimento della richiesta volta a riconoscere la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. è pervenuta alla pena finale di anni due e mesi otto di reclusione (come da dispositivo laddove in parte motiva si legge “e mesi dieci”).
Da ciò discende che non poteva essere confermata la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque già applicata dal Tribunale che aveva inflitto all’imputato una pena superiore a tre anni di reclusione.
L’art. 29 cod. pen. prevede, infatti, l’interdizione temporanea pari ad anni cinque come conseguenza alla condanna alla reclusione per una durata non
inferiore ad anni tre. La sanzione accessoria confermata si pone, pertanto, in violazione dell’art. 29 cod. pen. e si colloca al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal codice penale (Sez. U n. 877 del 14/07/2022 dep. 12/01/2023 Rv. 28388; Sez. 5, n. 7333 del 13/11/2018, dep. 2019, Alessandria, Rv. 27523401) 3.
Il ricorso proposto dall’imputato deve essere, pertanto, accolto limitatamente al motivo afferente l’applicazione della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici che, per le ragioni sopra spiegate, deve essere eliminata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici che elimina. Rigetta nel resto il ricorso. Deciso il 9 gennaio 2024