Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 18804 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 18804 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Roma, il 21/09/1979 avverso la sentenza del 05/02/2024 della Corte di appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni rassegnate dal Procuratore generale, che ha concluso p l’accoglimento del solo secondo motivo, per il rigetto del ricorso nel resto; udite le conclusioni rassegnate dall’avv. NOME COGNOME, difensore di fiduci COGNOME NOME, che si è riportato ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 5 febbraio 2024 la Corte di appello di Roma ha confermato, quanto all’odierno ricorrente COGNOME Antonio, la sentenza del Tribuna
di Roma dell’8 giugno 2023 che, all’esito di giudizio abbreviato disposto nel corso del giudizio direttissimo a seguito di arresto in flagranza dell’odierno ricorrente aveva ritenuto COGNOME NOME colpevole dei reati -di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/90- ascrittigli in concorso con COGNOME ai capi a) -per la detenzione delle sostanze stupefacenti, del tipo hashish, marijuana e cocaina, rinvenute nell’appartamento di INDIRIZZO, il giorno 17 maggio 2023- b) -per la detenzione nell’abitazione di INDIRIZZO di cocaina per complessive 50 dosi medie droganti ivi rinvenute il medesimo 17 maggio 2023 -, e c) -per la cessione a NOME COGNOME di tre chilogrammi di sostanza stupefacente del tipo marijuana, contenuti in due buste riposte in uno zaino, materialmente ceduto dall’odierno ricorrente il 16 maggio 2023-, unificati dal vincolo della continuazione, e, esclusa la recidiva contestata e ritenute le attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione ed euro 18.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia in carcere per Casu Antonio; aveva applicato al ricorrente (come alla coimputata) ex art. 29 cod. pen., la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per l durata di anni cinque, e disposto, ex art. 240 cod. pen., la confisca di quanto in sequestro con distruzione dello stupefacente e del materiale utilizzato per il suo confezionamento.
Ha, contestualmente, sostituito la misura cautelare in atto con quella degli arresti domiciliari, da eseguirsi presso la Comunità residenziale “Il INDIRIZZO“, in Palestrina, con dispositivo elettronico di controllo, e divieto di colloqui e contatt con qualsiasi mezzo, con persone diverse dal personale e dagli ospiti della predetta comunità.
COGNOME ha proposto, a mezzo del difensore di fiducia, tempestivo ricorso invocando l’annullamento della sentenza, affidato a due motivi.
3.1. Col primo motivo, quanto al reato sub a), denuncia, ex art. 606, comma 1, lett e, cod proc pen, in relazione agli artt. 110 cod. pen., 192, commi 1 e 2, 546, co 1 lett e cod proc pen, e 73, comma 1, d.P.R. n. 309/90, vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sua responsabilità.
Allega la difesa travisamento delle risultanze probatorie per utilizzo, per la prima volta in appello, di informazioni inesistenti nel compendio processuale, nella specie attestanti la circostanza che COGNOME, richiesta dagli operanti, avrebbe riferito che avrebbe provato immediatamente a chiamare al telefono la persona che deteneva lo stupefacente; vero è, invece, che alla donna è stato richiesto a chi avesse dato in uso l’appartamento e che costei non rispose, ma provò a contattare il Casu.
Emergenze idonee secondo prospettazione difensiva solo a dimostrare l’esistenza di “rapporti illeciti tra i due imputati”, non la co-detenzione del nell’appartamento di INDIRIZZO ipotesi contrastata dal poss delle chiavi dell’appartamento in capo alla donna, dalla consapevolezza che stesso fosse “pieno di roba”, dalla circostanza che non esplicitò i motivi chiamata a Casu, dalla assunzione di responsabilità esclusiva in merito detenzione con speculare negazione di responsabilità al proposito da pa dell’odierno ricorrente.
3.2. Col secondo motivo la difesa denuncia, ex art. 606, comma 1, lett b) c proc pen in relazione agli art. 29, comma 1, cod pen e 609, comma 2, cod pr pen, violazione di legge nell’applicazione della pena accessoria dell’interdizio pubblici uffici.
La pena accessoria come applicata è illegale.
Secondo l’insegnamento della Corte Suprema ai fini dell’applicazione del pena accessoria de qua, in caso di più reati unificati per il vincolo del continuazione, occorre fare riferimento alla misura della pena base stabili concreto per il reato più grave, come risultante a seguito della diminuzione p scelta del rito, e non a quella complessiva risultante dall’aumento continuazione, sicchè, nella specie, essendo la pena inflitta per il reato più al netto della diminuente del rito, pari a anni due e mesi otto di reclusione, inferiore alla soglia minima di anni 3, la stessa non doveva essere applic deve essere eliminata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti di cui al secondo motivo, è inammissibile nel r
La motivazione resa dalla Corte di appello capitolina, che conferma in parte qua quella del Tribunale romano, si diffonde nella ricostruzione delle risul probatorie indicate dal Tribunale (verbale di arresto, verbale di sequestro della consulenza tossicologica, verbale della attività di o.p.c. con osservazione della cessione da parte degli agenti di polizia, verbali di interro in udienza di convalida dell’arresto) a fondamento della ritenuta responsabilit ricorrente.
Indica meticolosamente i motivi di appello (rileva ai presenti fini, il primo, c si invocava l’assoluzione per non aver commesso il fatto).
Riesamina, a partire da pagina 5, le risultanze probatorie a carico di COGNOME.
Rende innanzi tutto contezza della individuazione dell’odierno ricorrente in c che, il 16 maggio, era stato osservato nell’atto di cedere uno zaino conte
sostanza stupefacente, e ciò per via del riconoscimento operatone dalla (suggellato dall’accertamento della compatibilità dell’orario in cui era avven cessione con la fascia oraria in cui COGNOME, agli arresti domiciliari, aveva il pe di uscire dall’abitazione) e del rinvenimento presso la sua abitazione Bassanello, ove gli operanti si portavano il 17 maggio (dopo l’individuazio perquisizione di quella in INDIRIZZO ove veniva rinvenuta la più g parte degli stupefacenti, ed il contestuale tentativo di comunicazione dell’oc da parte della COGNOME al Casu) non solo dei pantaloni della tuta, blu con lo s dell’Italia, indossata il 16 maggio da colui che aveva ceduto lo zaino, ma, a di ulteriore stupefacente (con le medesime modalità di confezionamento di quel precedentemente rinvenuto nella disponibilità del cessionario in occasi dell’attività di polizia giudiziaria posta in essere nella giornata precedente
Afferma dunque la Corte di appello la concludenza di un tale quadro probatorio s «perchè l’imputato, negando ogni collegamento con l’appartamento di vi Ospedaletto Marziale, non ha fornito alcuna giustificazione circa la condotta te il giorno prima, quando venne osservato dagli operanti -nel cortile di quello st nell’atto di cedere al Franco lo zaino contenente 3 kg di marijuana»; rilev COGNOME «al momento dell’arresto, alla sollecitazione della polizia che gli chie chi appartenesse la sostanza stupefacente detenuta nell’appartamento n. 6 di aveva le chiavi, pur non rispondendo espressamente, aveva chiamato immediatamente al telefono il numero da lei rubricato come “Casu Antonio”, come gli operanti avevano modo di leggere distintamente sul display del telefono, e, all’udienza di convalida, aveva assunto la esclusiva responsabilità detenzione. La circostanza risulta in modo inequivoco dal verbale di arres dall’annotazione di p.g. in atti», e, in virtù di tanto, motiva la ritenuta i di eventuali approfondimenti sugli apparecchi cellulari dei prevenuti, risult comunque agli atti del processo il rapporto di stretta conoscenza tra i due.
Si diffonde, in via ulteriore, sulla scarsa o nulla significatività probatoria de assunzione di responsabilità da parte della COGNOME, ritenuta frutto di un tent salvaguardare la posizione del coimputato cui è legata da rapporti di assist che il Casu svolge per lei.
Il Collegio evidenzia come, nel caso in esame, ci si trovi in presenza «doppia conforme» di merito.
Ed infatti il secondo giudice, per rispondere alle critiche dei motivi di grava «riesaminato lo stesso materiale probatorio già sottoposto al tribunale e, avere preso atto delle censure degli appellanti, è giunto alla mede conclusione» (ex multis, Sez. 2, n. 5223 del 24/01/2007, Medina, Rv. 236130 01, Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, COGNOME, Rv. 243636 – 01).
In questo caso, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 – 01), ai fini del controllo di legittimità sul vizio motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo e le motivazioni dei due provvedimenti si integrano a formare un corpo unico, con il conseguente obbligo per il ricorrente di confrontarsi in maniera puntuale con i contenuti delle due sentenze, circostanza, nel caso di specie, non sussistente (v. Sez. 1, n. 8868 dell’8/8/2000, COGNOME, Rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, COGNOME, Rv. 209145).
Come chiarito da questa Corte, in caso di «doppia conforme» il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute n motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite (Sez. 2, n. 32113 del 02/07/2021, Dhayba, n.m.).
Analogamente, si è ritenuto che il ricorso per cassazione é ammissibile laddove il dato probatorio asseritamente travisato sia stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, COGNOME, Rv. 283777 – 01).
Non ricorrono nel caso che ne occupa nè la prima, nè la seconda ipotesi.
Risulta, anzi, dallo stesso verbale dell’udienza di convalida allegato al ricorso da parte della difesa, che COGNOME, all’atto del controllo presso l’appartamento”ove è stata rinvenuta la droga, «ha chiamato immediatamente la persona che diceva di avere disponibilità di questo appartamento insieme a lei», così dichiarando l’operatore di p.g., e che COGNOME, ha spontaneamente in quella sede negato qualsivoglia responsabilità di Casu.
Il che esattamente corrisponde a quanto dedotto in sentenza.
E, in ogni caso, il travisamento, per superare il vaglio di ammissibilità in questa sede, deve avvenire in forma di tale «macroscopica o manifesta evidenza» da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (cfr., Sez. 4, n. 35963 del 3/12/2020, COGNOME, Rv. 280155 – 01; Sez. 2, n. 5336 del 9/1/2018, COGNOME, n.m.). E’ necessario, quindi, che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra i senso intrinseco della dichiarazione (o di altro elemento di prova) e quello tratto dal giudice, di guisa che il travisamento sia tale da «disarticolare» l’inter
ragionamento probatorio (Sez. 5, n. 48050 del 2/7/2019, S., Rv. 27758-01; Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, COGNOME, Rv. 258774 – 01). Ne consegue l’irrilevanza di eventuali errori commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima che tali caratteristiche non abbiano (Sez. 5, n. 8188 del 4/12/2017, COGNOME; Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, COGNOME, Rv. 276567 – 01).
La motivazione resa dalla Corte di appello romana è, invero, logica e coerente con le emergenze probatorie, scevra da criticità e illogicità, sicchè, poichè nessun travisamento si apprezza, il primo motivo risulta intanto sotto questo profilo manifestamente infondato.
2.1. Il motivo è, peraltro, anche altrimenti inammissibile, perchè reitera tal quale quello di appello, non confrontandosi con le argomentazioni rese dalla Corte territoriale, come sopra riassunte.
Le Sezioni Unite della Corte (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01; conformi, ex multis, Sez. 2, n. 51531 del 19/11/2019, Greco, Rv. 277811 – 01; Sez. 3, n. 12727 del 21/02/2019, COGNOME, Rv. 275841 – 01) hanno precisato che i motivi di impugnazione (sia in appello che in cassazione) sono affetti da genericità «estrinseca» quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato), posto che l’atto di impugnazione «non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato» (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014; Lavorato, Rv. 259425), e da genericità «intrinseca» quando risultano intrinsecamente indeterminati, risolvendosi sostanzialmente in formule di stile, come nel caso di appelli fondati su considerazioni generiche o astratte, o comunque non pertinenti al caso concreto (ex multis, Sez. 6, n. 3721 del 2016 e Sez. 1, n. 12066 del 05/10/1992, Makram), ovvero su generiche doglianze concernenti l’entità della pena a fronte di sanzioni sostanzialmente coincidenti con il minimo edittale (éx multis, Sez. 6, n. 18746 del 21/01/2014, COGNOME, Rv. 261094).
2.2. Inammissibile è, peraltro, anche in relazione alla pretesa violazione dell’art. 192 cod proc pen.
Non è consentito il motivo con cui si deduca la violazione dell’art. 192 c.p.p., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione,
nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, Sentenza n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027). Difatti la deduzione del vizio di violazione di legge, in relazione all’asserito malgoverno delle regole di valutazione della prova contenute nell’art. 192 c.p.p. ovvero della regola di giudizio di cui all’art. 533 dello stesso codice, non è permessa non essendo l’inosservanza delle suddette disposizioni prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come richiesto dall’art. 60 lett. c) c.p.p, ai fini della deducibilità della violazione di legge processuale ( multis Sez. 3, n. 44901 del 17 ottobre 2012, F., Rv. 253567; Sez. 3, n. 24574 del 12/03/2015, COGNOME e altri, Rv. 264174; Sez. 1, n. 42207/17 del 20 ottobre 2016, COGNOME e altro, Rv. 271294; Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191; Sez. U, Sentenza n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027). Né vale in senso contrario la qualificazione del vizio dedotto operata dal ricorrente come error in iudicando in iure ai sensi della lett. b) dell’art. 606 c.p.p., posto che t disposizione, per consolidato insegnamento di questa Corte, riguarda solo l’errata applicazione della legge sostanziale, pena, altrimenti, l’aggiramento del limite (posto dalla citata lett. c) dello stesso articolo) della denunciabilità della violazio di norme processuali solo nel caso in cui ciò determini una invalidità (ex multis Sez. 3, n. 8962 del 3 luglio 1997, COGNOME, Rv. 208446; Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, P.M. in proc. COGNOME e altri, Rv. 268404).
2.3. E, comunque, le censure svolte sono manifestamente infondate, avendo la Corte di appello (così come, prima, il Tribunale) corrisposto nella sua valutazione ai precetti imposti in tema di valutazione della prova.
Nè può accogliersi la censura in tema di generico vizio di motivazione. Si è dato atto degli snodi logico-argomentativi propri della motivazione della Corte di appello, da leggere in uno con la motivazione nella sua interezza.
Il difetto di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, non può essere ravvisato sulla base di una critica frammentaria dei singoli punti di essa, come tenta di fare la difesa, costituendo la pronuncia un tutto coerente ed organico, per cui, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogn punto di essa va posto in relazione agli altri, potendo la ragione di una determinata statuizione anche risultare da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatt richiamo, sia pure implicito (Sez. 2, n. 38818 del 07/06/2019, M., Rv. 277091 01; Sez. 4, n. 4491 del 17/10/2012, Spezzacatena, Rv. 255096 – 01).
3. Fondato è, invece, il secondo motivo.
La pena accessoria siccome applicata è illegale.
Conferma il Collegio il principio, da ultimo affermato da Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024 Ud. (dep. 23/07/2024 ) Rv. 286862 – 03, secondo cui «Ai fini
dell’applicazione delle pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uf dell’interdizione legale, è necessario far riferimento, nel caso di più reati u
sotto il vincolo della continuazione, alla misura della pena base in concreto sta per il reato più grave, eventualmente ridotta per la scelta del rito, e non a
complessiva, risultante dall’aumento per la continuazione.»
Nella specie, la pena inflitta per il reato più grave, al netto della diminue rito, è pari ad anni due e mesi otto di reclusione, quindi inferiore al limi
anni fissato dall’art. 29, comma 1, cod pen, sicchè la pena in question eliminata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena accessori dell’interdizione dai pubblici uffici, che elimina.
Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma il 29 gennaio 2025
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Il Presidente