Pena Accessoria nel Patteggiamento: i Limiti del Ricorso secondo la Cassazione
L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una delle vie più comuni per la definizione dei procedimenti penali. Tuttavia, una volta raggiunto l’accordo e ratificato dal giudice, le possibilità di impugnazione sono estremamente limitate. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito questo principio, soffermandosi in particolare sulla legalità della pena accessoria nel patteggiamento e sul corretto metodo di calcolo in caso di reato continuato.
I Fatti del Caso
Il caso analizzato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un imputato contro una sentenza emessa dal Giudice dell’Udienza Preliminare. L’imputato aveva patteggiato una pena per reati legati al traffico di sostanze stupefacenti. L’accordo prevedeva, oltre alla pena detentiva e pecuniaria, anche la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni.
Successivamente alla sentenza, l’imputato ha deciso di presentare ricorso per Cassazione, contestando unicamente la durata di tale pena accessoria, ritenendola illegittima. Il suo ricorso si basava sull’idea che il calcolo fosse errato, ma non sollevava questioni relative alla sua volontà di patteggiare o a vizi procedurali.
I Limiti al Ricorso contro la Sentenza di Patteggiamento
La Corte di Cassazione ha preliminarmente ricordato che, a seguito delle riforme legislative, l’impugnazione di una sentenza di patteggiamento è possibile solo in casi tassativamente previsti. L’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, stabilisce che il ricorso è ammesso solo per motivi attinenti a:
* La volontarietà della richiesta di patteggiamento;
* Il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza;
* L’errata qualificazione giuridica del fatto;
* L’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Nel caso specifico, nessuna di queste condizioni era stata adeguatamente prospettata dal ricorrente. Il motivo di ricorso si concentrava sull’entità della pena accessoria nel patteggiamento, ma non sulla sua illegalità intrinseca.
Il Calcolo della Pena Accessoria nel Patteggiamento con Reato Continuato
Il punto centrale della decisione riguarda il corretto calcolo della pena accessoria nel patteggiamento. L’imputato era stato condannato per più reati, unificati dal vincolo della continuazione. In questi casi, la giurisprudenza è costante nell’affermare che per determinare la durata delle pene accessorie si deve fare riferimento alla pena base stabilita per il reato più grave, e non alla pena complessiva risultante dall’aumento per la continuazione.
Nel caso di specie, la pena base per il reato più grave era stata fissata in quattro anni e sei mesi di reclusione. Questa pena, per effetto della riduzione prevista dal rito del patteggiamento, era stata diminuita a tre anni di reclusione. Ai sensi dell’articolo 29 del codice penale, una condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni comporta automaticamente l’interdizione dai pubblici uffici per una durata di cinque anni. Pertanto, la pena accessoria applicata dal giudice di merito era stata ritenuta perfettamente legale e conforme alla normativa.
Le Motivazioni della Suprema Corte
Sulla base di queste premesse, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno evidenziato che l’applicazione della pena accessoria non era illegale, ma costituiva una conseguenza diretta e obbligatoria della pena principale inflitta, correttamente calcolata. Il ricorso, pertanto, non rientrava in nessuna delle ipotesi eccezionali che consentono di impugnare una sentenza di patteggiamento.
Inoltre, la Corte ha sottolineato che non vi erano elementi per ritenere che il ricorrente avesse proposto l’impugnazione senza colpa. Di conseguenza, applicando l’articolo 616 del codice di procedura penale, ha condannato il ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di 3.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende, a titolo sanzionatorio per aver intrapreso un’azione giudiziaria palesemente infondata.
Le Conclusioni
Questa ordinanza conferma la rigidità del sistema delle impugnazioni avverso le sentenze di patteggiamento. La decisione di accedere a questo rito alternativo deve essere ponderata con estrema attenzione, poiché preclude quasi ogni possibilità di successiva contestazione. È fondamentale che l’imputato e il suo difensore valutino in anticipo tutte le conseguenze dell’accordo, incluse le pene accessorie, che spesso derivano automaticamente dalla pena principale concordata. Proporre un ricorso per Cassazione al di fuori dei ristretti limiti di legge non solo si rivela inefficace, ma comporta anche significative conseguenze economiche.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per contestare la durata di una pena accessoria?
No, a meno che la pena accessoria non sia ‘illegale’, cioè non prevista dalla legge o applicata in violazione di norme imperative. Se la pena è una conseguenza automatica e corretta della pena principale patteggiata, come in questo caso, il ricorso è inammissibile.
Come si calcola la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici in caso di reato continuato e patteggiamento?
Si deve guardare alla pena base stabilita per il reato più grave, eventualmente ridotta per la scelta del rito. Se questa pena raggiunge la soglia prevista dalla legge (in questo caso, almeno tre anni di reclusione), scatta la pena accessoria nella misura di legge (cinque anni di interdizione), indipendentemente dalla pena totale inflitta dopo l’aumento per la continuazione.
Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è ritenuto inammissibile e non ci sono giustificazioni per l’errore del ricorrente, la Corte condanna quest’ultimo al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, il cui importo viene stabilito equitativamente dal giudice.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12455 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12455 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME THOMAS CUI CODICE_FISCALE nato a MILANO il 25/10/1998
avverso la sentenza del 16/07/2024 del GIUDICE COGNOME PRELIMINARE di COGNOME
tdato avviso alle parti;1
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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Rilevato che, con un unico motivo di ricorso, è stata impugnata, quanto alla durata della pena accessoria (interdizione dai pubblici uffici per cinque anni), la sentenza del 16 luglio 202 con la quale il GUP del Tribunale di Arezzo ha applicato a COGNOME la pena da lui richiesta per i reati di cui all’art. 73, commi 1 e 4, del d.P.R. n. 309 del 1990;
che il motivo è inammissibile, in quanto proposto avverso sentenza applicativa della pena (art. 444 cod. proc. pen.), richiesta dopo il 3 agosto 2017;
che, in tema di patteggiamento, una volta che l’accordo tra l’imputato ed il pubblico ministero è stato ratificato dal giudice con la sentenza, il ricorso per cassazione è proponibi solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della della misura di sicurezza, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.; situazioni non riscontrabili né compiutamente prospettate nel caso di specie;
che, infatti, ai fini dell’applicazione delle pene accessorie dell’interdizione dai pubblici e dell’interdizione legale, è necessario far riferimento, nel caso di più reati unificati sotto il della continuazione, alla misura della pena base in concreto stabilita per il reato più grave eventualmente ridotta per la scelta del rito, e non a quella complessiva, risultante dall’aumento per la continuazione (Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, Rv. 286862 – 03);
che, nel caso di specie, la pena base, per il reato di cui al presente procedimento – in relazione alla quale è applicato l’aumento per la continuazione con l’ulteriore reato contestato nel presente procedimento (“droga leggera”) e con quello già giudicato con sentenza del Tribunale di Macerata del 7 agosto 2019 – è di quattro anni e sei mesi di reclusione ed euro 18.000,00 di multa, diminuiti per il rito a tre anni di reclusione ed euro 12.000,00 di multa;
che, a norma dell’art. 29 cod. pen., alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni consegue l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque, come correttamente disposto nella sentenza impugnata;
che, tenuto conto della sentenza del 13 giugno 2000, n. 86, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», all declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2025.