Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 5827 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1   Num. 5827  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 30/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI ANCONA nel procedimento a carico di: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/02/2023 del TRIBUNALE di FERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Sostituto AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha chiesto l’annullamento senza rinvio limitatamente alla pena accessoria dell’interd temporanea e, ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. I) cod. proc. rideterminazione della stessa
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Fermo, in composizione monocratica, ha dichiarato NOME COGNOME colpevole dei reati di cui agli artt. 648 cod. pen., 2, 4 e 7 legge 02 ottobre 1967, n. 895, come sostituiti dagli artt. 10, 12 e 14 legge 14 ottobre 1974, n. 497, nonché 23 legge 18 aprile 1975, n. 110, perché illegalmente deteneva e portava in luogo pubblico una pistola semiautomatica calibro TARGA_VEICOLO completa di caricatore, modificata con canna artigianale senza rigature, priva di matricola, quindi da ritenersi arma clandestina e di provenienza illecita; per l’effetto – ritenuta la continuazione fra gli stessi, s la più grave imputazione ex art. 648 cod. pen., nonché applicato l’aumento conseguente alla ritenuta recidiva reiterata specifica infraquinquennale – lo ha condannato alla pena di anni tre e mesi due di reclusione ed euro millècento di multa, oltre che al pagamento delle spese processuali, disponendo, infine, la confisca di quanto in sequestro.
Ricorre per cassazione il AVV_NOTAIO generale presso la Corte di appello di Ancona, deducendo vizio rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., in relazione alla mancata applicazione della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici, che consegue di diritto all’irrogazione della pena principale nella misura sopra detta.
 Il AVV_NOTAIO generale, in sede di requisitoria, ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alla mancata applicazione della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici e ha domandato – a norma dell’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen. – la rideterminazione della stessa nella misura ex lege fissata.
AVV_NOTAIO – nella veste di difensore di ufficio dell’imputato ha presentato memoria difensiva, a mezzo della quale ha domandato il rigetto del ricorso proposto dal AVV_NOTAIO generale, per essere tale impugnazione inammissibile o comunque infondata. La previsione di cui all’art. 29 cod. pen., infatti, opera nei soli casi in cui la durata delle pene accessorie temporanee risult normativamente predeterminata; l’interdizione dai pubblici uffici, invece, non è riconducibile a tale categoria. Secondo la giurisprudenza di legittimità, inoltre, caso di condanna per reato continuato, la pena principale alla quale occorre riferirsi – in sede di determinazione della durata, circa la conseguente interdizione dai pubblici uffici – non è quella complessiva, comprensiva cioè dell’aumento operato a titolo di continuazione, bensì quella inflitta in concreto, in relazione a
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violazione più grave tra quelle giudicate. A tale principio si è uniformato il Tr di Fermo, che ha considerato la pena principale prevista ed inflitta in concre la violazione più grave, piuttosto che quella complessiva, comprensiva c dell’aumento disposto a titolo di continuazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.  Il ricorso è fondato, nei termini sotto indicati.
In via preliminare, si deve sottolineare la ammissibilità del rico cassazione per violazione di legge – ad opera tanto del AVV_NOTAIO Repubblica, quanto del AVV_NOTAIO generale a norma dell’art. 608 cod. proc. – avverso la sentenza di condanna che abbia omesso di applicare una pe accessoria (Sez. U., n. 47502 del 29/09/2022 COGNOME, Rv. 283754).
Si deve poi richiamare il dictum proprio delle succitate Sezioni Unite COGNOME, a mente della quale: «La Corte di cassazione, ove rilevi l’ille omessa applicazione di pena accessoria predeterminata nella durata, pronunc l’annullamento senza rinvio ai sensi dell’art. 620, lett. I), cod. proc. pe non può ricorrere alla rettificazione di cui all’art. 619 comma 2, cod. proc Nella parte motiva della decisione, è spiegato come il presupposto d rettificazione sia da rinvenire nell’esigenza di emendare esclusivamente la o la qualità della pena, mentre l’omissione della stessa, integrante un viz sentenza, rende tale decisione del tutto carente di una disposizione neces Ecco i passaggi salienti della pronuncia delle Sezioni Unite, per quanto o interesse: «Occorre a questo punto, una volta verificata l’ammissibilità del r per cassazione in tema di omessa applicazione della pena accessoria, stabili lo strumento normativo di intervento della Corte di legittimità, in accoglimen ricorso, sia l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, previsto da 620 lett. I) cod. proc. pen., ovvero la rettificazione di cui all’art. 619, cod. proc. pen. È preliminare e determinante, a tal proposito, la questione effettiva applicabilità della seconda norma al caso di specie; e quind sussumibilità o meno, nelle ipotesi normative di rettificazione pocanzi enun della fattispecie concreta in cui la pena accessoria, prevista dalla leg effetto penale della condanna, non sia disposta. Orbene, già alla immed lettura, il testo dell’art. 619, comma 2, appare descrittivo di situazion comprendono la fattispecie in esame. Presupposto della norma, innanzitutto, necessità di rettificare la specie o la quantità della pena. Non di questo nel caso in cui una sanzione autonoma, quale la pena accessoria, sia total
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assente nella disposizione di condanna, e non sia semplicemente indicata in termini o in misura difformi dalla previsione legislativa. Ma, oltre a questo, norma attribuisce a tale presupposto una precisa qualificazione: l’essere, cioè, la difformità nella specie o nella quantità della pena dovuta ad un errore di denominazione o di computo. Questa qualificazione delimita non solo l’origine eziologica della difformità, ma anche la sua natura. Il requisito applicativo della rettificazione è complessivamente definito, in sostanza, nei limiti di un mero errore materiale, terminologico quanto al nomen juris della sanzione, ovvero aritmetico nella determinazione della stessa. Il caso dell’omessa applicazione della pena accessoria esorbita chiaramente da questi limiti. Esso costituisce, in realtà, un vero e proprio vizio della sentenza di condanna, che ne risulta privata di una sua disposizione necessaria per legge. In quanto tale, lo stesso non è pertanto emendabile con una procedura di rettificazione che, nella stessa dizione normativa, si pone come alternativa al normale esito dell’accertamento di un vizio, ossia l’annullamento della sentenza impugnata, proprio in quanto destinata a rimediare a quelli che si presentano invece come meri errori materiali. In questo senso è, del resto, la giurisprudenza di legittimità. Con specifico riguardo all’ar 619 cod. proc. pen., le Sezioni Unite hanno infatti individuato la ratio della norma nell’esigenza di evitare l’annullamento della decisione impugnata in tutte le occasioni nelle quali si possa rimediare a errori o cadute di attenzione del giudice a quo lasciando inalterato il contenuto decisorio essenziale della sentenza impugnata (Sez. U, n. 9973 del 24/06/1998, Kremi, Rv. 211072). La Suprema Corte ha peraltro sottolineato in altre decisioni che la norma in esame, nel prevedere la rettificazione nel giudizio di legittimità, costituisce disposizio speciale e derogatoria della più generale disciplina della correzione di errori materiali dettata dall’art. 130 cod. proc. pen., nella parte in cui consente alla Cor di cassazione di procedere direttamente alla correzione anche in presenza della condizione ostativa posta dall’art. 130 cod. proc. pen. nel precludere tale facoltà al giudice competente a conoscere dell’impugnazione, ove la stessa sia dichiarata inammissibile (Sez. 3, n. 30286 del 09/03/2022, COGNOME, Rv. 283650; Sez. 3, n. 19627 del 04/03/2003, Rv. 224846; Sez. 1, n. 2149 del 27/11/1998, dep. 1999, Rv. 212532). A prescindere da quest’ultimo aspetto, l’art. 619 cod. proc. pen. riprende pertanto dall’art. 130 cod. proc. pen. il fondamento definitorio dell’errore che giustifica la mera correzione in luogo dell’annullamento. Questi tratti fondamentali sono stati nitidamente delineati, ancora dalle Sezioni Unite, nella definizione dell’errore correggibile quale divergenza evidente e casuale fra la volontà del giudice e il correttivo mezzo di espressione, della quale costituiscono manifestazioni tipiche l’errore linguistico e quello immediatamente rilevabile dal contesto interno della sentenza (Sez. U, n. 7945 del 31/01/2008, COGNOME, Rv. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
238426). Il limite dell’errore rilevabile con la procedura di correzione e, nel giudizi di legittimità, di rettificazione, rispetto al vizio che impone vicever l’annullamento della sentenza impugnata, viene ad esserne ricostruito, in negativo, nell’ininfluenza sul contenuto decisorio della sentenza impugnata; e, in positivo, nell’evidente divergenza fra il dato testuale e l’effettiva volontà d decidente. Entrambe queste condizioni risultano assenti nel caso dell’omessa applicazione della pena accessoria. Tale omissione incide infatti, per un verso, sul contenuto decisorio della sentenza, rendendola carente di una disposizione necessaria; per altro verso, non è immediatamente rilevabile come effetto di una resa testuale difforme dalla volontà del decidente. L’omissione in esame non è quindi rimediabile procedendo ai sensi dell’art. 619, comma 2, cod. proc. pen. 8. Una volta esclusa la possibilità di considerare l’omissione in esame come un errore materiale correggibile con lo strumento offerto al giudice di legittimità, a quest fini, dal citato art. 619, non rimane che considerare la stessa come un vizio rimediabile con l’ordinario esito dell’annullamento della sentenza impugnata in accoglimento del ricorso. Questo esito può di conseguenza assumere la forma dell’annullamento senza rinvio, ove ricorrano i requisiti previsti per tal provvedimento dall’art. 620, lett. I), cod. proc. pen., nell’attuale formulazion introdotta dall’art. 1, comma 67, legge 23 giugno 2017, n. 103. Tali requisiti sono stati definiti dalle Sezioni Unite come sussistenti in tutti i casi nei quali il rinv superfluo, potendo la Corte di cassazione decidere anche con valutazioni discrezionali, purché condotte sulla base degli elementi di fatto accertati e delle statuizioni adottate dal giudice di merito, e a condizione che non siano necessari ulteriori accertamenti (Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, dep. 2018, Matrone, Rv. 271831). Orbene, non vi è dubbio che siffatte condizioni siano ravvisabili ove, come nel caso di specie, la pena accessoria omessa segua di diritto alla condanna e sia predeterminata nella specie e nella durata. In questa fattispecie concreta, infatti, la statuizione di condanna, già pronunciata dal giudice di merito, implica l’irrogazione di una determinata pena accessoria per una durata altrettanto determinata, e nessun ulteriore accertamento è necessario. In base a quella statuizione, non può giungersi pertanto ad altro risultato che all’applicazione della pena accessoria, annullando senza rinvio la sentenza impugnata nella parte in cui tale applicazione non sia stata disposta. Diversamente deve concludersi, naturalmente, nelle situazioni in cui l’applicazione della pena accessoria non sia automatica per effetto della sola condanna, o la pena abbia una durata non fissa, ma determinabile in concreto dal giudice. In questi casi, se gli accertamenti e le statuizioni del giudice di merito non consentono di assumere in sede di legittimità determinazioni sull’applicazione della pena accessoria, o sulla quantificazione della sua durata, in base ad una valutazione discrezionale che sia vincolata in senso Corte di Cassazione – copia non ufficiale
univoco dal contenuto di tali accertamenti e statuizioni, l’annullamento della sentenza impugnata non potrà che essere pronunciato con rinvio, affidando al giudice a quo tali determinazioni».
Coglie solo parzialmente nel segno, poi, l’osservazione formulata dalla difesa, circa la durata della pena accessoria dell’interdizione temporanea, applicabile nel caso di specie.
3.1. Astrattamente corretto appare il richiamo operato dalla difesa, al principio di diritto secondo cui – nell’applicare una pena accessoria relativa a plurime ipotesi di reato, tutte unificate sotto il vincolo della continuazione – debba aversi riguardo alla pena base, che risulti esser stata irrogata in relazione alla più grave delle violazioni riunite ex art. 81 cod. pen., come determinata tenendo conto del bilanciamento tra circostanze, piuttosto che alla pena complessiva, comprensiva dell’incremento sanzionatorio connesso all’istituto della continuazione (Sez. 1, n. 14375 del 05/03/2013, Aquila, Rv. 255407; Sez. 7, n. 48787 del 29/10/2014, COGNOME, Rv. 264478; Sez. 4, n. 4559 del 25/02/1999, COGNOME, Rv. 213149; Sez. 1, n. 10525 del 05/07/2000, Locorotondo, Rv. 217047). Occorre avere riguardo, quindi, alla incidenza anche delle circostanze attenuanti e del bilanciamento, che eventualmente risulti operato con le circostanze aggravanti, oltre che della diminuente per la scelta del rito speciale e, quindi, è necessario prescindere dalla considerazione delle modalità di calcolo, in base alle quali si sia pervenuti al risultato finale (tra le altre, Sez. U, n. 8411 27/05/1998, COGNOME, Rv. 210980; Sez. 6, n. 21113 del 25/03/2004, COGNOME, Rv. 229126; Sez. 1, n. 12894 del 06/03/2009, COGNOME, Rv. 243045; Sez. 6, n. 22508 del 24/05/2011, COGNOME, Rv. 250500).
3.2. Trattasi, peraltro, di principio che riveste una portata generale, per essere esso applicabile:
sia allorquando si faccia riferimento alla regola in base alla quale la durata della pena accessoria deve essere stabilita in misura corrispondente (“durata eguale”, stando al dettato normativo) a quella della pena principale inflitta, ai sensi dell’art 37 cod. pen. (Sez. 6, n. 17542 del 13/02/2006, COGNOME NOME, Rv. 234496; Sez. 1, n. 27700 del 26/06/2007, COGNOME, Rv. 237118; Sez. 6., n. 17616 del 27/03/2008, COGNOME, Rv. 240067; Sez. 1, n. 7346 del 30/01/2013, COGNOME, Rv. 254551);
sia nel caso in cui venga in rilievo la disciplina dettata dall’art. 29, comma ultimo periodo, cod. pen., che fissa come perpetua la durata della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici, laddove la condanna principale inflitta abbia una durata non inferiore a cinque anni, stabilendola invece in cinque anni, in relazione a reati comuni, che abbiano dato luogo a condanna a pena non
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inferiore alla soglia dei tre anni di reclusione (Sez. 4, n. 28584 del 14/03/201 COGNOME, Rv. 270240; Sez. 1, n. 14375 del 05/03/2013, Aquila, Rv. 255407; Sez. 7, n. 48787 del 29/10/2014, COGNOME, Rv. 264478).
Dei sopra esposti principi non risulta esser stata fatta, nella sp esatta interpretazione e corretta applicazione. Il Giudice, infatti, dopo applicato la disciplina del reato continuato con riferimento ai reati ascri mancato di applicare la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici. stregua dei predetti principi, si sarebbe al contrario dovuto, in via prelim individuare la sanzione inflitta in relazione alla più grave delle violazioni uni frutto di preventiva ideazione unitaria e assunta – in sede di calcolo dell finale – quale pena base. In secondo luogo, sarebbe stato necessario proced eventualmente – in relazione alla pena inflitta in relazione al reato più grave determinato – all’applicazione secondo legge della pena accessoria. E quindi, definitiva, non applicare alcuna pena accessoria, in caso di pena base stabili misura inferiore alla soglia di anni tre di reclusione, oppure applicare la accessoria stessa per il periodo di anni cinque, in caso di pena base determi – in relazione al più grave reato ex art. 648 cod. pen. – in misura eccede limite dei tre anni.
Alla luce delle considerazioni che precedono, questa Corte dispone l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al punt concernente l’applicabilità della pena accessoria dell’interdizione temporanea pubblici uffici, con rinvio per nuovo giudizio – sul punto specifico – al Tribun Fermo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente l’applicabilità della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Fermo.
Così deciso in Roma, il 30 novembre 2023.