LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Pena accessoria: limiti al ricorso dopo il concordato

Due imputati, condannati in primo grado per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, hanno concordato la pena in appello ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p., rinunciando agli altri motivi. Successivamente, hanno proposto ricorso in Cassazione. Uno ha contestato l’applicazione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici; l’altro ha lamentato la mancata motivazione sul proscioglimento. La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, ribadendo che i motivi rinunciati in appello non possono essere riproposti. Ha inoltre chiarito che la pena accessoria si determina sulla base della violazione più grave e della legge vigente al momento della consumazione del reato.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena accessoria: i limiti del ricorso dopo il concordato in appello

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21298/2025, torna a pronunciarsi sui limiti dell’impugnazione a seguito di un concordato in appello, noto anche come ‘patteggiamento in appello’. La decisione offre importanti chiarimenti sulla corretta applicazione della pena accessoria, in particolare l’interdizione dai pubblici uffici, e sull’impossibilità di sollevare in Cassazione questioni oggetto di rinuncia. Questo caso evidenzia come l’accordo sulla pena limiti drasticamente le successive possibilità di ricorso.

I fatti di causa

La vicenda processuale ha origine da una sentenza del Tribunale di Napoli che condannava due imputati per associazione per delinquere finalizzata a commettere reati di corruzione, falso in atto pubblico e accesso abusivo a sistema informatico. Le pene inflitte in primo grado erano rispettivamente di 7 e 6 anni di reclusione.

In sede di appello, le parti hanno raggiunto un accordo ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale. In base a tale accordo, e a fronte della rinuncia a tutti gli altri motivi di appello, la Corte d’Appello di Napoli ha rideterminato le pene in 4 anni e 10 mesi per un imputato e 4 anni, 4 mesi e 10 giorni per l’altro.

I ricorsi in Cassazione

Nonostante l’accordo, i difensori di entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione.

Il primo ricorso mirava a censurare l’applicazione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Secondo la difesa, avrebbe dovuto essere applicata la più mite interdizione temporanea, basandosi sulla normativa precedente alla riforma del 2019, poiché la pena per il reato più grave era inferiore a tre anni.

Il secondo ricorso, invece, lamentava la mancanza di motivazione da parte della Corte d’Appello sulla possibilità di un proscioglimento immediato ai sensi dell’art. 129 c.p.p. o su una diversa qualificazione giuridica dei fatti. Questo ricorso, peraltro, presentava un palese errore nell’identificazione dell’imputato e della sentenza impugnata.

Le motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, fornendo motivazioni chiare e nette.

Per quanto riguarda il secondo ricorso, i giudici hanno sottolineato che, a seguito di un concordato in appello, la cognizione del giudice è limitata ai soli motivi non oggetto di rinuncia. Avendo l’imputato rinunciato ai motivi relativi all’accertamento della responsabilità, il giudice d’appello non era tenuto a motivare sul mancato proscioglimento.

Di particolare interesse è la motivazione relativa al primo ricorso sulla pena accessoria. La Cassazione ha stabilito due principi fondamentali:

1. inammissibilità del motivo: Le questioni che sono state oggetto di rinuncia in appello non possono essere riproposte in sede di legittimità. La rinuncia ai motivi di appello, funzionale all’accordo sulla pena, preclude la possibilità di ridiscutere tali punti davanti alla Cassazione.
2. Correttezza sostanziale della decisione: Anche nel merito, la Corte ha ritenuto la doglianza manifestamente infondata. Ha chiarito che, in caso di reato continuato, la durata della pena accessoria si calcola con riferimento alla pena inflitta per la violazione più grave. Nel caso di specie, il reato di corruzione si era protratto fino a novembre 2019. Di conseguenza, era correttamente applicabile la nuova e più severa normativa introdotta dalla legge n. 3 del 2019, che prevede l’interdizione perpetua per condanne superiori ai due anni per quel tipo di reato. L’applicazione di tale pena accessoria è un effetto penale obbligatorio della condanna e viene applicata di diritto.

Le conclusioni

La sentenza in esame ribadisce con forza un principio cardine del nostro sistema processuale: il concordato in appello comporta una rinuncia tombale ai motivi di gravame ad esso collegati. Chi sceglie questa strada processuale per ottenere una riduzione di pena deve essere consapevole che le possibilità di un successivo ricorso in Cassazione sono estremamente limitate. Inoltre, la pronuncia conferma che per determinare la legge applicabile, anche per una pena accessoria, si deve guardare al momento della consumazione del reato. Se il reato è di natura permanente o continuata, la normativa di riferimento è quella in vigore al momento della cessazione della condotta criminosa, anche se più sfavorevole per l’imputato.

È possibile contestare in Cassazione i motivi di appello ai quali si è rinunciato con un ‘concordato in appello’?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che le questioni oggetto di motivi di appello rinunciati in funzione dell’accordo sulla pena non possono essere riproposte con il ricorso per cassazione.

Come si determina la durata della pena accessoria in caso di reato continuato?
In caso di pluralità di reati unificati dal vincolo della continuazione, la durata della pena accessoria va determinata con riferimento alla pena principale inflitta per la violazione più grave.

Quale legge si applica per la pena accessoria se il reato è continuato a cavallo di una modifica legislativa?
Si applica la legge in vigore al momento della consumazione del reato. Se il reato più grave si è protratto nel tempo, terminando quando era già in vigore una nuova legge più severa, sarà quest’ultima a dover essere applicata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati