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Pena accessoria illegale: Cassazione annulla sentenza

Un professionista, dopo un accordo in appello per reati di peculato, è stato condannato a una pena inferiore ai tre anni ma con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. La Corte di Cassazione ha dichiarato tale sanzione una pena accessoria illegale, poiché la legge in vigore al momento dei fatti prevedeva l’interdizione perpetua solo per condanne superiori ai tre anni. Di conseguenza, ha annullato la sentenza su questo punto, rinviando alla Corte d’Appello per la corretta determinazione delle pene accessorie.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena Accessoria Illegale: Annullata anche dopo un Concordato in Appello

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21233/2025, ha riaffermato un principio fondamentale: una pena accessoria illegale non può essere applicata, neppure quando la sentenza deriva da un accordo tra le parti, come il “concordato in appello”. Questa decisione chiarisce che l’illegalità di una sanzione penale rappresenta un vizio insanabile, che la Suprema Corte ha il dovere di rilevare e correggere, garantendo l’applicazione della legge corretta in base al principio del tempus regit actum.

I Fatti del Processo

Il caso riguarda un professionista condannato in primo grado per diversi episodi di peculato. In sintesi, l’imputato, in qualità di sostituto d’imposta, si era appropriato di somme ricevute dai clienti per il pagamento di imposte. In appello, le parti raggiungevano un “concordato” ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale.

L’accordo prevedeva l’assoluzione per l’imputazione più grave (relativa a un importo di quasi 280.000 euro) e una rideterminazione della pena per i reati residui, fissata in due anni e dieci mesi di reclusione. La Corte d’Appello, recependo l’accordo, confermava nel resto le sentenze di primo grado, incluse le statuizioni civili e le pene accessorie, tra cui l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato ricorreva in Cassazione lamentando due vizi principali:

1. Errata conferma della provvisionale: Sosteneva che, essendo venuta meno l’accusa più grave, la Corte d’Appello avrebbe dovuto ridurre o eliminare la provvisionale di 7.000 euro disposta in favore delle parti civili.
2. Applicazione di una pena accessoria illegale: Contestava la conferma dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Secondo la difesa, la legge applicabile al momento dei fatti (ratione temporis) prevedeva tale sanzione solo per condanne superiori a tre anni di reclusione, soglia non raggiunta nel caso di specie.

La Decisione della Cassazione e la questione della pena accessoria illegale

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il primo motivo. La provvisionale, infatti, rientrava nell’accordo complessivo raggiunto tra le parti. L’imputato aveva espressamente rinunciato a quel motivo di appello per ottenere il concordato; di conseguenza, non poteva rimetterlo in discussione in sede di legittimità.

Di tutt’altro avviso è stata la Corte riguardo al secondo motivo, che è stato accolto. Gli Ermellini hanno stabilito che l’applicazione dell’interdizione perpetua costituiva una pena accessoria illegale.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che, per determinare la legittimità di una pena accessoria, è necessario fare riferimento alla normativa in vigore al momento della commissione del reato. Nel caso in esame, l’art. 317-bis del codice penale, nella sua formulazione precedente alla modifica introdotta dalla legge n. 3/2019 (c.d. “Spazzacorrotti”), prevedeva l’interdizione perpetua dai pubblici uffici solo in caso di condanna a una pena superiore a tre anni. Poiché la pena base per il reato più grave era stata fissata in due anni e otto mesi, l’applicazione della sanzione perpetua era palesemente contraria alla legge.

L’illegalità della pena è un vizio così grave da poter essere rilevato d’ufficio dalla Cassazione in ogni stato e grado del procedimento, anche in presenza di un ricorso altrimenti inammissibile e persino se la sentenza è frutto di un concordato. L’accordo tra le parti, infatti, non può sanare una violazione di legge che attiene alla natura e alla misura della sanzione.

La Corte ha inoltre rilevato d’ufficio l’illegalità di un’altra pena accessoria confermata dalla Corte d’Appello: l’incapacità perpetua di contrattare con la pubblica amministrazione, anch’essa non prevista dalla normativa ratione temporis.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata limitatamente alle pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’incapacità di contrattare con la P.A. Ha rinviato il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello di Venezia affinché proceda a una nuova determinazione delle sanzioni accessorie, applicando correttamente la legge vigente all’epoca dei fatti. Questa pronuncia ribadisce che il rispetto del principio di legalità della pena prevale sulla volontà delle parti, proteggendo l’imputato dall’applicazione di sanzioni non previste o più severe di quelle contemplate dalla legge al momento del reato.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza emessa a seguito di ‘concordato in appello’?
Sì, ma solo per specifici motivi, come l’illegalità della pena o vizi che non sono stati oggetto di rinuncia nell’accordo. Non è possibile, invece, contestare punti sui quali si è formato l’accordo e per i quali si era rinunciato ai relativi motivi di appello.

Cosa si intende per pena accessoria illegale?
È una pena accessoria che non è prevista dalla legge applicabile al momento del fatto, oppure che viene inflitta al di fuori dei limiti e delle condizioni stabilite dalla norma stessa. Ad esempio, un’interdizione perpetua applicata quando la legge, per quella specifica condanna, prevedeva solo un’interdizione temporanea.

Quale legge si applica se la norma sulle pene accessorie cambia dopo la commissione del reato?
Si applica il principio del favor rei, basato sul criterio del ratione temporis. La pena deve essere determinata secondo la legge in vigore al momento della commissione del reato, a meno che una legge successiva non preveda un trattamento più favorevole per l’imputato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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