Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 21233 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 21233 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME NOMECOGNOME nato a Catania il 10/07/1962 avverso la sentenza del 05/02/2024 della Corte di appello di Venezia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza limitatamente alla pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici; sentite le conclusioni della difesa delle parti civili Consiglio Notarile Verona Ente Pubblico e NOME COGNOME Avvocato NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; sentite le conclusioni della difesa di Magnano di San Lio NOME COGNOME U
Avvocato NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME di San Lio, per il tramite del difensore, ricorre avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia del 5 febbraio 2024 che, in parziale riforma delle sentenze emesse nei suoi confronti dal Tribunale di Verona il 21 ottobre 2020 e dal Giudice delle indagini preliminari di Verona del 1 aprile 2022, in accoglimento del concordato ex art. 599-bis cod. proc. pen.
intervenuto tra le parti, ha assolto l’imputato in ordine al reato di peculato afferente all’appropriazione dell’importo di euro 279,799,00 del 21 marzo 2018 perché il fatto non sussiste e, ritenuta la continuazione tra i residui capi di imputazione e più grave il reato di cui al procedimento n. 313/23 reg. gen. app. (sentenza del Tribunale di Verona – Giudice delle indagini preliminari n. 374/2022), ha rideterminato la pena in anni due e mesi dieci di reclusione, confermando nel resto le due sentenze relative a fatti di peculato in quanto, in qualità di notaio rogante e sostituto d’imposta, si appropriava delle somme consegnategli dai clienti per il pagamento dell’imposta di registro, fatti commessi in Peschiera del Garda il 29 settembre 2016, 9 marzo 2017, 21 marzo 2017 (sentenza n. 1390/2020 Tribunale di Verona) e il 6 dicembre 2017 (sentenza n. 374/2022 Tribunale di Verona – Giudice indagini preliminari).
NOME COGNOME di San Lio deduce due motivi di ricorso sul presupposto che le questioni non abbiano formato oggetto dell’accordo intervenuto tra le parti ex art. 599-bis cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce vizi di motivazione e violazione degli artt. 538 e 539, comma 2, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.
Si premette come entrambi i procedimenti svoltisi separatamente in primo · grado siano stati riuniti nell’ambito del processo di appello ed abbiano rispettivamente disposto il risarcimento del danno in separata sede; nell’ambito del concordato è stato anche accolto il motivo con cui si richiedeva l’assoluzione per il fatto di peculato per l’importo di euro 279.799, cifra senz’altro superiore a quelle dei due residui fatti, rispettivamente, dell’importo di euro 71.000,00 e 70.666,00.
Poiché in detto procedimento il Tribunale aveva ritenuto di disporre in favore delle parti civili costituite il pagamento di una provvisionale per un ammontare di euro 7.000,00, detta somma, con il venir meno di uno dei fatti nettamente più grave, avrebbe imposto alla Corte di appello, anche d’ufficio, di eliminare o ridurre l’importo della citata provvisionale che, per come quantificata, travalica i limiti di cui all’art. 539, comma 2, cod. proc. pen.
Si censura, pertanto, la parte della sentenza di appello che, confermando nel resto entrambe le sentenze di primo grado (“conferma nel resto le impugnate sentenze”), ha tenuto fermo anche detto punto, così realizzando un’ingiustificata reformatio in peius.
La Corte di appello avrebbe dovuto motivare adeguatamente in ordine alle ragioni poste a base del mantenimento di un importo identico, pur in presenza di assoluzione di parte preponderante della contestazione
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 317 -bis cod. pen. ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. là dove la sentenza ha confermato la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Si osserva come anche in ipotesi di concordato ex art. 599-bis cod. proc. pen. la Corte di appello è tenuta a riformare la pena accessoria in conformità al tenore dell’art. 317 -bis cod. pen. vigente al momento della commissione del fatto.allorché l’interdizione perpetua dai pubblici uffici era dovuta in ipotesi di condanna a pena superiore a tre anni di reclusione e non, come disposto in seguito all’entrata in vigore dell’art. 1, comma1, lett. m) , della I. 9 gennaio 2019, n. 3, in ipotesi di condanna a pena superiore ai due anni di reclusione.
Il limite edittale dei tre anni di reclusione, che si reputa non superato, deve essere computato anche tenendo conto della riduzione per il rito abbreviato, diminuente equiparata a tutti gli effetti alle attenuanti di natura sostanziale, incidendo la stessa ex art. 7 CEDU sul trattamento sanzionatorio (il riferimento è alla Sentenza Corte EDU COGNOME c/ Italia).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato limitatamente al secondo motivo di ricorso.
Il primo motivo di ricorso /con cui si assume l’illegittima e immotivata conferma della entità della condanna al pagamento della provvisionale in favore del Consiglio Notarile di Verona sul presupposto del venir meno dell’ipotesi di peculato più grave ricompresa nella contestazione, è inammissibile in quanto, contrariamente a quanto preliminarmente evidenziato dal ricorrente, anche tale questione è rientrata nell’ambito del concordato ex art. 599-bis cod. proc. pen.
Costituisce, infatti, ius receptun quello secondo cuj i , è inammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. per far valere doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. e, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nell’illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa dalla quell prevista dalla legge (Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278170 01).
Ciò premesso, si osserva che t attraverso la formulazione del quarto motivo di gravame avverso la sentenza del Tribunale di Verona in data 21 ottobre 2020 (pag. 9 motivi di appello), il ricorrente aveva censurato proprio l’entità della disposta provvisionale quantificata in euro 7.000,00, ritenendo il relativo importo ingiustificato. Nell’ambito del concordato, l’imputato rinunciava espressamente a tutti i motivi di appellò (tra cui quello relativo alla citata provvisionale) Procuratore generale prestava il consenso e l’accordo in tali termini raggiunto anche relativamente all’assoluzione per l’ipotesi di peculato della somma di euro 279.799,00 ricompresa nella contestazione di cui alla sentenza emessa dal Tribunale di Verona il 21 ottobre 2020 – è stato recepito in sentenza.
Risulta palese, pertanto, come, la complessiva operazione attraverso cui il ricorrente è addivenuto al concordato sulla pena anche a seguito dell’assoluzione per una delle ipotesi di peculato contestate, previa rinuncia ai motivi formulati in sede di gravame, tra cui quello afferente alla determinazione e quantificazione della provvisionale, implichi che il contenuto della relativa statuizione è stato trasfuso nell’accordo, condiviso dalla Corte di appello.
Né il venir meno di una delle ipotesi di peculato, quella che il ricorrente reputa più grave in base alla mera valorizzazione del dato quantitativo, avrebbe mai potuto condurre, in assenza di una previa modifica dell’accordo, alla necessità di intervenire sulla parte della decisione di primo grado che è stata invece confermata.
In caso contrario si sarebbe realizzata una non consentita modifica dell’accordo, che evidentemente teneva conto della provvisionale per come quantificata, attraverso una non ammessa reviviscenza del motivo di gravame espressamente rinunciato dal ricorrente.
Fondato risulta, invece, il secondo motivo / attraverso il quale si censura l’illegalità della pena che si è venuta a determinare attraverso la conferma delle ulteriori statuizioni e, pertanto, anche di quella che prevedeva l’irrogazione della pena accessoria dell’interdizione in perpetuo dei pubblici uffici, nonostante la pena complessivamente irrogata all’esito dell’accordo concluso fosse inferiore ai tre anni di reclusione, perpetuità non prevista dall’art. 317 -bis cod. pen. applicabile “ratione temporis”, nella formulazione precedente alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 1, lett. m), della legge 9 gennaio 2019, n. 3.
3.1. Deve essere richiamato e ribadito il principio di diritto afferente, in genere, alla disciplina delle pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici ex art. 29 cod. pen. secondo cui, ai fini della applicazione della citata pena accessoria, la sussistenza del presupposto costituito dal “quantum” di reclusione irrogata a
titolo di pena principale deve essere valutata tenendo conto anche delle eventuali diminuzioni processuali (Sez. 1, n. 18149 del 04/04/2014, Di, Rv. 259749 – 01).
Per costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, inoltre, in ipotesi di più reati avvinti dal vincolo della continuazione, per verificare i superamento del limite dei tre anni di reclusione, è necessario avere quale riferimento la misura della pena base stabilita, in concreto, per il reato più grave e non a quella complessiva risultante dall’aumento della continuazione (Sez. 5, n. 28584 del 14/03/2017, COGNOME, Rv. 270240 – 01, in ipotesi di giudizio abbreviato; Sez. 7, n. 48787 del 29/10/2014, COGNOME, Rv. 264478, in ipotesi di patteggiamento; Sez. 1, n. 7346 del 30/01/2013, COGNOME, Rv. 254551).
3.2. Ciò premesso, la Corte osserva come già la decisione del Tribunale di Verona – Ufficio del Giudice delle indagini preliminari del 1 aprile 2022, che aveva irrogato la pena di anni due e mesi otto di reclusione in ordine al delitto di peculato commesso il 6 dicembre 2017, aveva erroneamente applicato ex art. 317-bis cod. pen. l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Analogo errore è stato, pertanto, reiterato dalla Corte di appello che, confermando nel resto le decisioni impugnate, nonostante avesse ritenuto che proprio il fatto di reato ricompreso in detta decisione dovesse essere ritenuto più grave, ha in concreto irrogato l’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici.
Essendo, pertanto, quella di due anni ed otto mesi di reclusione la pena rilevante da prendere quale parametro per l’applicazione della pena accessoria irrilevante che a detta pena si sia pervenuti all’esito della riduzione per il rit abbreviato e per la continuazione in ordine ai fatti ricompresi nella sentenza del Tribunale di Verona del 21 ottobre 2020 -, la Corte di appello avrebbe dovuto, sulla base della previsione applicabile “ratione temporis” al momento della commissione del reato dell’art. 317-bis cod. pen., emendare d’ufficio la stessa riconducendola alla temporaneità (in termini di illegalità della pena si è, di recente, espressa questa Sesta Sezione che, seppure in tema di corruzione, ha affermato che costituisce pena accessoria illegale, in quanto inflitta al di fuori del paradigma normativo di cui all’art. 29 cod. pen., l’interdizione perpetua dai pubblici uffici disposta, ex art. 317-bis cod. pen., per effetto di condanna per fatti commessi antecedentemente all’entrata in vigore della legge 9 gennaio 2019, n. 3; cfr. Sez. 6, n. 13092 del 19/02/2025, Nocerino, in corso di massimazione).
Poiché l’illegalità della pena /in quanto non prevista dalla norma applicabile ratione temporis, costituisce vizio rilevabile d’ufficio nel giudizio di cassazione, anche nel caso in cui il ricorso sia inammissibile (Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, COGNOME, Rv. 286862 – 02; Sez. 5, n. 46122 del 13/06/2014, COGNOME, Rv.
262108 – 01), la Corte rileva analoga illegalità là dove la Corte di appello, confermando nel resto le statuizioni delle sentenze emesse dal Tribunale di Verona, ha applicato, altresì, sull’erroneo richiamo dell’art. 317 -bis cod. pen., la pena accessoria del divieto perpetuo di contrarre con la pubblica amministrazione.
Ed infatti, l’art. 317 -bis cod. pen., nella disciplina vigente al momento della commissione dei reati da parte di Magnano di San Lio, dispone(va) che «la condanna per i reati di cui agli articoli 314, 317, 319 e 319-ter importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nondimeno, se per circostanze attenuanti viene inflitta la reclusione per un tempo inferiore a tre anni, la condanna importa l’interdizione temporanea.» Nessun riferimento effettuava detta norma alla possibilità, in ipotesi di condanna per i reati specificamente previsti, di =IR applicare la pena accessoria dell’incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione; in tale frangente era in vigore la sola previsione di carattere generale di cui all’art. 32 -ter cod. pen. secondo cui l’incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione non poteva essere comunque superiore a cinque anni, senza alcuna possibilità di irrogare detta pena in perpetuo.
Il carattere perpetuo del divieto di contrarre con la pubblica amministrazione è stato introdotto a seguito di modifica dell’art. 317 -bis cod. pen. entrata in vigore con la citata I. 9 gennaio 2019, n. 3.
Da quanto sopra enunciato emerge che le pene accessorie dell’interdizione in perpetuo di pubblici uffici e dell’incapacità in perpetuo di contrarre con la pubblica amministrazione applicate attraverso la conferma delle precedenti decisioni del Tribunale da parte della Corte di appello presentano il comune carattere dell’illegalità, con la conseguente necessità da parte di questa Corte di annullare la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia che, fermo restando il contenuto del concordato, rideterminerà le pene accessorie tenendo presenti i presupposti dell’art. 133 cod. pen. (Sez. 6, n. 19108 del 16/02/2021, F., Rv. 281560 – 01) riconducendole a legalità.
Nulla è dovuto alle parti civili che, pur presenti, non hanno inteso formulare richieste in ordine alle spese.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici e dell’incapacità di contrarre con la pubblica
amministrazione e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia.
ricorso.
Dichiara inammissibile nel resto il
Così deciso il 09/04/2025.