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Pena accessoria: come si determina la sua durata?

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso sulla determinazione della durata di una pena accessoria, nello specifico l’isolamento diurno. Un condannato aveva impugnato la decisione del giudice che fissava a nove mesi tale misura, sostenendo una motivazione insufficiente. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che il giudice aveva correttamente bilanciato la ‘ragguardevole carriera criminale’ del soggetto con il ‘minor disvalore’ della condotta specifica, fornendo una motivazione adeguata e non sindacabile in sede di legittimità.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena Accessoria: Guida alla sua Determinazione secondo la Cassazione

La corretta quantificazione di una pena accessoria rappresenta un momento cruciale nel processo penale, che richiede un attento bilanciamento di diversi fattori. Con la recente sentenza n. 1176 del 2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sui criteri che il giudice deve seguire per determinare la durata di sanzioni come l’isolamento diurno, offrendo importanti chiarimenti sul suo potere discrezionale e sui limiti del sindacato di legittimità.

Il Contesto del Ricorso: La Durata dell’Isolamento Diurno

Il caso trae origine da una precedente decisione della stessa Corte di Cassazione, che aveva annullato con rinvio un’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari di Napoli. Quest’ultimo, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva inizialmente fissato in due anni il periodo di isolamento diurno per un condannato per il reato di cui all’art. 12-quinquies del D.L. 306/1992. La Suprema Corte aveva incaricato il giudice del rinvio di procedere a una nuova quantificazione, specificando di dover tenere conto del ‘disvalore contenuto della condotta illecita’ in relazione alla ‘ragguardevole carriera criminale’ del condannato.

La Decisione del Giudice del Rinvio e i Motivi dell’Appello

In adempimento a tale incarico, il GIP di Napoli ha rideterminato la durata dell’isolamento diurno in nove mesi. Tuttavia, il condannato ha nuovamente proposto ricorso per cassazione, lamentando che il giudice non si fosse uniformato ai principi di diritto enunciati. Secondo la difesa, il giudice non aveva adeguatamente motivato perché si fosse discostato dal minimo di legge di due mesi, focalizzandosi unicamente sulla carriera criminale del soggetto senza parametrare la durata della pena accessoria al minor disvalore della specifica condotta contestata.

I Criteri per la Determinazione della Pena Accessoria

Il cuore della questione risiede nei criteri che guidano la dosimetria della pena accessoria. Quando la legge non stabilisce una durata fissa, ma prevede un minimo e un massimo (o solo uno dei due), il giudice deve esercitare il proprio potere discrezionale. Tale discrezionalità non è arbitraria, ma deve essere ancorata ai criteri generali indicati dall’art. 133 del codice penale, come chiarito dalle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 28910/2019). Questi criteri includono la gravità del reato (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell’azione) e la capacità a delinquere del colpevole.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per genericità e manifesta infondatezza. Secondo gli Ermellini, il giudice del rinvio si è fedelmente attenuto alle indicazioni ricevute. La motivazione della decisione impugnata ha, infatti, esplicitamente dato rilievo proprio al ‘minor disvalore penale della condotta’ per cui era intervenuta la condanna e alla ‘circostanza che la stessa fosse stata posta in essere pochi anni dopo l’inizio della detenzione carceraria’. Questi elementi sono stati bilanciati con il ‘curriculum criminale esibito dal condannato’. Tale argomentazione, secondo la Corte, non è né arbitraria né illogica, ma costituisce un corretto esercizio del potere dosimetrico. La valutazione di merito compiuta dal giudice dell’esecuzione, essendo sorretta da una motivazione coerente, non è sindacabile in sede di legittimità.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la determinazione della durata di una pena accessoria è una valutazione di merito riservata al giudice, che deve motivare la sua scelta basandosi sui criteri dell’art. 133 c.p. Il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio per rimettere in discussione l’entità della pena, a meno che la motivazione non sia del tutto assente, palesemente illogica o contraddittoria. La decisione consolida quindi la discrezionalità del giudice dell’esecuzione nel calibrare la sanzione al caso concreto, purché il percorso logico-giuridico seguito sia trasparente e coerente con le norme di riferimento.

Come si stabilisce la durata di una pena accessoria come l’isolamento diurno?
La durata viene stabilita dal giudice in base ai criteri generali previsti dall’articolo 133 del codice penale. Egli deve bilanciare elementi come la gravità specifica del reato commesso e la capacità a delinquere del condannato, che emerge anche dalla sua carriera criminale complessiva.

È possibile contestare in Cassazione la durata di una pena accessoria decisa da un giudice?
Sì, ma solo per vizi di legittimità. Non è possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti e sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito. Il ricorso è ammissibile solo se la motivazione della sentenza è inesistente, manifestamente illogica o contraddittoria.

Cosa significa quando la Cassazione dichiara un ricorso inammissibile?
Significa che il ricorso viene respinto senza essere esaminato nel merito perché ritenuto privo dei requisiti richiesti dalla legge. In questo caso, il ricorso è stato giudicato inammissibile perché le censure sollevate riguardavano una valutazione di merito adeguatamente motivata e, quindi, non criticabile in sede di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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