Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 17873 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 17873 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/03/2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE PENALE
Composta da:
NOME COGNOME
Presidente –
NOME COGNOMERelatore-
NOME COGNOME
NOME COGNOME
NOME COGNOME Turtur
Sent. n. 510/2025 sez.
PU – 13/03/2025
R.G.N.43063/2025
26/2024
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da 1.COGNOME NOME nato a Roma il 3/10/1985 rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di fiducia 2. COGNOME NOME nato a Roma il 29/08/1994 rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di fiducia 3.COGNOME NOME nato a Napoli il 13/02/1976 rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di fiducia 4.COGNOME NOME nato a Roma il 24/03/1987 rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di fiducia 5.COGNOME NOME nata a Camerota il 13/03/1957 rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME di fiducia COGNOME NOME nato a Battipaglia il 18/03/1983 rappresentato e difeso dall’avv. NOME
6. Leone, di fiducia
avverso la sentenza emessa in data 16/07/2024 dalla Corte di appello di Roma, quarta sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
preso atto che è stata avanzata rituale richiesta di trattazione orale in presenza, ai sensi dell’art. 611, commi 1bis e 1ter cod. proc. pen. , dall’avv. NOME COGNOME udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
udita la requisitoria con la quale il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti da COGNOME NOME, COGNOME Gaetano, COGNOME COGNOME e COGNOME NOME e il rigetto di quelli proposti da COGNOME NOME e COGNOME NOME;
udite le conclusioni de ll’avv. NOME COGNOME di fensore dei ricorrenti NOME COGNOME e COGNOME Manuel che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi;
udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma – in sede di giudizio di rinvio a seguito di annullamento della precedente pronuncia del 31/01/2022 disposto con sentenza emessa in data 19/01/2023 da questa Corte – così statuiva, per quanto in questa sede rileva:
-riduceva la pena inflitta a NOME COGNOME ad anni sei e mesi otto di reclusione e sostituiva la pena accessoria della interdizione in perpetuo dai pubblici uffici con quella temporanea per la durata di anni cinque;
-riduceva la pena inflitta a NOME COGNOME ad anni tre, mesi uno e giorni ventisei di reclusione; -in accoglimento del concordato tra le parti ai sensi dell’art. 599 -bis cod. proc. pen., rideterminava la pena nei confronti di NOME COGNOME in mesi quattro di reclusione ed euro 200,00 di multa, previo riconoscimento del vincolo della continuazione con i reati già giudicati con sentenza della Corte di appello di Roma del 21/12/2017 calcolando la sanzione complessiva in anni due mesi dieci di reclusione ed euro 1.600,00 di multa; revocava la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici;
-in accoglimento del concordato tra le parti ai sensi dell’art. 599 -bis cod. proc. pen., rideterminava la pena nei confronti di NOME COGNOME previa esclusione della recidiva, in anni due, mesi dieci di reclusione ed euro 6.000,00 di multa, con revoca della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici;
-in accoglimento del concordato tra le parti ai sensi dell’art. 599 -bis cod. proc. pen., rideterminava la pena nei confronti di NOME COGNOME in anni cinque, mesi uno e giorni ventitrè di reclusione; sostituiva la pena accessoria della interdizione in perpetuo dai pubblici uffici con quella temporanea per la durata di anni cinque;
-in accoglimento del concordato tra le parti ai sensi dell’art. 599 -bis cod. proc. pen., rideterminava la pena nei confronti di NOME COGNOME nella misura di anni quattro, mesi
dieci, giorni venti di reclusione; sostituiva la pena accessoria della interdizione in perpetuo dai pubblici uffici con quella temporanea per la durata di anni cinque.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, tramite i rispettivi difensori di fiducia.
Nell’interesse di NOME COGNOME è stato articolato un unico motivo di ricorso con il quale si deduce, ai sensi dell’art. 606 , comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 125, 546, comma 1, lett. e), 627 codice di rito, 62bis , 99 e 133 cod. pen., nonché manifesta illogicità della motivazione.
La sentenza rescindente aveva annullato la precedente pronuncia di appello nei confronti dell’imputato in quanto priva di motivazione in punto di trattamento sanzionatorio, con particolare riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla mancata disapplicazione della recidiva.
La pronuncia impugnata, pur esplicitando nel dispositivo, la riduzione della pena (con relativa sostituzione della pena accessoria da perpetua a temporanea) ha illogicamente irrogato la medesima sanzione (anni sei e mesi otto di reclusione) inflitta con la sentenza annullata; in particolare ha tenuto ferma la pena base di anni quattro di reclusione in relazione al reato associativo (misura prossima al massimo edittale), senza adempiere al rinnovato obbligo argomentativo imposto dalla sentenza rescindente.
Analogo vulnus motivazionale ricorre con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche rispetto alle quali la Corte territoriale, con motivazione apodittica, non ha ritenuto sussistenti i relativi presupposti omettendo di considerare la documentazione difensiva con la quale era stato dimostrato che, a far tempo dal giugno 2018, l’imputato svolge va regolare attività lavorativa alle dipendenze, con evidente volontà di reinserimento.
Parimenti immotivata è la concreta applicazione della recidiva specifica ed infraquinquennale, operata senza tenere in debita considerazione che l’imputato è gravato da due uniche sentenze di applicazione pena a mesi otto di reclusione ciascuna per violazione dell’art. 73, comma 5, d. P.R. n. 309/90, entrambi risalenti ad oltre undici anni orsono.
Nell’interesse di NOME COGNOME è stato articolato un unico motivo di ricorso con il quale si deduce la ‘nullità della sentenza’ per mancanza assoluta di motivazione e comunque per illogicità della stessa.
Pur in presenza di concordato ai sensi dell’art. 599 -bis cod. proc. pen., la Corte territoriale avrebbe dovuto comunque colmare il vuoto motivazionale rilevato dalla sentenza rescindente con riferimento al giudizio di responsabilità in ordine ai reati di cui ai capi 6), 19), 21), 54), 74) e 215).
Nell’interesse di NOME COGNOME è stato articolato un unico motivo di ricorso con il quale si deduce che la Corte territoriale – accedendo alla proposta di concordato ai sensi dell’art. 599 -bis cod. proc. pen. – non ha motivato in ordine alla insussistenza di cause di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 codice di rito .
Nell’interesse di NOME COGNOME è stato articolato un unico motivo di ricorso con il quale si deduce, ai sensi dell’art. 606 , comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 125, 546, comma 1, lett. e), 627 codice di rito, 62bis , 99 e 133 cod. pen., nonché la manifesta illogicità della motivazione.
La sentenza rescindente aveva annullato con rinvio la precedente pronuncia di appello nei confronti dell’imputato le statuizioni adottate in punto di pena per omessa motivazione con riferimento sia alla determinazione della sanzione base, significativamente distante dal minimo edittale, sia al complessivo aumento operato a titolo di continuazione che non risultava corrispondente al risultato che si sarebbe ottenuto dalla moltiplicazione del numero dei reati o per la porzione di pena stabilita per ciascuno di essi dal primo giudice.
Con la sentenza impugnata l’originaria pena base è stata ridotta ad anni tre e mesi sei di reclusione ed è stato inoltre applicato un aumento a titolo di continuazione pari ad un anno, due mesi e giorni venticinque di reclusione. Tale calcolo è erroneo ed integra la violazione del divieto di reformatio in peius .
L’aumento per ciascuno dei quarantuno reati fine era stato determinato in primo grado nella misura di dieci giorni di reclusione, sicchè il quantum complessivo da applicare ex art. 81 cod. pen. doveva essere pari ad un anno, un mese e giorni venti di reclusione.
Altrettanto fallace è il calcolo della riduzione di un terzo ex art. 442 cod. proc. pen. che è stato indicato in motivazione nella misura di anni tre mesi uno e giorni venticinque di reclusione, diversa da quella indicata in dispositivo ove i giorni sono, invece, ventisei.
Nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME è stato articolato un unico ed identico motivo con il quale si deduce, ai sensi dell’art. 606 , comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 29 cod. pen. per non avere la Corte di appello, a seguito della rideterminazione della pena in accoglimento del proposto concordato, sostituito la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella temporanea atteso che la sanzione base stabilita per il reato ritenuto più grave, al netto della diminuente per il rito, è inferiore al limite minimo di cinque anni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L ‘unico motivo proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Ben diversamente da quanto dedotto dal ricorrente, la Corte di appello, in sede di giudizio di rinvio, si è uniformata alle precise indicazioni della sentenza rescindente offrendo un adeguato apparato argomentativo (pag. 5 della sentenza impugnata), scevro da manifeste illogicità e, al contrario, condotto in aderenza ai dati processuali disponibili.
I giudici di secondo grado hanno escluso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche per assenza di elementi positivamente valutabili (ritenendo implicitamente irrilevante la circostanza relativa allo svolgimento di lecita attività lavorativa, intrapresa in epoca ben successiva ai fatti di reato), in linea con il consolidato orientamento di legittimità, che qui si ribadisce, secondo il quale l’applicazione d i tale diminuente, oggetto di un giudizio di fatto, non costituisce un diritto conseguente alla assenza di elementi negativi connotanti la personalità dell’imputato, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola; e ciò soprattutto dopo la modifica dell’art. 62bis cod. pen. operata con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modificazioni dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non ha alcun rilievo, di per sé solo, lo stato di incensuratezza dell’imputato, essendo sufficiente – per il diniego del beneficio che il giudice di merito si limiti a dar conto della assenza di elementi o circostanze positive a tale fine (cfr., Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 260610; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986; Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590; Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489; Sez. 3, n. 20664 del 16/12/2022, dep. 2023, Ventimiglia, non mass.).
Con riferimento alla mancata disapplicazione della recidiva, la Corte di merito, colmando il vulnus motivazionale indicato dalla sentenza rescindente, ha dato rilievo ai precedenti penali per detenzione e cessione illecita di sostanze stupefacenti che erano non solo specifici ma anche assai recenti rispetto ai reati sottoposti a giudizio, commessi tra il 2015 e il 2016 e, pertanto, poco dopo la irrevocabilità delle pregresse condanne, intervenuta nel 2014. Tale elemento è stato valutato congiuntamente al fatto che gli illeciti da giudicare riguardavano la partecipazione di COGNOME ad una associazione finalizzata al commercio di droga con il significativo ruolo di soggetto non solo presente ‘nella piazza di spaccio’, ma anche preposto a sovrintendere l’ attività organizzata, così delineando una sempre più significativa progressione criminosa nel mercato degli stupefacenti e, quindi, una ingravescente proclività a delinquere.
Trattasi di motivazione in linea con il principio di diritto dettato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 35738 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247838 secondo cui, in presenza di contestazione della recidiva a norma di uno dei primi quattro commi dell’art. 99 cod. pen., il giudice è tenuto a verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente
tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza.
Con riferimento alla quantificazione della pena, la Corte di merito, in sede di giudizio di rinvio, ha confermato l’en tità della sanzione base (in misura superiore al minimo edittale) e degli aumenti a titolo di continuazione, come rideterminata nel primo giudizio di appello valorizzando al riguardo la gravità de ll’attività illecita -svolta in forma associativa con ruolo preminente e con partecipazione alla commissione di ben centosettantotto reati -che è proprio uno degli indici di commisurazione indic ati nell’art. 133 cod. pen.
A tal fine, va ricordato il principio più volte riaffermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., sicché è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della sanzione la cui entità non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (cfr., ex multis , Sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021, COGNOME, Rv. 281217, in motivazione). Il giudice, infatti, nel motivare il giudizio di determinazione della pena, non è tenuto ad una analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione, ma può limitarsi alla sola enunciazione di quelli determinanti per la soluzione adottata, la quale è insindacabile in sede di legittimità qualora sia immune da vizi logici di ragionamento (cfr., Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 238851).
2. L ‘unico motivo di ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile in quanto non consentito.
Se è vero che la sentenza rescindente ha annullato la prima pronuncia di appello per omessa pronuncia in ordine alle censure dedotte nell’atto di gravame dell’imputato in punto di giudizio di responsabilità per alcuni dei reati ascritti (capi di imputazione 6), 19), 21), 54), 74) e 215) è, tuttavia, altrettanto vero che, in sede di giudizio di rinvio, NOME COGNOME formulava, tramite il difensore munito di procura speciale, richiesta di pena concordata, ai sensi dell’art. 599 -bis cod. proc. pen., con espressa rinuncia ai motivi di appello non coperti da giudicato e, dunque, evidentemente anche a quelli relativi alla affermazione di colpevolezza in ordine ai delitti di cui sopra che, in mancanza di rinuncia, avrebbero dovuti essere scrutinati.
La doglianza in questa sede proposta non è dunque deducibile dovendosi ricordare che, in tema di concordato in appello, è consentito il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato in appello, al consenso del Procuratore generale sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative ai motivi rinunciati e al vizio di motivazione. In
particolare, in ragione della natura devolutiva propria dell’ atto di impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello in punto di responsabilità -come avvenuto nella specie -la cognizione del giudice è limitata alle sole doglianze non oggetto di rinuncia (cfr., Sez. 2, n. 30990 del 01/06/2018, Gueli, Rv. 272969; Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, COGNOME, Rv. 276102; Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, Rv. 278170; Sez. 2, n. 50062 del 16/11/2023, COGNOME, Rv. 285619).
L’unico motivo di ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile in quanto anch’esso non consentito.
La sentenza rescindente ha annullato la prima pronuncia di appello nei confronti dell’imputato esclusivamente per difetto di motivazione in ordine al computo della recidiva dichiarando, invece, inammissibile il ricorso in punto di affermazione della responsabilità, dichiarata irrevocabile.
In sede di giudizio di rinvio, l’imputato, tramite il difensore munito di procura speciale, formulava richiesta di pena concordata, ai sensi dell’art. 599 -bis cod. proc. pen., che contemplava l’esclusione della recidiva, unico profilo rimesso allo scrutinio della Corte di appello.
Anche qui, va ricordato il principio generale affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui è consentito il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ai sensi dell’art. 599bis cod. proc. pen. per motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato in appello, al consenso del Procuratore generale sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative alla omessa motivazione circa il mancato proscioglimento d ell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen. (cfr., Sez. 5, n. 15505 del 19/03/2018, COGNOME, Rv. 272853; Sez. 4, n. 52803 del 14/09/2018, Bouachra, Rv. 274522; Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, COGNOME, Rv. 276102; Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278170; Sez. 2, del 16/11/2023 n. 50062, COGNOME, Rv. 285619, in motivazione).
4. E’ invece fondato il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME
La sentenza rescindente ha annullato la prima pronuncia di appello nei confronti dell’imputato limitatamente alle statuizioni in punto di pena per omessa motivazione con riferimento sia alla determinazione della sanzione base per il più grave reato associativo, significativamente distante dal minimo edittale, sia al complessivo aumento operato per la continuazione che non risultava aritmeticamente corrispondente al risultato che si sarebbe ottenuto dalla moltiplicazione del numero (quarantuno) dei reati satelliti per la porzione di pena stabilita per ciascuno di essi.
In sede di giudizio di rinvio, la Corte di appello (pag. 4 della sentenza impugnata) ha
indicato, quale sanzione base per il delitto associativo quella di anni tre e mesi sei di reclusione, dando ampia ragione del sensibile scostamento dal minimo edittale, così colmando il deficit motivazionale censurato dai giudici di legittimità; è, tuttavia, incorsa in errore aritmetico nel calcolo del quantum complessivo di pena irrogata a titolo di continuazione con riferimento ai quarantuno reati fine, per ciascuno dei quali il giudice di primo grado aveva stabilito un aumento di dieci giorni di reclusione, la cui congruità non è stata contestata nel ricorso che ha originato il giudizio rescindente.
La sentenza impugnata registra altresì una divergenza tra il dispositivo e la motivazione con riferimento alla pena finale, indicata nella parte motiva nella misura di anni tre mesi uno e giorni venticinque di reclusione, diversa da quella riportata in dispositivo ove i giorni sono, invece, ventisei.
L’evidente errore di computo della pena può essere emendato da questa Corte, ai sensi dell’art. 619, comma 2, cod. proc. pen., con rettifica della stessa nella misura finale di anni tre e mesi uno di reclusione così calcolata: pena base, pari ad anni tre e mesi sei di reclusione, aumentata complessivamente per la continuazione (giorni dieci di reclusione per ciascuno dei reati satellite e, quindi, nella misura di un anno, un mese e giorni quindici di reclusione) ad anni quattro mesi sette e giorni quindici di reclusione, ridotta per il rito ad anni tre e mesi uno di reclusione.
5. Fondati sono anche i ricorsi proposti da NOME COGNOME e da NOME COGNOME.
Va ricordato il consolidato principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, che il C ollegio condivide, secondo cui, ai fini dell’applicazione della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici (e dell’interdizione legale), è necessario far riferimento, nel caso di più reati unificati sotto il vincolo della continuazione, alla misura della sanzione base in concreto stabilita per il reato più grave, eventualmente ridotta per la scelta del rito, e non a quella complessiva, risultante dall’aumento per la continuazione (cfr., Sez. U, n. 8411 del 27/05/1998, Ishaka, Rv. 210980, successivamente ex multis , Sez. 5, n. 8126 del 06/12/2017, dep. 2018, Ngwoke, Rv. 272408; Sez. 2, n. 7188 del 11/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 276320; Sez. 6, n. 17564 del 06/04/2023, COGNOME, Rv. 284593; Sez. 4, n. 30040 del 25/03/2024, COGNOME Rv. 286862-03).
Orbene, come risulta dal verbale di udienza allegato ai ricorsi che riporta il dettaglio della pena rispettivamente concordata dagli imputati con il Procuratore Generale e recepita dalla Corte di appello, la sanzione base, considerata la recidiva, risulta determinata per NOME COGNOME in anni sei, mesi otto e giorni venti di reclusione e per NOME COGNOME in anni sei mesi quattro di reclusione; entrambe le sanzioni, considerata la riduzione per il rito, risultano superiori a tre anni di reclusione ma inferiori al limite di cinque anni fissato dall’art. 29, comma primo, cod. pen. : deve conseguentemente trovare applicazione non l’interdizione dai pubblici uffici come disposto dalla Corte di merito, bensì l’interdizione dai pubblici uffici per anni cinque.
Sul punto, la sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio e va disposta la sostituzione della pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella temporanea, statuizione consentita a questa Corte non implicando detto decisum alcuna valutazione di carattere discrezionale.
Alla inammissibilità dei ricorsi proposti da NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME segue la condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio e, ciascuno, della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Rettifica la sentenza impugnata nei confronti di NOME in relazione al trattamento sanzionatorio che indica in anni tre e mesi uno di reclusione; annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME e di NOME limitatamente alla pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici che sostituisce con quella temporanea.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME Marco, di COGNOME NOME e di COGNOME Gaetano che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13 marzo 2025
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME